Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26185 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 06/12/2011), n.26185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20861/2009 proposto da:

M.M. (OMISSIS), M.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE A.

DA BRESCIA 9-10, presso lo studio dell’avvocato FIORETTI Andrea, che

li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

e contro

CONSORZIO INDUSTRIALE PROVINCIALE NORD EST SARDEGNA – GALLURA (già

CONSORZIO INDUSTRIALE PROVINCIALE GALLURA) in qualità del Presidente

N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53,

presso lo studio dell’avvocato CAIAFFA FABIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato BILOTTA Mauro giusta procura speciale del Dott. Notaio

GIANFRANCO GIULIANI in Olbia 18/4/2011, rep. 214962, resistente con

procura speciale notarile;

– resistente –

sul ricorso 28276/2010 proposto da:

M.M. (OMISSIS), M.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE A.

DA BRESCIA 9-10, presso lo studio dell’avvocato FIORETTI ANDREA, che

li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO INDUSTRIALE PROVINCIALE NORD EST SARDEGNA -GALLURA (già

CONSORZIO INDUSTRIALE NORD EST SARDEGNA – C.I.N.E.S. (OMISSIS) in

persona del Presidente N.S., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato MANCA BITTI

DANIELE, rappresentato e difeso dall’avvocato GRATANI MASSIMO giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 494/2008 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 23/7/2008, R.G.N.

3/2004;

avverso la sentenza n. 708/2009 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 22/12/2009, R.G.N.

166/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato VITTORIA PAOLINI per delega;

udito l’Avvocato MAURO BILOTTA;

udito l’Avvocato MASSIMO GRATANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ricorso al Pretore di Tempio Pausania – sezione distaccata di Olbia, quale giudice dell’esecuzione, depositato in data 23 settembre 1997r il Consorzio Industriale Nord Est Sardegna (di seguito Consorzio) propose opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione emessa il 19 settembre 1997 nel procedimento esecutivo per pignoramento presso terzi n. 41/94 R.G.E. avviato da Me.Pi., titolare della ditta “Melpi”, nei confronti del Consorzio suo debitore, nel quale era intervenuto ai sensi dell’art. 511 cod. proc. civ., Ma.Fr., quale creditore del creditore pignorante; con l’ordinanza opposta il giudice dell’esecuzione aveva assegnato a quest’ultimo la somma di L. 6.641.750.000, ordinandone al terzo pignorato, Banco di Sardegna – filiale di (OMISSIS), il pagamento in favore del M..

1.1.- Il Pretore, dato con decreto inaudita altera parte un provvedimento d’urgenza con cui vietava al Banco il pagamento della somma in contestazione, con ordinanza del 24 ottobre 1997 revocò l’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997 e rimise le parti dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania, competente a decidere sul merito dell’opposizione proposta dal Consorzio.

1.2. – Quest’ultimo riassunse l’opposizione con atto di citazione notificato il 29 gennaio 1998 nei confronti del creditore pignorante Me.Pi., del suo creditore sub-collocato ex art. 511 cod. proc. civ., Ma.Fr., nonchè degli altri creditori intervenuti Banca Popolare di Ancona s.p.a. e D.P.A., chiedendo la declaratoria di nullità e/o inesistenza dell’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997, nonchè la condanna del M. alla restituzione delle somme indebitamente incassate in esecuzione di questa ordinanza; dedusse al riguardo l’opponente che il titolo (provvisoriamente) esecutivo posto dal Me. a fondamento dell’azione esecutiva nei confronti del Consorzio, vale a dire la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, n. 221/94 (che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 218/93), era rimasto privo di efficacia esecutiva perchè, avendo la Corte d’Appello imposto al Me. il versamento di una cauzione, mediante fideiussione bancaria o assicurativa, per l’importo di L. 800.000.000, il creditore non aveva prestato la garanzia.

1.3.- Con sentenza del 4 dicembre 2003 il Tribunale di Tempio Pausania rigettò l’opposizione proposta dal Consorzio (cui aveva aderito la Banca Popolare di Ancona) e condannò quest’ultimo al pagamento delle spese processuali in favore del Me. e del M..

2.- Avverso la sentenza del Tribunale propose appello il Consorzio;

nel giudizio di appello si costituirono M.M. e M.F., succeduti al loro comune dante causa Ma.Fr., mentre gli altri appellati rimasero contumaci.

La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 708/09, ha qualificato l’opposizione ab origine proposta dal Consorzio, in sede esecutiva, sia come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ., che come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., ma ha ritenuto riproposta in sede di merito soltanto questa seconda ed ha accolto l’appello;

per l’effetto, ha dichiarato che Ma.Fr. non aveva diritto all’assegnazione, in luogo del creditore pignorante Me.

P., della somma di L. 6.641.750.000, disposta con l’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997 (poi revocata); ha condannato Ma.Fr., e, per esso, i suoi eredi M. M. e M.F. alla restituzione, in favore del Consorzio appellante, della somma di Euro 523.997,17, con gli interessi legali dal 22 settembre 1997; ha condannato gli eredi M. e Me.Pi., in solido ed in egual misura, al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore del Consorzio.

