Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26182 del 21/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26182 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PETITTI STEFANO

divisione

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PASSAGLIA Fulvio (PSS FLV 43P09 L833J), rappresentato e
difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Francesco Ferroni, elettivamente domiciliato
in Roma, via Emilio De’ Cavalieri n. 11, presso lo studio
dell’Avvocato Anton Giulio Lana;

– ricorrente
contro
QUINTAVALLE Bruno (QNT BRN 29M23 I622W), in proprio e quale
erede di Biagi Maria, QUINTAVALLE Donatella (QNT DTL 56L53
I622W), QUINTAVALLE Daniele (QNT DNL 68°24 G6280),
QUINTAVALLE Gino (QNT GNI 61S08 16220), tutti quali eredi
di Biagi Maria, QUINTAVALLE Renzo (QNT RNZ 43R27 16221),
BEGGI Clara (BGG CLR 42L47 D730A), QUINTAVALLE Fulvio (QNT
FLV 45S12 I622V), BAZZICHI Gabriella ((BZZ GRL 47D67

Data pubblicazione: 21/11/2013

D730N), rappresentati e difesi, per procura speciale in
calce al controricorso, dagli Avvocati Adarosa Ruffini ed
Emanuela Degl’Innocenti, elettivamente domiciliati in Roma,
via Mirabello n. 18, presso lo studio dell’Avvocato Umberto

– controricorrenti avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 436
del 2010, depositata il 22 marzo 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 23 ottobre 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;
sentito,

per i

resistenti,

l’Avvocato Umberto

Ricchiello per delega.
Ritenuto che il Tribunale di Lucca – Sez. distaccata di
Viareggio, con sentenza del 18 gennaio 2005, decidendo
sulla domanda di divisione del compendio immobiliare sito
nel Comune di Massarossa, via del Brentino, ne dichiarava
l’indivisibilità e assegnava l’intero compendio agli
attori, disponendo il pagamento di un conguaglio di euro
38.958,34 in favore di Passaglia Fulvio, titolare della
quota indivisa di 5/12;
che quest’ultimo proponeva appello insistendo per la
divisione del bene e lamentando l’esiguità della stima
dello stesso, e quindi del conguaglio disposto in suo
favore;

Ricchiello;

che la Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 436
del 2010, respingeva il gravame ribadendo la non comoda
divisibilità del bene, stante la necessità di interventi di
ristrutturazione edilizia costosi e complessi, e

conguaglio in quanto domanda nuova;
che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il Passaglia sulla base di tre motivi;
che hanno resistito, con controricorso,

QUINTAVALLE

Bruno, in proprio e quale erede di Biagi Maria, QUINTAVALLE
Donatella, QUINTAVALLE Daniele, QUINTAVALLE Gino,

quali eredi di Biagi Maria, QUINTAVALLE Renzo,

tutti

BEGGI Clara,

QUINTAVALLE Fulvio e BAZZICHI Gabriella;

che, essendosi ravvisate le condizioni per la
trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata
redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico
Ministero.
Considerato

che il relatore designato ha formulato la

seguente proposta di decisione:
«[ (…)] Con il primo motivo parte ricorrente lamenta
omessa, insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio

ex art. 360 cod.

proc. civ. n. 5, con riferimento alla sussistenza di
ragioni ostative alla divisione in natura del bene.

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dichiarando inammissibile la domanda di pagamento di

Secondo parte ricorrente la ritenuta non comoda
divisibilità del bene, oltre a non essere congruamente
motivata, costituirebbe passaggio interpretativo opinabile
della Corte su cui non Appare lecito fondare la motivazione

La doglianza non è fondata.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei
principi enunciati dai giudici di legittimità in tema di
comoda divisibilità nell’ambito della divisione di un bene.
Infatti, è principio consolidato quello secondo cui in tema
di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un
immobile può essere ritenuta, tra le altre cose, nella
impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili
di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù,
pesi o limitazioni eccessivi, e non richiedenti opere
complesse e di notevole costo (Cass. n. 7083 del 1995).
Infatti, il concetto di comoda divisibilità di un immobile
presupposto dall’art. 720 cod. civ. postula, sotto
l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia
attuabile mediante determinazione di quote concrete
suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano
formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici
eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economicofunzionale, che la divisione non incida sull’originaria
destinazione del bene e non comporti un sensibile

della sentenza.

