Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26181 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 06/03/2018, dep. 18/10/2018), n.26181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E.L. – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO di NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19714 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

INTEK s.p.a. (incorporante la INTEKCAPITAL s.p.a., a sua volta

incorporante la FIME Leasing s.p.a.,) in persona del rappresentante

legale, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

ricorso, dall’Avv. Andrea Russo, elettivamente domiciliata presso lo

studio dello stesso difensore in Roma, viale Castro Pretorio, n.

122, (studio Pirola Pennuto Zei & Associati).

– ricorrente –

contro

Equitalia sud s.p.a. (quale incorporante la Equitalia Polis s.p.a.),

in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura in calce al controricorso, dall’Avv. Michele Di Fiore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Ottaviano n. 42, presso lo

studio dell’Avv. Bruno Lo Giudice.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania n. 15/31/11, depositata il giorno 24

gennaio 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2018

dal Consigliere Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società FIME Leasing s.p.a. aveva proposto ricorso avverso la cartella di pagamento relativa a somme iscritte a ruolo straordinario in conseguenza della pronuncia della Commissione tributaria regionale, posta a fondamento della pretesa, che aveva riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso proposto per contestare la legittimità dell’avviso di rettifica con il quale era stata accertata una maggiore IVA per l’anno di imposta 1992; il ricorso era stato proposto sia per esistenza di un giudicato esterno sia per la non corretta determinazione degli interessi non essendo stata data alcuna indicazione del criterio seguito per la loro determinazione; la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva rigettato il ricorso; la società contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello, in quanto: relativamente alla questione della esistenza di un giudicato esterno, ha ritenuto che, essendo la cartella conseguente alla pronuncia della sentenza della Commissione tributaria regionale (che aveva riformato la pronuncia di primo grado e ritenuto la legittimità dell’avviso di rettifica IVA per l’anno 1992), non potevano farsi valere in sede esecutiva motivi di impugnazione consistenti nella esistenza di un giudicato sorto in epoca precedente alla pronuncia in esame, tenuto conto che, peraltro, la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale sul cui presupposto era stata emessa la cartella di pagamento; relativamente al motivo di appello concernente la mancata indicazione dei criteri di determinazione degli interessi dovuti quali risultavano dalla cartella impugnata, ha ritenuto che era sufficiente fare riferimento ai criteri previsti per legge e che non era sufficiente una generica contestazione, essendo necessaria una rigorosa dimostrazione dell’erroneità delle determinazioni riportati nella cartella, supportata dalla indicazione di adeguati prospetti di calcolo;

la INTEK s.p.a., come qualificata in epigrafe, ricorre con nove (erroneamente indicati dieci) motivi di ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania in epigrafe;

la medesima società ha poi depositato controricorso a ricorso incidentale in data 15 novembre 2011 e documenti in data 28 febbraio 2014 e 18 marzo 2014 e memoria in data 20 febbraio 2018; si è costituita Equitalia sud s.p.a. depositando controricorso contenente ricorso incidentale;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato di costituzione con il quale ha chiesto di ricevere l’avviso di udienza per la partecipazione alla discussione nonchè memoria in data 23 febbraio 2018.

Diritto

CONSIDERATO

che:

va preliminarmente dato atto che avverso il capo della sentenza relativa alla esistenza di un giudicato esterno la ricorrente non ha proposto motivi di ricorso, sicchè tale punto di giudicato non è oggetto di contestazione, dovendosi quindi limitare l’oggetto del giudizio ai soli motivi di ricorso proposti che attengono alla ulteriore questione della determinazione degli interessi.

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per nullità del procedimento e della sentenza, ai sensi degli artt. 159 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione degli artt. 160, 170, 330 e 350, nonchè del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 16 e 17, in quanto l’appello era stato notificato da essa contribuente a Equitalia Polis s.p.a. presso il domicilio eletto, consistente nella sede legale, ma non nei confronti del procuratore costituito;

con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 159,160,161,170,291 e 350 c.p.c., nonchè del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 16 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto l’appello era stato notificato da essa contribuente a Equitalia Polis s.p.a. presso il domicilio eletto, consistente nella sede legale, ma non nei confronti del procuratore costituito;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, riguardando la questione della non corretta notifica dell’atto di appello dalla società a Equitalia Polis s.p.a., sono infondati;

va, infatti, considerato che il motivo di doglianza attiene alla circostanza che la società contribuente aveva proposto l’appello con atto indirizzato a Equitalia Polis s.p.a. presso il domicilio eletto nella sede legale, ma non al procuratore costituito, sicchè, secondo la società contribuente, il giudice di appello avrebbe dovuto disporre d’ufficio la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., sicchè ne deriverebbe la nullità del procedimento di secondo grado;