3.- Avverso questa sentenza gli eredi M. hanno proposto ricorso per cassazione, affidandosi a sei motivi, illustrati da memoria. Resiste il Consorzio con controricorso, pure illustrato da memoria. Il ricorso è iscritto al ruolo col n. 28276/10.

4.- Il Consorzio Industriale Nord Est Sardegna (di seguito Consorzio) propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 374/2003, con la quale era stata rigettata la domanda proposta dallo stesso Consorzio (a seguito di procedimento cautelare conclusosi con provvedimento di sequestro giudiziario della somma di L. 2.251.000.000 bonificata in favore di Ma.Fr. e dell’assegno di L. 3.376.150.000 intestato a Me.Pi. su istanza di Ma.Fr.; somma e titolo depositati presso il Banco di Sardegna, filiale di (OMISSIS)) nei confronti di Me.

P., Ma.Fr., nonchè della s.r.l. Cantieri Navali di Tirrenia, C.F. (questi ultimi due in quanto percettori di assegni emessi dallo stesso Banco di Sardegna, filiale di (OMISSIS), ad istanza di Ma.Fr., e sottoposti a sequestro giudiziario, revocato dal Tribunale a seguito di reclamo ex art. 669 terdecies cod. proc. civ.) ed ancora nei confronti di T.L. (quest’ultimo quale assegnatario della somma di L. 236.319.379 nella procedura esecutiva di cui si è detto sopra) per sentire dichiarare la proprietà del Consorzio sulle somme giacenti presso il terzo pignorato Banco di Sardegna, filiale di (OMISSIS), già oggetto di assegnazione in favore di Ma.

F. nella detta procedura esecutiva n. 41/94, nonchè per sentire condannare quest’ultimo alla restituzione della somma di L. 510.000.000 (già oggetto di assegnazione e devoluta dal M. in favore di soggetti rimasti estranei al giudizio), oltre accessori, e T.L. alla restituzione della somma di L. 236.319.379, trattandosi di somme indebitamente percepite a seguito di assegnazione in sede esecutiva ex artt. 511 e 553 cod. proc. civ., poi revocata.

Si costituirono nel giudizio di appello il M., l’avv. C. e la s.r.l. Cantieri Navali di Tirrenia, tutti resistendo al gravame ed il primo sollevando anche eccezioni pregiudiziali di rito.

5.- La Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, ha accolto parzialmente l’appello e, dato atto della formazione del giudicato nei confronti di Me.Pi. (litisconsorte facoltativo, non citato nel secondo grado di giudizio), in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la proprietà del Consorzio sulle somme giacenti presso il terzo pignorato Banco di Sardegna e già oggetto di assegnazione in favore di Ma.

F. in base all’ordinanza del 19 settembre 1997 del giudice dell’esecuzione di Tempio Pausania e, per l’effetto, ha disposto la restituzione di queste somme al Consorzio; ha altresì condannato Ma.Fr. alla restituzione in favore del Consorzio della somma di Euro 523.687,29, oltre interessi legali dalle scadenze di cui in motivazione al saldo; ha rigettato l’appello nei confronti dell’avv. C. e della Cantieri Navali Tirrenia, condannando il Consorzio al pagamento in loro favore delle spese del grado; ha condannato Ma.Fr. al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio in favore del Consorzio.

6.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, avente il numero 494/08, propongono ricorso per cassazione M.M. e M.F., quali eredi di Ma.Fr., a mezzo di quattro motivi. Il ricorso è iscritto al ruolo col n. 20861/09.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi notificati dagli eredi di Ma.Fr., M.M. e M. F., nei confronti del Consorzio Industriale Provinciale Nord Est Sardegna – Gallura, già Consorzio Industriale Nord Est Sardegna – C.I.N.E.S. (di seguito Consorzio) poichè, pur essendo stati proposti avverso diverse sentenze, involgono la trattazione di questioni di diritto in parte coincidenti ed in parte strettamente connesse.

Preliminarmente, va trattato il ricorso n. 28276/10, relativo alla sentenza n. 708/09, pubblicata per seconda, poichè la soluzione delle questioni poste con riferimento a tale sentenza è pregiudiziale rispetto alla decisione sul ricorso n. 20861/09.

1.- Col primo motivo del ricorso n. 28276/10 si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., per avere assunto la Corte d’Appello una decisione errata con riferimento all’ordinanza, che i ricorrenti qualificano di estinzione, emessa dal giudice dell’esecuzione il 2 agosto 1994, ed avere ritenuto che con questa ordinanza non fosse stata in realtà dichiarata l’estinzione della procedura esecutiva, così decidendo in merito malgrado il provvedimento non fosse mai stato prodotto nei giudizi di primo e di secondo grado.

1.1.- Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza impugnata per avere la Corte d’Appello fondato il convincimento di cui sopra in merito alla portata dell’ordinanza del 2 agosto 1994, nonchè deciso in merito all’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997 ed all’ordinanza di revoca dell’assegnazione del 24 ottobre 1997, senza che questi provvedimenti fossero mai stati prodotti in giudizio.