deprezzamento del valore delle singole quote rapportate
proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto
dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione
del bene stesso (Cass. n. 12498 del 2007).

comodamente divisibile, ha dato conto della valutazione
fatta, ritenendo che l’eventuale divisione, come
prospettata da parte appellante, fosse troppo costosa e che
per questo non potesse essere imposta ai condividenti. Nel
caso di specie, in particolare, è proprio avuto riguardo
alla destinazione attuale del bene e alla impossibilità di
costringere i comproprietari a mutamenti di destinazione
che i giudici di appello hanno respinto il relativo motivo
di gravame.
Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione circa
un fatto controverso consistente nella stima del valore di
mercato del bene, elemento decisivo in ordine al giudizio
sul deprezzamento delle singole quote. Secondo parte
ricorrente, non potrebbe motivarsi il deprezzamento delle
singole quote in termini astratti, senza far riferimento al
prezzo di mercato del bene.
Anche tale doglianza non pare poter intaccare la
correttezza delle statuizioni della Corte di merito. Le
critiche non colgono ancora una volta la ratio

decidendi

della decisione impugnata, la quale ha fondato la

La Corte fiorentina nel ritenere che l’immobile non fosse

valutazione di non comoda divisibilità, non già sul
deprezzamento che il bene verrebbe a subire a seguito di
divisione, quanto sull’impossibilità di procedervi, stanti
le condizioni attuali dello stesso, ostative al godimento

lavori costosi, cui nessuno può essere tenuto.
Con il terzo ed ultimo motivo si lamenta violazione o falsa
applicazione di norme di diritto

ex art. 360 n. 3 cod.

proc. civ. per omessa pronuncia sulla rivalutazione del
conguaglio stabilito a favore del non-assegnatario, in
quanto la Corte non avrebbe provveduto, come era suo
compito, all’adeguamento del conguaglio dovuto
all’assegnatario.
Anche in relazione a tale ultima doglianza deve concludersi
per il rigetto ma la motivazione della Corte d’appello sul
punto va corretta, ex art. 384 cod. proc. civ.
Invero, la domanda di rivalutazione del conguaglio è sì da
dichiararsi inammissibile, non già però in quanto domanda
nuova, bensì a causa della mancanza di interesse del
Passaglia, al quale era stata attribuita dai giudici di
merito la somma dallo stesso richiesta. Come più volte si è
avuto modo di affermare, in materia di debiti di valore,
quale il debito da conguaglio, poiché la rivalutazione ha
funzione di reintegrazione patrimoniale, che realizza il
petItum originario, la richiesta di ulteriore adeguamento

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autonomo di singole porzioni se non previa realizzazione di

monetario in appello, che può essere liquidato anche di
ufficio, non integra una domanda nuova per gli effetti di
cui all’art. 345 cod. proc. civ. (Cass. n. 1298 del 1997).
L’inammissibilità della domanda proposta in appello dunque

una soccombenza della parte, anche parziale, nel precedente
giudizio, in assenza della quale è escluso l’interesse ad
impugnare del destinatario della pronuncia (Cass. n. 5133
del 2007). Nel caso di specie, il Passaglia stesso aveva
chiesto ed ottenuto che, in ipotesi di indivisibilità, si
procedesse all’assegnazione del bene ai comproprietari
ordinando agli stessi di effettuare il pagamento del
conguaglio in denaro pari ad euro 38.954,34, così come
quantificato in c.t.u. Da ciò deriva la mancanza di
interesse ad impugnare il punto della sentenza relativo al
quantum.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora
il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si
ritiene che il giudizio possa essere trattato in camera di
consiglio ai sensi dell’art. 375 n. 5 cod. proc. civ. ed
essere rigettato»;
che il Collegio condivide la proposta di decisione,
alla quale del resto non sono state rivolte critiche di
sorta;

discende dalla mancanza di interesse, presupponendo questa

che quindi il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del
principio della soccombenza, al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00
per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 23 ottobre 2013.

PER QUESTI MOTIVI

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