sul punto, prima di ogni considerazione sulla effettiva nullità della notifica dell’atto impugnato, va osservato che la previsione di cui all’art. 291 c.p.c. è posta a presidio della tutela dell’interesse della parte convenuta in giudizio a che nei suoi confronti sia stato regolarmente costituito il contraddittorio con una notifica regolare, restando, invece, sua facoltà, una volta che sia stata regolarmente citata, valutare se costituirsi nel giudizio o restare contumace;

lo stesso costante orientamento di questa Corte in ordine alla efficacia sanante della nullità della notificazione ove il contumace si sia costituito è indice dell’esclusivo interesse alla tutela del diritto al contraddittorio della parte che abbia ricevuto la notifica non regolare, essendo questa soltanto portatrice dell’interesse a far valere, eventualmente, come motivo di impugnazione, la non regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, la illegittimità della pronuncia resa in difetto della propria regolare citazione in giudizio, ovvero a sanare il difetto di contraddittorio, costituendosi in giudizio; ciò posto, proprio tenuto conto che Equitalia sud s.p.a., pur costituendosi in questo grado di giudizio, non ha ritenuto di dovere prospettare alcuna ragione di tutela dei propri interessi per eventuale difetto di regolare contraddittorio del giudizio di secondo grado, anzi, nel proprio controricorso, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del presente motivo di ricorso, preclude in questa sede ogni possibile valutazione in merito alla dedotta nullità del procedimento di secondo grado, essendo, come detto, solo questa parte portatrice dell’interesse a tutela del quale è posta la previsione di legge in esame;

lo strumento dell’impugnazione, che costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame e, in particolare, della esigenza di tutela processuale in relazione a previsioni normative poste a presidio degli interessi propri della parte che li intende far valere;

inoltre, il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole;

la ricorrente, che peraltro ha posto in essere l’atto di notifica della cui irregolarità la stessa si duole in questa sede, difetta, quindi, di un interesse a prospettare il motivo di censura in esame, non essendo la parte a tutela del cui interesse è posta la previsione normativa di cui all’art. 291 c.p.c.;

la stessa, peraltro, si limita a prospettare la doglianza, senza alcuna precisazione del risultato concreto a sè favorevole dall’eventuale accoglimento del motivo di censura;

con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, per avere reso una motivazione solo apparente sulla questione relativa all’esatto calcolo degli interessi di cui alla cartella di pagamento;

con il quarto motivo (indicato come quinto) si censura la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., consistente in una omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere il giudice di appello pronunciato sui motivi specifici di appello concernenti l’erroneità degli interessi addebitati; i motivi, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla ritenuta nullità della sentenza, sono infondati;

la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata sulla questione in esame, esaminando specificamente il motivo di appello ritenendo che lo stesso era infondato posto che la determinazione dell’importo degli interessi è regolato dalla legge alla quale occorre fare riferimento per la loro determinazione senza necessità di alcuna specificazione. Ha, altresì aggiunto, con riferimento all’onere probatorio gravante sull’appellante, che quanto dedotto risultava generico, posto che non risultava provata l’erroneità di tale determinazione, non riscontrandosi l’indicazione di prospetti di calcolo che consentissero di rilevare che gli importi richiesti a titolo di interessi fossero diversi da quelli asseriti da parte appellante;

non può, quindi, ritenersi sussistente una motivazione meramente apparente, posto che, come detto, la pronuncia ha chiarito che il punto di partenza, trattandosi di calcolo di interessi derivanti da una cartella di pagamento emessa a seguito di una pronuncia della Commissione tributaria regionale, erano le previsioni di legge di riferimento e che l’onere probatorio dell’appellante, diretta rendere chiara la non corretta applicazione delle previsioni di legge, non era stato assolto;

nè può ritenersi che vi sia stata violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto, come detto, il motivo in esame è stato specificamente preso in considerazione dalla pronuncia impugnata;

con il quinto motivo (indicato come sesto) si censura la sentenza impugnata per mancato esercizio del potere giurisdizionale in relazione al principio di diritto vivente della natura “impugnazione-merito” del processo tributario, desumibile dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1,2,7 e 36, in combinato disposto con gli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere esaminato il merito della pretesa tributaria, valutando se gli interessi ammontassero effettivamente a quanto indicato nella cartella o se invece tale determinazione fosse frutto di errore;

il motivo è inammissibile;

si è sopra precisato che la pronuncia impugnata ha tenuto conto del motivo di appello ed ha espressamente statuito che gli interessi indicati nella cartella di pagamento impugnata trovavano nella legge la propria fonte di riferimento;