1.2.- Col terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 630 e 632 cod. proc. civ. e art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello ignorato che le ordinanze di sospensione e di revoca dell’assegnazione, rispettivamente, del 23 settembre 1997 e del 24 ottobre 1997, erano state emesse dal giudice dell’esecuzione dopo l’estinzione del procedimento che sarebbe seguita all’ordinanza del 2 agosto 1994, contro la quale non era stato proposto reclamo; in conseguenza, secondo i ricorrenti, si sarebbe dovuta fare applicazione dell’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ. per il quale, in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’assegnazione restano fermi nei confronti dei terzi assegnatari, in forza dell’art. 632 cod. proc. civ., comma 2, gli effetti di tali atti. Poichè, secondo i ricorrenti, l’estinzione del processo esecutivo sarebbe stata dichiarata con l’ordinanza del 2 agosto 1994, dopo l’assegnazione delle somme pignorate, e poichè il Consorzio non reclamò detta ordinanza, non avrebbe potuto successivamente opporre l’ordinanza di assegnazione nei confronti di M., in quanto relativa a questione consequenziale al processo esecutivo già estinto.

2.- I tre motivi di ricorso, tutti relativi all’ordinanza del 2 agosto 1994, sono connessi e vanno trattati congiuntamente, essendo il primo infondato ed il secondo ed il terzo inammissibili.

2.1.- La Corte d’Appello, sulla base degli elementi probatori addotti in giudizio dal Consorzio opponente, ha ritenuto che le circostanze risultanti dagli atti, ed incontestate tra le parti, che fosse stata accantonata la somma di L. 6.641.750.000, della quale il M., intervenuto ex art. 511 cod. proc. civ., aveva chiesto l’assegnazione in luogo del suo debitore Me., e che le parti fossero state rimesse davanti al Tribunale competente a conoscere della causa tra il Me. ed il M. fossero di per sè idonee a dimostrare che il processo esecutivo non si fosse estinto; e ciò, in ragione del fatto che, non essendo state assegnate tutte le somme pignorate, queste erano rimaste ancora nella titolarità del Consorzio, così come sempre accade quando insorge una controversia distributiva ex art. 512 cod. proc. civ., ed il giudice dell’esecuzione non distribuisce tutto il ricavato, sospendendone l’assegnazione in attesa della definizione del giudizio incidentale; è, infatti, da escludere, secondo il giudice a quo, che vi possa essere un’assegnazione “in favore di chi spetta”. Ha quindi concluso che “non risulta invece che con tale ordinanza (id est, quella del 2 agosto 1994) sia stata dichiarata l’estinzione del processo, nè, in verità, si comprende per quale ragione il giudice avrebbe dovuto adottare tale provvedimento visto che doveva ancora essere assegnata gran parte del credito pignorato (all’esito del giudizio fra il Me. e il M.)”.

Così decidendo la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione proprio della norma dell’art. 2697 cod. civ., della quale è stata denunciata la violazione: avendo il Consorzio opponente interesse a dimostrare che non vi era stata estinzione del processo esecutivo ed avendo ciò dimostrato documentando le vicende successive all’adozione dell’ordinanza del 2 agosto 1994, sarebbe stato onere della parte opposta, che invece sostiene trattarsi di ordinanza di estinzione la cui portata avrebbe smentito le conclusioni raggiunte dal giudice di merito, produrre in giudizio detta ordinanza, proprio a sostegno della dedotta estinzione della procedura esecutiva. La mancata produzione in giudizio del provvedimento ridonda a danno della parte che di questo intende avvalersi, vale a dire degli odierni ricorrenti, non certo della parte opponente, che è riuscita a dimostrare altrimenti le proprie allegazioni e deduzioni.

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., poichè riproduce sostanzialmente le censure già oggetto del primo motivo, denunciando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., senza che sia dato comprendere quale sia la domanda sulla quale la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata ovvero quella sulla quale si sarebbe pronunciata oltre i limiti della relativa proposizione.

Come si dirà nel prosieguo, la Corte d’Appello ha qualificato l’opposizione proposta dal Consorzio come opposizione all’esecuzione e su tale opposizione si è pronunciata, ritenendo che il Me., creditore procedente, non avesse titolo esecutivo idoneo a proseguire nell’azione esecutiva intrapresa nei confronti del Consorzio. Questa e soltanto questa è la domanda oggetto di lite e sulla quale correttamente si è espresso il giudice del merito.

Ogni altra questione, in particolare quella sollevata dai ricorrenti col motivo in esame, attiene alla valutazione degli elementi probatori da parte del giudice di merito, sicchè non trova alcun riscontro normativo nell’art. 112 cod. proc. civ..

2.3.- Quanto al terzo motivo di ricorso, va in primo luogo esclusa la pertinenza del richiamo dell’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ., norma non applicabile con riferimento all’ordinanza che, secondo i ricorrenti, avrebbe dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva in data 2 agosto 1994.

L’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ., è stato inserito dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4 novies, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 14 maggio 2005, n. 80; esso è entrato in vigore l’11 settembre 2005, poichè non compreso tra le disposizioni la cui entrata in vigore è stata posticipata al 1 marzo 2006 col D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella L. 23 febbraio 2006, n. 51.

Pertanto, è da escludere che la nuova norma possa regolare gli effetti di un’estinzione che si assume essere avvenuta addirittura nel 1994; l’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ. è si applicabile alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore, ma soltanto se l’estinzione del processo esecutivo si sia verificata dopo tale data.

