Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26182 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. III, 17/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 17/11/2020), n.26182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15958-2018 proposto da:

B.L., C.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE MAZZINI, 114/B, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA

BELLOCCO, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANIA COMINI;

– ricorrenti –

contro

D.L., L.P.R.;

(OMISSIS) SPA – (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MONTE ASOLONE, 8, presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO ALBERTO

CIANI;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il

13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1.- I ricorrenti sono C.F. e la moglie B.L., ed hanno agito in giudizio nei confronti dell'(OMISSIS) spa e del Dott. D.L., sostenendo che quest’ultimo che agiva all’interno del predetto ospedale, per negligenza, aveva causato la perdita della vista dell’occhio destro al C..

In particolare, costui era affetto da glaucoma ad angolo aperto, che avrebbe richiesto un intervento complesso di tipo filtrante, anzichè quello di iridectomia di fatto praticato.

Il C., dopo circa sessanta giorni da tale intervento ha subito una infezione batterica, che ha poi portato alla perdita della vista.

Egli, con la citazione in giudizio dell’Ospedale e del medico, ha lamentato sia l’omissione del consenso informato che la negligenza consistita nell’avere attuato un intervento meno filtrante e importante di quello che era necessario.

2.- La causa di primo grado è stata istruita prevalentemente per tramite di consulenza tecnica, che ha escluso il nesso causale tra l’intervento praticato dal medico e l’infezione decisiva per il danno; ha, si, ritenuto che sarebbe stato più indicato un intervento filtrante, ma ha escluso che comunque, pur avendo il medico scelto quello meno indicato (iridectomia), questa sua condotta possa essere stata causa del danno, che si è verificato del resto a distanza di tempo significativa.

Il Tribunale ha poi accertato che il paziente era stato compiutamente informato e di conseguenza era stato validamente raccolto il suo consenso.

Tuttavia, sul presupposto che vi fosse stato un ritardo nel trattamento, il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento per una invalidità temporanea subita dal paziente.

3.- I due ricorrenti hanno proposto appello, lamentando la mancata rinnovazione della CTU, l’adesione acritica ad essa da parte del giudice di primo grado; hanno inoltre contestato la valutazione del giudice di primo grado quanto al nesso di causalità. Avverso invece il capo di sentenza che ha condannato al risarcimento del danno alla persona (in misura parziale) hanno proposto appello incidentale sia il medico che l’Ospedale.

La corte di secondo grado ha emesso ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., ritenendo che l’impugnazione non avesse probabilità di essere accolta, sia quanto all’appello principale che a quello incidentale.

Ricorrono C.F. e B.L. con sette motivi.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I ricorrenti impugnano l’ordinanza emessa dalla corte di appello ex art. 348 ter c.p.c., ma non per vizi di natura processuali, suoi propri, bensì assumendo che si tratti nella sostanza di una sentenza.

In pratica, i ricorrenti ritengono che la corte di appello non si è limitata ad una prognosi della fondatezza della impugnazione, e non si è limitata a ritenere l’appello non accoglibile aderendo alle motivazioni del primo grado, bensì ha integrato la motivazione di quello, sostituendola anche con propri argomenti e diverse rationes decidendi.

Di conseguenza, l’ordinanza di inammissibilità, pur formalmente tale, è da ritenersi sentenza, e come tale ricorribile per Cassazione ex art. 360 c.p.c..

I sette motivi di ricorso sono dunque indirizzati verso la decisione della corte di appello a contestare quelle che sono ritenute essere autonome rationes decidendi di quest’ultima.

2.- I controricorrenti, ossia l’Ospedale e il Dott. D. hanno eccepito entrambi l’inammissibilità del ricorso con motivazioni coincidenti.

Poichè le eccezioni di inammissibilità sono fondate, l’esame va ad esse rivolto piuttosto che ai motivi di censura, che dunque non possono essere presi in considerazione. Ed i profili di inammissibilità sono due.

2.1.- Intanto, va escluso che il ricorso debba considerarsi inammissibile per difetto di procura.

I controricorrenti eccepiscono che la procura speciale è stata conferita al difensore per impugnare la sentenza del Tribunale unitamente, per vizi formali e propri, alla ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., mentre di fatto è stata impugnata quest’ultima in quanto sentenza.