pertanto, il parametro, indicato dal giudice di appello e sulla cui base ha orientato la decisione ai fini del rigetto del motivo di impugnazione in esame è stato, correttamente, quello di richiamare i criteri di legge che definiscono espressamente le modalità di calcolo degli interessi;

la prospettiva sulla quale, dunque, parte ricorrente avrebbe dovuto orientare il motivo di doglianza sul punto avrebbe dovuto essere quella della eventuale violazione di legge, rappresentando quale fosse il corretto criterio normativo da applicare e in che misura la pronuncia in esame, nel ritenere corretto l’importo degli interessi di cui alla cartella di pagamento, si fosse distaccata dai suddetti parametri normativi;

nel motivo di ricorso in esame, così come per quelli cui si farà riferimento in seguito, la parte lamenta la non considerazione dei propri calcoli, senza tuttavia chiarire in che misura la sentenza impugnata, nel ritenere corretta la misura degli interessi di cui alla cartella, non abbia fatto buon governo delle previsioni normative di riferimento;

sotto tale profilo, il presente motivo di impugnazione è da considerarsi inammissibile, in quanto prospetta ragioni di censura della sentenza impugnata la cui decisione sul punto è stata fondata sulla ritenuta corretta applicazione dei criteri di legge prescritti per la determinazione dei calcoli degli interessi;

con il sesto motivo (indicato come settimo) si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che era a carico della società contribuente che gravava l’onere di dimostrare l’erroneità della determinazione degli interessi;

il motivo è infondato;

la sentenza impugnata ha ritenuto che gli interessi indicati nella cartella di pagamento erano stati conteggiati in base ai criteri di legge, sicchè ha correttamente ritenuto che era onere della parte che sosteneva l’illegittimità della cartella per non avere correttamente applicato i criteri di legge assumere l’onere probatorio diretto a rendere evidente l’erronea applicazione della legge;

con il settimo motivo (indicato come ottavo) si censura la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., consistente in una omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere esaminato il motivo di appello con il quale si censurava la nullità della cartella di pagamento per carenza di motivazione;

con l’ottavo motivo (indicato come nono) si censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3,nonchè della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere dichiarato la nullità della cartella di pagamento per difetto di motivazione, essendo principio ricavabile dalle suddette previsioni normative che tutti gli atti amministrativi devono essere motivati;

le considerazioni espresse con riferimento al quarto e quinto motivo di ricorso hanno valore assorbente per i motivi di ricorso in esame, che possono essere esaminati unitamente attenendo alla medesima questione del difetto di motivazione della cartella impugnata;

invero, il giudice di appello ha ritenuto che la cartella di pagamento era adeguata ai criteri di determinazione degli interessi previsti per legge e tale statuizione costituisce pronuncia sul motivo proposto dalla società contribuente circa la mancanza di motivazione della cartella circa i criteri seguiti per il calcolo degli interessi;

inoltre, come precisato con riferimento al sesto motivo di censura, la sentenza impugnata ha ritenuto che gli interessi indicati nella cartella di pagamento erano stati conteggiati in base ai criteri di legge, sicchè tale profilo implica una statuizione del giudice di appello in ordine alla infondatezza del motivo di ricorso relativo al difetto di motivazione dell’atto impugnato;

con il nono motivo (indicato come decimo) si censura la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in quanto ha espresso un giudizio della correttezza dell’ammontare degli interessi indicato in cartella, sebbene la società contribuente avesse dedotto un diverso conteggio, senza descrivere il procedimento logico mediante il quale

era addivenuta al suddetto giudizio e senza fornire alcuna indicazione su quanto, invece, dedotto dalla società contribuente; il motivo è inammissibile;

vale, in questo caso, quanto si è avuto modo di chiarire con riferimento al quinto motivo di ricorso, dove si è precisato che a prospettiva sulla quale parte ricorrente avrebbe dovuto orientare il motivo di doglianza avrebbe dovuto essere quella della eventuale violazione di legge, rappresentando quale fosse il corretto criterio normativo da applicare e in che misura la pronuncia in esame, nel ritenere corretto l’importo degli interessi di cui alla cartella di pagamento, si fosse distaccata dai suddetti parametri normativi; per quanto sopra esposto, il ricorso principale è infondato, con conseguente rigetto del medesimo;

con riferimento al motivo di ricorso incidentale, Equitalia sud s.p.a. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la propria legittimazione passiva, quando, invece, le questioni oggetto di giudizio riguardavano la sola legittimità dell’attività impositiva dell’ente creditore, non anche vizi formali della cartella di pagamento notificata;

il motivo è stato proposto in via subordinata all’accoglimento del ricorso principale, sicchè, atteso il rigetto del medesimo, viene meno la necessità di una pronuncia in merito;

ne consegue il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

la condanna alle spese di lite, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso principale;

dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle parti controricorrenti che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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