Quanto al richiamo degli artt. 630 e 632 cod. proc. civ., esso presupporrebbe che fosse incontestato in giudizio che l’ordinanza del 2 agosto 1994 abbia dichiarato l’estinzione del processo esecutivo.

Peraltro, non solo, come detto trattando del primo motivo, la Corte d’Appello ha correttamente escluso che il processo esecutivo si fosse estinto con l’ordinanza del 2 agosto 1994, ma, se ciò fosse stato, il riferimento all’art. 632 cod. proc. civ., comma 2, sarebbe del tutto improprio: l’art. 632 cod. proc. civ., comma 2, inciso secondo, non è riferibile al caso di assegnazione di crediti ex art. 553 cod. proc. civ., nei confronti del creditore procedente (e quindi del creditore sub collocato ex art. 511 cod. proc. civ.), poichè il provvedimento di assegnazione chiude, nei confronti del creditore assegnatario, il processo di espropriazione presso terzi (mentre la disposizione in esame presuppone che vi sia una “somma ricavata” da distribuire e che l’estinzione sopravvenuta ne impedisca la distribuzione, comportandone la restituzione al debitore); invece, l’estinzione tipica della procedura esecutiva che preceda l’assegnazione travolge, ai sensi del primo inciso della stessa norma, gli atti già compiuti, compreso il pignoramento. Nel caso di specie, con riferimento ai crediti non assegnati, si sarebbe potuta verificare solo tale ultima eventualità.

Pertanto, il motivo è inammissibile, oltre che per l’erroneo riferimento all’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ., per carenza di interesse dei ricorrenti.

3.- Vanno a questo punto esaminati congiuntamente i motivi quarto, quinto e sesto, poichè tutti relativi alla ratio decidendi della sentenza d’appello fondata sull’affermazione dell’autonoma rilevanza del provvedimento di revoca dell’ordinanza di aggiudicazione e della presa d’atto da parte della Corte d’Appello della mancata opposizione avverso tale provvedimento di revoca, che Ma.Fr. e/o Me.Pi. avrebbero dovuto svolgere ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ..

3.1.- Col quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 617 e 618 cod. proc. civ. perchè, secondo i ricorrenti, i provvedimenti del 23 settembre 1997 (decreto col quale si faceva divieto al terzo pignorato di pagare il creditore sub-collocato assegnatario) e del 24 ottobre 1997 (ordinanza di revoca dell’ordinanza di assegnazione) sarebbero stati assunti dal giudice dell’esecuzione quali provvedimenti indilazionabili e, come tali, provvisori ai sensi dell’art. 618 cod. proc. civ.; di conseguenza, sarebbero stati destinati a cadere con la pronuncia sul merito dell’opposizione e non avrebbero dovuto affatto essere impugnati dal M., come erroneamente sostenuto dalla Corte d’Appello; dal momento che il Tribunale di Tempio Pausania adito in primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dal Consorzio, tale pronuncia avrebbe comportato la caducazione definitiva dei provvedimenti indilazionabili e provvisori emessi dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 618 cod. proc. civ.; in quanto adottata a seguito dell’opposizione agli atti esecutivi proposta dal Consorzio, l’ordinanza di revoca del 24 ottobre 1997 non sarebbe stata autonomamente opponibile da parte del M., poichè ancora sub iudice a seguito della riassunzione del giudizio di opposizione davanti al Tribunale e quindi sarebbe stata assorbita dalla sentenza di questo, che ha rigettato l’opposizione.

3.2.- Col quinto motivo è denunciata violazione dell’art. 487 cod. proc. civ., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 617 cod. proc. civ., oltrechè violazione di (non meglio precisati) principi generali dell’ordinamento, con riferimento all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata per la quale l’ordinanza del 24 ottobre 1997 non può essere qualificata come provvedimento abnorme, rientrando nei poteri del giudice dell’esecuzione quello di revoca delle proprie ordinanze ex art. 487 cod. proc. civ., ed ove non revocabile, ai sensi di tale norma, non per ciò solo al di fuori dello schema processuale, quindi caducabile soltanto a seguito di proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.

Secondo i ricorrenti, tale assunto si porrebbe in contrasto con le norme sopra richiamate, poichè, alla stregua della giurisprudenza di legittimità (pure richiamata in ricorso), l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato avrebbe immediato effetto traslativo e sarebbe, pertanto, irrevocabile; a maggior ragione si sarebbe dovuta ritenere tale nel caso di specie, in cui era stata già regolarmente notificata al terzo pignorato Banco di Sardegna. Da tale situazione, discenderebbe, secondo i ricorrenti, l'”assoluta abnormità” del provvedimento de quo; questa comporterebbe, a sua volta, l’esperibilità dell’actio nullltatis, non soggetta a termini di prescrizione o di decadenza, ovvero dell’exceptio nullitatis, anche in sede di opposizione all’esecuzione; e ciò sarebbe accaduto nel caso di specie, in cui il M., sin da primo grado di giudizio, avrebbe denunciato “l’anomalia dei provvedimenti datati 23.9.1997 e 24.10.1997”, esperendo così “l’azione di accertamento negativo precitata nella fase di merito dell’opposizione e chiedendone la revoca”.

