Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26183 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 06/03/2018, dep. 18/10/2018), n.26183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27064 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

B.L., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv. Giorgio Sagliocco, elettivamente

domiciliato in Roma, via Lima n. 7, presso lo studio dell’Avv.

Pasquale Iannuccilli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania n. 4/33/2011, depositata il giorno 18

gennaio 2011;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6 marzo 2018

dal Consigliere Dott. Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la commissione tributaria provinciale di Napoli aveva rigettato il ricorso proposto da B.L., militare della Guardia di Finanza addetto al controllo presso la Dogana del porto di (OMISSIS), con il quale era stato chiesto l’annullamento dell’invito al pagamento dei tributi evasi in relazione all’attività di contrabbando di merce varia contestata nel 1992 ed oggetto di indagine penale chiusasi per avvenuta prescrizione; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello il B., nel contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane;

la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello, in quanto: relativamente alla circostanza che l’appellante non aveva avuto conoscenza del processo verbale di constatazione, assumeva rilevanza il fatto che di esso ne aveva avuto conoscenza in quanto faceva parte del procedimento penale attivato nei suoi confronti; relativamente al difetto di motivazione, l’atto impugnato era sufficientemente motivato sia sotto il profilo dell’an che del quantum; circa il motivo di appello relativo alla non corretta considerazione dell’appellante quale soggetto passivo dell’obbligazione, ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 38, la circostanza che il giudizio penale si era concluso con la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione, non precludeva, comunque, di accertare l’esistenza di una condotta rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligazione tributaria;

B.L. ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania in epigrafe;

si è costituita l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, nonchè del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 323, nonchè per illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), posto che la redazione del processo verbale di constatazione assume carattere obbligatorio, con conseguente invalidità del successivo procedimento e dell’atto oggetto di impugnazione, e, inoltre, in quanto la sentenza non avrebbe provveduto ad una valutazione concreta ed unitaria delle risultanze processuali, che, invece, avrebbe condotto a considerare che il processo verbale di constatazione non era stato mai esibito nel giudizio tributario;

il motivo è infondato;

va in primo luogo osservato che parte ricorrente, pur prospettando la questione della mancata conoscenza del processo verbale di constatazione, non ha provveduto ad allegare al ricorso l’invito di pagamento, il cui esatto contenuto era necessario per consentire a questa Corte di valutare la decisività del fatto controverso per il giudizio, sicchè, sotto tale profilo, il motivo difetta di autosufficienza; in ogni caso, dalla stessa esposizione in fatto del ricorso si evince che l’invito notificato al ricorrente per il pagamento in via solidale dell’importo dovuto a titolo di tributi evasi e interessi è stato emesso a seguito della constatazione con processo verbale n. 455/IV/dog dell’8 ottobre 1992, elevato dal N.R.P.T. della Guardia di Finanza ed a seguito della pronuncia della Corte di Appello di Napoli, 3^ sez. penale, n. 3654 del 6 maggio 2004, allegata all’avviso di pagamento, con la quale è stato dichiarato il non luogo a provvedere per intervenuta prescrizione del reato;

la conclusione, quindi, del procedimento penale ha comportato l’attivazione della pretesa tributaria il cui presupposto sono stati, invero, gli atti di accertamento precedentemente compiuti, in particolare il processo verbale di constatazione sopra indicato;

sotto tale profilo, l’invito notificato al ricorrente ha a suo presupposto il suddetto processo verbale di constatazione, la cui conoscibilità, come correttamente ritenuto dal giudice di appello, deriva dalla considerazione che il contribuente era parte del procedimento penale instaurato anche nei suoi confronti, sicchè ne aveva potuto prendere visione, con tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale; inoltre, dallo stesso ricorso si evince che (vd. pag. 7) l’invito al pagamento, oltre che allegare la sentenza della Corte di Appello di Napoli, richiamava espressamente il processo verbale sopra citato; la circostanza, quindi, che alla base dell’invito al pagamento vi era un verbale di constatazione che deve ritenersi conosciuto dal ricorrente, attesa la sua partecipazione al procedimento penale, comporta che non è ravvisabile alcuna violazione di legge, con conseguenza infondatezza del motivo di impugnazione;

va peraltro osservato, per completezza, che, secondo questa Corte (Cass. civ., sez. 5, 21 marzo 2012, n. 4523), “in tema di provvedimento amministrativo di imposizione tributaria, la motivazione che rinvii alle conclusioni contenute in atti redatti nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, già noti al contribuente, non è illegittima, indicando semplicemente che l’Ufficio procedente ha inteso realizzare un’economia di scrittura, la quale non arreca pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio”;