Con la conseguenza che sarebbe stata rilasciata procura per impugnare un atto diverso (ossia la sentenza del Tribunale di Torino e l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.) rispetto all’atto effettivamente impugnato (sentenza ex art. 348 ter c.pc.).

Questa eccezione è infondata.

Invero, non v’è alcuna differenza di oggetto tra la procura rilasciata e l’atto effettivamente impugnato. La procura è rilasciata dalle parti per impugnare anche l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. e proprio tale ordinanza viene qui impugnata, sia pure qualificandola come sentenza, ma è ovvio che questa qualificazione non implica che si sta impugnando un atto diverso: l’atto è il medesimo, ossia la decisione della corte di appello, e resta il medesimo anche se il ricorrente assume (ma è lui a farlo) che quell’atto abbia sostanza di sentenza.

2.2.- Invece fondata appare l’eccezione di tardività del ricorso.

Il termine per impugnare l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., che vale anche nel caso di impugnazione autonoma (Cass. n. 1 del 2019) decorre dalla notificazione del procedimento o dalla sua comunicazione (Cass. 20852/2018), con conseguente onere, nel caso in cui il ricorso sia proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla decisione, in capo al ricorrente, di depositare prova della notifica o della comunicazione cosi da dimostrare la diversa decorrenza.

Non risulta invece depositato biglietto di cancelleria che attesti la data della comunicazione, cosi che non risulta superata la presunzione di tardività del ricorso (notificato il 21.5.2018) per superamento del termine di sessanta giorni dalla sentenza (13.12.2017).

3.- Ad ogni modo, v’è un altro profilo di inammissibilità.

Ed infatti i sette motivi sono tutti rivolti a censurare “nel merito” la decisione della corte di appello, come se questa avesse autonomo valore di sentenza, essendosi sostituita a quella di primo grado.

E’ noto come l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass. sez. un. 914 del 2016).

Tuttavia, non si applica l’art. 348 ter c.p.c., comma 3 e la decisione di appello diventa impugnabile ex art. 360 c.p.c., con diretto ricorso per Cassazione, avendo natura di sentenza, quando il giudice di appello rilevi l’inesattezza della motivazione della decisione di primo grado e sostituisca ad essa una diversa argomentazione in punto di fatto o di diritto (Cass. n. 15644/ 2017; Cass. 25366/ 2018).

I ricorrenti infatti ritengono che la corte di appello non si sia limitata a valutare prognosticamente la fondatezza della impugnazione, ma abbia integrato la decisione di primo grado con autonome rationes, o con una diversa argomentazione.

Su questo presupposto ritengono che l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. abbia natura di sentenza e la impugnano come tale.

In realtà questo assunto è infondato e rende inammissibile il ricorso.

Come è agevole notare dalla lettura del provvedimento, la corte di appello aderisce in pieno alle argomentazioni del Tribunale, non rilevando alcuna insufficienza in esse e dunque non sostituisce la propria alla motivazione del primo grado, nè integra quest’ultima con ragioni ulteriori o diverse.

La corte di appello condivide l’adesione resa dal giudice di primo grado alla CTU, cosi come condivide la decisione di non rinnovare la consulenza, che pure era uno dei motivi di impugnazione da parte dei ricorrenti (p 2-4), come è dimostrato dalla affermazione secondo cui “non è censurabile la decisione del Tribunale di accogliere tali conclusioni (quelle dei ctu, ndr)….il giudice è, si, peritus peritorum, ma come pure lo stesso tribunale ha ricordato “è rimesso al suo prudente apprezzamento… recepire le argomentazioni dell’esperto….. ed in ogni caso il giudice non ha un obbligo di argomentare circa l’accoglimento delle conclusioni dell’ausiliario… quando quest’ultimo… abbia provveduto nella relazione definitiva a replicare alle osservazioni critiche di parte” (p. 4).

In sostanza non v’è e del resto non appare tale neanche dai motivi di ricorso spazio per ritenere che la corte di appello, ritenuta insufficiente la motivazione del primo grado, l’abbia integrata o modificata.

Con la conseguenza che il ricorso, nel merito, andava rivolto verso la decisione del Tribunale, e non verso l’ordinanza della corte di appello, che poteva essere oggetto di ricorso per Cassazione solo quanto a vizi proprio ma costituenti violazioni della legge processuale.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite nella misura di 4000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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