3.3.- Col sesto motivo di ricorso è denunciata altra violazione e falsa applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione, con riferimento alla parte di questa in cui il giudice d’appello ha, con dovizia di particolari, indicato le modalità con le quali l’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate del 19 settembre 1997 avesse avuto in realtà esecuzione ben prima della sua revoca, intervenuta con ordinanza del 24 ottobre 1997. Sarebbe pertanto contraddittoria la motivazione della sentenza, oltre che in violazione dell’art. 487 cod. civ., perchè, per un verso, avrebbe affermato la revocabilità delle ordinanze del giudice dell’esecuzione finchè non abbiano avuto esecuzione, per altro verso avrebbe ritenuto la legittimità del provvedimento di revoca dell’ordinanza di assegnazione, della cui esecuzione la stessa sentenza darebbe ampiamente atto.

4.- La Corte d’Appello ha ricostruito le vicende processuali nei seguenti termini:

– il Consorzio, debitore esecutato, che, non avendo perso la titolarità delle somme pignorate non ancora assegnate (in ragione di quanto detto riguardo al primo motivo), era ancora parte del processo esecutivo e, come tale, legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi;

con ricorso del 23 settembre 1997 venne proposta opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997, denunciandone l’illegittimità perchè adottata in contraddittorio dei soli Me. e M., senza la notificazione del ricorso in riassunzione e comunque senza la convocazione del g.e. nei confronti del debitore esecutato;

– con lo stesso ricorso venne proposta anche opposizione all’esecuzione, deducendosi che l’ordinanza di assegnazione era stata adottata quando il titolo esecutivo aveva oramai perduto la sua efficacia esecutiva (provvisoria), non avendo il Me. prestato la cauzione al cui versamento la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con ordinanza ex art. 373 cod. proc. civ. del 12 luglio 1996 (quindi precedente l’ordinanza di assegnazione), aveva subordinato l’esecuzione della sentenza n. 221/04, posta a base dell’azione esecutiva, ed impugnata con ricorso per cassazione;

con il decreto del 23 settembre 1997 il giudice dell’esecuzione ordinò al terzo pignorato “di non dare corso all’esecuzione” dell’ordinanza del 19 settembre 1997, sostanzialmente sospendendone gli effetti;

– con successiva ordinanza del 24 ottobre 1997 lo stesso giudice revocò l’ordinanza di assegnazione del 19 settembre 1997;

– il Consorzio opponente riassunse l’opposizione dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania, con atto di citazione notificato il 29 gennaio 1998: tuttavia, con tale atto il Consorzio non ripropose il motivo di opposizione agli atti esecutivi, ma soltanto quello di opposizione all’esecuzione, finendo “per radicare la sola opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., basata sul sopravvenuto venir meno dell’efficacia esecutiva del titolo giudiziale posto a fondamento dell’espropriazione presso terzi e finalizzata a far dichiarare il conseguente venir meno del diritto di procedere ad esecuzione forzata, non avendo più alcun interesse a coltivare l’opposizione agli atti esecutivi proposta per vizi formali dell’ordinanza di assegnazione del 19.9.1991 (adottata senza la preventiva ed imprescindibile convocazione del debitore esecutato) in quanto la stessa era stata ormai revocata”.

4.1.- Ha quindi ritenuto che:

– l’ordinanza di revoca della precedente assegnazione non possa essere qualificata come provvedimento abnorme e quindi tamquam non esset, secondo quanto affermato dal Tribunale, bensì come provvedimento che, quand’anche ritenuto irrevocabile ex art. 487 cod. proc. civ., poichè emesso oltre il termine fissato da questa norma, non sarebbe per ciò solo al di fuori di ogni schema processuale;

più in particolare, è ordinanza idonea a produrre i propri effetti (caducatori), se ed in quanto non impugnata con l’ordinario rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi;

– nella specie, tale opposizione non era stata proposta nel termine perentorio di cinque giorni di cui all’art. 617 cod. proc. civ. (nel testo all’epoca vigente), mentre il M. si era limitato ad eccepire l’invalidità del provvedimento ed a chiederne la revoca ben oltre detto termine e nell’ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione promosso dal Consorzio, così esperendo un’actio nullitatis presupponente un’abnormità del provvedimento che, invece, non sussisterebbe affatto;

– l’opposizione all’esecuzione esperita dal Consorzio era proponibile poichè, una volta revocata l’ordinanza di assegnazione, l’esecuzione per pignoramento presso terzi doveva ritenersi ancora in corso; la sentenza del Tribunale, pubblicata il 10 dicembre 2003, che l’aveva rigettata, era appellabile ex art. 616 cod. proc. civ. (nel testo all’epoca vigente);

– l’opposizione all’esecuzione era infine fondata poichè l’assegnazione era stata disposta quando il titolo provvisoriamente esecutivo in forza del quale era stato avviato il procedimento di espropriazione presso terzi era oramai da tempo divenuto inefficace, per il mancato versamento della cauzione.

5.- Tutti e tre i motivi di ricorso in esame sono infondati, proprio in ragione delle argomentazioni della sentenza impugnata, appena riportate, da ritenersi conformi alle previsioni degli articoli 615, 616, 617, 618 cod. proc. civ., nonchè dell’art. 487 cod. proc. civ.;

argomentazioni, alle quali vanno aggiunte le precisazioni di cui appresso.