con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, nonchè per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), non avendo la pronuncia chiaramente motivato sul motivo di appello di parte ricorrente con il quale veniva espressa la doglianza della mancanza di motivazione dell’atto impositivo impugnato, non essendo dallo stesso evincibile quale fosse la ragione dell’adozione dell’atto nei confronti del ricorrente e non essendo possibile una motivazione per relationem con riferimento al processo verbale di constatazione che non era stato mai consegnato, nè nella fase della sua redazione nè a seguito di specifica richiesta di accesso;

il motivo è infondato;

anche con riferimento al presente motivo di censura va rilevato che parte ricorrente, pur prospettando la mancanza di motivazione dell’atto impositivo, non ha provveduto ad allegare al ricorso l’invito di pagamento, il cui esatto contenuto era necessario per consentire a questa Corte di valutare la decisività del fatto controverso per il giudizio, sicchè, sotto tale profilo, il motivo difetta di autosufficienza; in ogni caso, la pronuncia impugnata, dopo avere osservato, circa la questione della motivazione dell’atto impugnato, che il contenuto dello stesso poneva il ricorrente nelle condizioni di conoscere la pretesa dell’Ufficio sia per quanto riguarda l’an che per quanto riguarda il quantum ha ulteriormente precisato, successivamente, che nel caso di specie il credito fatto valere dalla Finanza con l’atto impugnato sulla base delle sentenze penali utilizzate ed utilizzabili per l’individuazione della materialità dei fatti, trovava origine in una obbligazione tributaria e non in una obbligazione di carattere risarcitorio, in tal modo chiarendo che la sussistenza dell’obbligazione tributaria in esame trovava fondamento sulle risultante fattuali di cui alla sentenza della Corte d’Appello penale che, secondo quanto riferito dallo stesso ricorrente (vd. pag. 1 del ricorso), era stata allegata all’invito di pagamento;

dinanzi, dunque, al motivo di impugnazione proposto dall’attuale ricorrente, con il quale si è postulata la carenza di motivazione dell’atto, la pronuncia della Commissione tributaria regionale evidenzia sulla base di quali elementi è pervenuta alla conclusione che il suddetto atto consentisse al ricorrente di avere conoscenza dei presupposti della pretesa impositiva nei suoi confronti, sicchè la stessa risulta avere sufficientemente esplicitato le ragioni logico giuridiche poste a fondamento della statuizione;

con il terzo motivo si censura l’atto impugnato per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), sulla questione della mancanza di prova in ordine alla sussistenza del fatto e della responsabilità personale del ricorrente;

il motivo è infondato;

dall’esame della sentenza impugnata si evince che, in ordine alla questione della prova della pretesa tributaria, la sentenza impugnata ha ritenuto di potere evincere l’indebita sottrazione ai vincoli doganali della merce e la mancata presentazione alle verifiche o ai controlli doganali nei termini prescritti dalle sentenze penali, utilizzate e utilizzabili per l’individuazione della materialità dei fatti; d’altro lato, parte ricorrente, con il presente motivo di ricorso, si è limitata ad una generica contestazione della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rappresentando, tuttavia, considerazioni che attengono, piuttosto, a valutazioni di merito, non esaminabili in questa sede, e comunque senza evidenziare quali passaggi della sentenza penale potessero avere una qualche rilevanza al fine di escludere la attribuibilità nei suoi confronti della responsabilità solidale della pretesa tributaria;

con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 38,41 e 56,nonchè per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per non avere la stessa tenuto conto che, secondo le suddette previsioni normative, al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati solo il proprietario della merce e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata (art. 38), oltre che lo spedizioniere (art. 51), responsabile in via sussidiaria nel caso di inutile escussione del proprietario della merce, sicchè mancherebbe nella materia doganale una normativa specifica che legittimi il recupero anche nei confronti di coloro i quali sarebbero, astrattamente, punibili in sede penale a titolo di concorso;

il motivo è infondato;

preme ricostruire, sotto tale profilo, il quadro normativo di riferimento;

ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 38 (T.U. delle disposizioni legislative in materia doganale), “al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell’art. 56, e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata”;

l’art. 36 del medesimo T.U., poi, prevede che “Agli effetti del primo comma si presume definitivamente immessa in consumo, fatta eccezione soltanto per i casi di cui all’art. 37, la merce o parte di essa che sia stata indebitamente sottratta ai vincoli doganali o che comunque non sia stata presentata alle verifiche o controlli doganali nei termini prescritti o non sia stata rinvenuta all’atto delle operazioni predette; tuttavia, qualora la merce sia stata sequestrata a seguito di violazione doganale, si applica la disposizione di cui all’art. 338, comma 1”;

infine, secondo l’art. 338, del medesimo T.U., “Il pagamento della multa o dell’ammenda non esime dall’obbligo del pagamento dei diritti doganali, salvo il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata”;

così individuate le previsioni normative di riferimento per la fattispecie, non corretta è la tesi di parte ricorrente secondo cui nessuna previsione normativa prevede la responsabilità solidale del concorrente nell’operazione di contrabbando;

invero, il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in esame, dopo avere disciplinato, nel titolo 7, le violazioni doganali e configurato le varie ipotesi di reati di contrabbando (art. 282 e segg.), di contravvenzioni e di illeciti amministrativi (artt. 302 e segg.), prevede, nel Capo 3, le disposizioni comuni e, in questo contesto, all’art. 338, prevede che il pagamento della multa o dell’ammenda non esime dall’obbligo del pagamento dei diritti doganali, (…) A tale pagamento è obbligato, solidalmente con il colpevole del contrabbando, anche il ricettatore;

la norma, quindi, prevede una obbligazione di pagamento, autonoma rispetto a quella configurata nella previsione di cui all’art. 38 del medesimo T.U., che deriva dalla circostanza che il mancato pagamento dell’imposta è da ricondursi, in questo caso, alla commissione di una delle condotte illecite descritte nelle precedenti norme sanzionatorie;

la circostanza che la norma in esame colleghi l’obbligo del pagamento dei diritti doganali all’autore del contrabbando, peraltro, comporta l’estensione dell’obbligazione anche nei confronti di tutti coloro che hanno concorso alla realizzazione del fatto di reato, quindi anche nei confronti di chi, con il proprio comportamento attivo o omissivo, ha preso parte alla commissione della condotta illecita;

questa ricostruzione trova il suo riscontro nella generale previsione di cui all’art. 36, comma 4, del T.U. sopra citato, secondo cui costituisce presupposto dell’obbligazione tributaria, oltre che la regolare destinazione delle merci al consumo entro il territorio doganale, anche il caso in cui l’immissione in consumo della merce avviene a causa dell’indebita sottrazione ai vincoli doganali o comunque della mancata presentazione alle verifiche o controlli doganali nei termini prescritti di mancato rinvenimento all’atto delle operazioni predette;

proprio il richiamo fatto dalla previsione in esame all’ipotesi derogatoria di cui all’art. 338, comma 1, T.U., implica la volontà del legislatore di configurare il presupposto dell’imposta, nei casi di specificamente indicati dell’art. 36 cit., comma 4, anche in relazione all’ipotesi in cui l’immissione in consumo della merce avvenga in modo illecito, aggiungendo, rispetto a quanto previsto nell’art. 38 cit., una ulteriore soggettività passiva dell’obbligazione tributaria nel caso di condotta illecita;

tale linea interpretativa trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte anche meno recente (vd. in particolare, Cass. civ., sez. 1, 9 febbraio 1989, n. 802), secondo cui sia nel caso in cui il reato di contrabbando si realizzi attraverso l’introduzione clandestina o il pericolo di introduzione clandestina nel territorio nazionale di merce soggetta a diritti di confine ovvero mediante l’assoggettamento delle merci stesse alle formalità doganali con impiego di documenti non veri o di altri artifici che determinano la fraudolenta evasione del tributo, l’obbligo del pagamento dei diritti doganali ricade, oltre che sugli autori dell’illecito penale, anche sul proprietario della merce o su colui, per conto del quale essa sia stata importata, salvo che ne risulti l’estraneità all’operazione illecita;

attesa la rilevanza della questione, si ritiene di dovere enunciare il seguente principio di diritto: “La previsione di cui del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 338, comma 1, implica la volontà del legislatore di configurare il presupposto dell’imposta, nei casi di specificamente indicati dell’art. 36 cit., comma 4, anche in relazione all’ipotesi in cui l’immissione in consumo della merce avvenga in modo illecito, aggiungendo, rispetto a quanto previsto nell’art. 38 cit., una ulteriore soggettività passiva dell’obbligazione tributaria nel caso di condotta illecita”;

va, peraltro, osservato che non assume rilevanza in questa sede la circostanza, dedotta da parte ricorrente, che la sentenza della Corte di Appello di Napoli non ha dichiarato la colpevolezza del ricorrente per il reato di contrabbando contestato, assumendo rilevanza la circostanza che il giudice di appello ha ritenuto che il credito dell’amministrazione finanziaria trovava fondamento nella sentenza penale in esame utilizzabile per l’individuazione della materialità dei fatti contestati;

il ricorso, pertanto, è infondato e deve essere rigettato;

la condanna alle spese di lite, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore

della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 4.000,00,

oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 6 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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