Il quarto motivo di ricorso pone, infatti, una questione non direttamente affrontata dal giudice del merito, ma da questi presupposta laddove ha affermato che il debitore esecutato non aveva più interesse a proseguire nella opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione perchè questa era stata revocata dal giudice dell’esecuzione. Siffatta affermazione, così come la motivazione svolta riguardo all’applicabilità al caso di specie della norma dell’art. 487 cod. proc. civ., presuppongono la qualificazione dell’ordinanza di revoca come provvedimento adottato in sede di autotutela da parte del giudice dell’esecuzione piuttosto che come provvedimento “indilazionabile” ai sensi dell’art. 618 cod. proc. civ..

Questa ricostruzione delle vicende del processo esecutivo è corretta in diritto, in astratto, e non è smentita dalle risultanze, in concreto, della presente controversia.

5.1.- In diritto, è incontestato ed è stato ripetutamente affermato da questa Corte, il principio, che qui si ribadisce, per il quale in tema di esecuzione forzata immobiliare, in mancanza di limiti normativi, il potere del giudice dell’esecuzione di revoca dei propri provvedimenti concorre con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, ad istanza della parte interessata (cfr. Cass. n. 17460/07 e n. 11316/09, anche per la precisazione che, mentre il potere di revoca giudiziale può essere esercitato anche dopo la scadenza del termine previsto dalla legge per la proposizione dell’opposizione di cui all’art. 617 cod. proc. civ., e sempre che il provvedimento non abbia avuto definitiva esecuzione, per potersi avvalere del rimedio della suddetta opposizione la parte deve rispettare il termine perentorio di decadenza previsto dal citato art. 617, che decorre dal momento in cui l’interessato ha avuto legale conoscenza del provvedimento impugnato ovvero di un atto successivo che lo presuppone).

Ritiene il collegio che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione sia stato nuovamente investito del processo esecutivo a seguito dell’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso l’ordinanza di assegnazione.

Quest’ultimo è il rimedio tipico contro il provvedimento ex art. 553 cod. proc. civ., al fine di fare valere vizi propri di esso (cfr., da ultimo, Cass. n. 2745/07, n. 5529/11, nonchè già, tra le tante, Cass. n. 8013/97, n. 3070/98, n. 6331/99, 6083/06). Peraltro, una volta che il Consorzio opponente portò all’attenzione del giudice dell’esecuzione l’irregolarità verificatasi per la mancata instaurazione del contraddittorio prima dell’emissione dell’ordinanza di assegnazione, il giudice dell’esecuzione non si limitò, come pure avrebbe potuto fare, e come fece in prima battuta con decreto emesso inaudita altera parte, ad adottare un provvedimento provvisorio, quale sarebbe stata la sospensione dell’ordine di pagamento conseguente all’assegnazione, in attesa della definizione del giudizio di merito sull’opposizione, ma emise il provvedimento di revoca.

5.2.- La revoca adottata nel caso di specie si atteggia come provvedimento idoneo a produrre effetti tali che non possa essere ad essa attribuita valenza provvisoria; infatti, sarebbero stati effetti provvisori soltanto se avessero avuto lo scopo di mantenere inalterato il corso del processo esecutivo fintantochè non fosse stata decisa nel merito la causa di opposizione agli atti esecutivi;

piuttosto, avendo il giudice dell’esecuzione ritenuto che l’irregolarità del processo esecutivo denunciata con l’opposizione agli atti esecutivi effettivamente sussistesse, anzichè adottare un provvedimento provvisorio, rimosse definitivamente il provvedimento illegittimo.

Essendo questa la situazione processuale, la parte opponente – che dinanzi al giudice dell’esecuzione aveva proposto il ricorso ex art. 617 cod. proc. civ., proprio al fine di ottenere la rimozione del provvedimento – non aveva più interesse a proseguire nell’opposizione agli atti esecutivi in sede di merito, come sarebbe accaduto se, invece, il giudice dell’esecuzione si fosse limitato ad adottare un provvedimento provvisorio senza riconoscere l’irregolarità procedurale ovvero rimettendone ogni verifica al giudice investito del merito dell’opposizione.

Può pertanto concludersi affermando il principio di diritto per il quale in tema di esecuzione forzata immobiliare, in mancanza di limiti normativi, il potere del giudice dell’esecuzione di revoca dei propri provvedimenti concorre con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, ad istanza della parte interessata, con la conseguenza che, qualora, proposta questa opposizione davanti al giudice dell’esecuzione, questi revochi, ai sensi dell’art. 487 cod. proc. civ., il provvedimento opposto, la parte opponente perde interesse all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione agli atti esecutivi finalizzato alla rimozione del provvedimento stesso.

5.3.- Giova aggiungere che, nel caso di specie, venne comunque proseguito in sede di merito il giudizio di opposizione all’esecuzione e che fu proprio a seguito dell’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., che il processo esecutivo rimase definitivamente travolto e non proseguì per la definitiva assegnazione delle somme che, una volta revocata la precedente assegnazione, erano tornate nella disponibilità della procedura esecutiva. Nè può ritenersi violato l’altro principio, affermato da questa Corte, che qui si ribadisce, per il quale in tema di espropriazione presso terzi, il rimedio dell’opposizione all’esecuzione è legittimamente proponibile, ex art. 615 cod. proc. civ., soltanto fino al momento in cui l’azione esecutiva non si sia consumata per effetto dell’avvenuta espropriazione, strutturandosi l’ordinanza di assegnazione del bene pignorato, sul piano morfologico non meno che su quello funzionale, come l’atto conclusivo del procedimento espropriativo; quindi, deve ritenersi che l’opposizione all’esecuzione possa proporsi soltanto sino a che non risulti pronunciato detto provvedimento (cfr. Cass. n. 1150/99, n. 5077/01).

Infatti, come rilevato dalla Corte d’Appello, fu proprio la revoca del provvedimento di assegnazione a far sì che il processo esecutivo tornasse ad essere riattivato, in modo che risultò anche legittimamente proponibile l’opposizione all’esecuzione, che presuppone, per sua stessa natura, la “pendenza” di un giudizio di esecuzione.

6.- Diversa, anche se connessa, è invece la questione posta col quinto e sesto motivo di ricorso: proprio perchè il provvedimento di revoca venne adottato dal giudice dell’esecuzione nell’ambito di un processo esecutivo riassunto, esso rientrava – come ritenuto dalla Corte d’Appello – nello schema processuale che connota i provvedimenti di revoca del giudice dell’esecuzione e, pertanto, non avrebbe potuto essere definito abnorme, essendo tale soltanto quel provvedimento che esula completamente dai poteri del giudice che lo ha emesso o che presenta connotati formali tali da comportare che non possa essere ascritto alla categoria di riferimento, cioè che sia irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo (cfr.

Cass. n. 10789/99, nonchè ord. n. 27428/09).

Quando si assume, come si assume col quinto motivo di ricorso, che il provvedimento di revoca sia stato adottato in violazione dell’art. 487 cod. proc. civ., non si fa altro che sostenere che trattasi di provvedimento illegittimo per violazione di tale ultima norma, cioè di provvedimento viziato, non certo di provvedimento abnorme; e, come è la regola per ogni provvedimento giudiziale viziato, esso non può essere considerato tamquam non esset, ma va rimosso avvalendosi dei rimedi previsti dall’ordinamento, nel caso di specie, come bene ha ritenuto la Corte territoriale, del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (cfr., nel senso che anche il provvedimento di revoca dell’ordinanza di assegnazione sia atto dell’esecuzione, come tale opponibile ex art. 617 cod. proc. civ., Cass. n. 9541/97, n. 10840/01, n. 16731/09).

6.1.- Col sesto motivo di ricorso i ricorrenti insistono nella denuncia di irrevocabilità dell’ordinanza di assegnazione, con argomenti tutti in sè validi, ma che il loro dante causa, Ma.Fr., avrebbe dovuto addurre in giudizio mediante il rimedio oppositivo di cui si è appena detto, nel termine di cinque giorni dal 24 ottobre 1997. In mancanza, il provvedimento di revoca dell’ordinanza di assegnazione è da reputarsi definitivo ed idoneo a produrre tutti i suoi effetti.

7.- Ed è proprio degli effetti del provvedimento di revoca che si occupa la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari n. 494/08, oggetto del ricorso n. 20861/09.

Con questa sentenza la Corte ha accolto la domanda di restituzione di indebito avanzata nei confronti di Ma.Fr. dal Consorzio, già debitore esecutato, al fine di ottenere, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., la restituzione delle somme oggetto dell’ordinanza di assegnazione in sede esecutiva. Ha ritenuto il giudice di merito che l’assegnazione in favore del M. fosse venuta meno proprio a seguito della revoca dell’ordinanza, con effetti retroattivi tra le parti, e che quindi il creditore sub collocato ex art. 511 cod. proc. civ., non avesse più titolo alcuno per trattenere le somme assegnate e dovesse pertanto restituire tutte quelle già percepite (ed anche quanto alla parte devoluta a terzi), restando inoltre nella definitiva disponibilità del Consorzio quelle ancora giacenti presso il terzo pignorato.

Con il ricorso n. 20861/09 gli eredi M. hanno fatto valere nei confronti del Consorzio ed avverso tale ultima sentenza quattro motivi di impugnazione.

8.- Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, perchè connessi; è, inoltre, opportuno trattarne a questo punto, perchè involgono le medesime questioni di merito già affrontate con riferimento al ricorso n. 28276/10, che sostanzialmente ripropongono.

8.1.- Col secondo motivo di ricorso è infatti dedotta la violazione degli artt. 630 e 632 cod. proc. civ. e dell’art. 187 bis disp. att. cod. proc. civ. esattamente negli stessi termini di cui al terzo motivo del ricorso n. 28276/10, per cui non possono che richiamarsi le considerazioni svolte al precedente punto n. 2.3, per concludere nel senso dell’inammissibilità del motivo. Giova aggiungere che, come anche fatto rilevare dal controricorrente con le note di udienza del 22 settembre 2011, ulteriore motivo di inammissibilità ed improcedibilità del presente ricorso, con riguardo al motivo in esame, si rinviene nel fatto che – a differenza del ricorso n. 28276/10 – il presente non riporta il contenuto dell’ordinanza (asseritamente) di estinzione del 2 agosto 1994 (salvo che per un insufficiente estratto contenuto alla pag. 2, nel corpo dell’esposizione in fatto), nè indica il luogo dove questa potrebbe essere reperita negli atti di causa, sicchè il ricorso è, per un verso, mancante di autosufficienza, per altro verso in violazione dell’art. 369 cod. proc. civ., n. 4.

8.2.- Col terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 617 e 618 cod. proc. civ. esattamente negli stessi termini di cui al quarto motivo del ricorso n. 28276/10, sicchè è sufficiente il richiamo a quanto detto sopra ai numeri 5 (e da 5.1. a 5.3) e 6 (e 6.1.), per concludere nel senso dell’infondatezza del motivo in discorso.

9.- Il primo ed il quarto motivo del ricorso n. 28276/10 sono, invece, inammissibili, così come anche fatto rilevare dal controricorrente con le note predette, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Il ricorso n. 20861/09 è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (23 luglio 2008).

9.1.- Il primo motivo del ricorso – con il quale si denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ., in relazione all’art. 669 sexies, septies e octies, nonchè art. 671 cod. proc. civ., ed, ancora, violazione dell’art. 1711 cod. civ. (quindi, “nullità del processo e della sentenza”), è inammissibile per difettosa formulazione del quesito di diritto.

Infatti, il quesito è formulato in termini tali (“Dica la Corte se, in ordine al motivo di gravame che precede, la Corte d’Appello abbia violato e/o falsamente applicato l’art. 83 c.p.c. (nonchè, per quanto di ragione, l’art. 669 sexies, septies e octies e art. 611 c.p.c.) che prevede che la procura speciale si intenda rilasciata solo per il grado di giudizio per il quale viene conferita e, quindi, per il solo procedimento cautelare ove non sia desumibile, in modo certo e non equivoco, che sia stata conferita anche per il giudizio di merito. Se abbia violato, inoltre, l’art. 1711 c.c., secondo il quale il mandatario non può eccedere i limiti del mandato ricevuto”) da risolversi nell’affermazione di principi generalmente affermati non solo dalla giurisprudenza di legittimità, ma già dalla legge (quanto all’art. 1711 cod. civ.), in merito al contenuto della procura ad litem ed ai limiti del mandato: esso è evidentemente inidoneo a chiarire quale sia l’errore di diritto della sentenza impugnata che i ricorrenti lamentano; più in particolare, non vi sono sintetizzate le ragioni per le quali, nel caso concreto, il giudice d’appello non avrebbe dovuto ritenere valida la procura così come effettivamente rilasciata, poichè, non solo non è sintetizzato quale ne fosse il contenuto, ma nemmeno è dato comprendere, mediante la lettura del solo quesito, quali siano state le ragioni del rigetto dell’eccezione da parte del giudice a quo.

Conclusivamente, il quesito di diritto non consente a questa Corte l’individuazione dell’errore di diritto denunciato dal ricorrente con riguardo alla fattispecie concreta nè l’enunciazione di una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere con la presente sentenza, poichè di tale caso e delle questioni che esso pone non è fornita alcuna valida sintesi logico- giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 26020 del 30 ottobre 2008).

9.2.- Le ragioni di inammissibilità di cui sopra valgono anche con riferimento al quarto motivo di ricorso, con il quale si denuncia il vizio di violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. e violazione del principio del ne bis in idem, svolgendo il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se la Corte d’Appello, con la sentenza qui gravata, abbia violato l’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., ritenendo che la materia sulla quale si è già formato il giudicato fra il Consorzio ed il Me. possa essere oggetto di un nuovo giudizio fra gli stessi e se gli effetti del giudicato della Corte d’Appello di Cagliari si riflettano sulla posizione giuridica del M., che intende avvalersene”. E’ evidente il carattere generico di entrambe le parti del quesito, non idonee a dar conto di quale sia stato il giudicato cui si fa riferimento e di quali effetti si sarebbe voluto giovare il M., nè di quali siano gli errori di giudizio o processuali in cui sarebbe incorso il giudice a quo.

9.3.- Quanto al vizio di motivazione, denunciato, con riferimento alla norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, contenuto nel titolo del primo motivo, non si rinviene il momento di sintesi che questa Corte ha ripetutamente ritenuto indispensabile per una corretta formulazione del quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nel testo come sopra vigente (cfr., tra le altre, Cass. n. 4556/09); per di più, l’illustrazione del motivo è svolta con modalità tali da non consentire di distinguere le parti di essa riservate alla censura di vizio di violazione di legge da quelle relative, invece, al vizio di motivazione. Va quindi reputata inammissibile anche la censura concernente il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione.

10.- Vanno compensate le spese del giudizio di cassazione in ragione delle alterne statuizioni di merito, nonchè della complessità e della peculiarità delle vicende del processo esecutivo (e dei processi riguardanti sia la formazione del titolo esecutivo, sia i diversi rapporti tra il Me., creditore procedente ed il Consorzio, debitore esecutato, nonchè tra quest’ultimo ed il suo creditore, Ma.Fr., dante causa degli odierni ricorrenti) poste a fondamento delle sentenze impugnate.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi n. 20861/09 e n. 28276/10, li rigetta;

compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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