Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26181 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/11/2020, (ud. 14/05/2019, dep. 17/11/2020), n.26181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2573/2013 R.G. proposto da:

LA BAIA SO.GE.T. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Damascelli,

elettivamente domiciliata in Roma nello studio dell’Avv. Giovanni

Bellomo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ope legis

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 55/5/2012, depositata il 2 luglio 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2019

dal Cons. Leuzzi Salvatore;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito per l’Agenzia delle Entrate l’Avv. Roberto Palasciano.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La CTR della Puglia ha respinto l’appello proposto da La Baia So.Ge.T. s.r.l. avverso la sentenza della CTP di Bari che, in parziale accoglimento dei separati ricorsi – successivamente riuniti – avanzati dalla società contro l’avviso di accertamento notificatole dall’Agenzia delle Entrate per il recupero del credito di imposta L. n. 388 del 2000 ex art. 8, utilizzato in compensazione con debiti tributari (secondo acconto IRES e secondo acconto IRAP 2007) non ancora sorti, nonchè contro la successiva cartella notificatale da Equitalia E.TR, aveva ritenuto legittima la compensazione limitatamente all’IRAP ed aveva inoltre annullato l’atto impositivo nella parte relativa all’irrogazione delle sanzioni; la CTR ha, per contro, parzialmente accolto l’appello incidentale dell’Agenzia, rilevando che la compensazione operata per l’IRAP era ammissibile solo sino all’importo di Euro 14.911, corrispondente al debito d’ imposta effettivamente dichiarato.

Il giudice d’appello ha rilevato: che la norma di cui all’art. 8, comma 5, cit. impedisce un utilizzo del credito di imposta diverso dalla compensazione con debiti d’imposta già esistenti, nè consente al contribuente di verificare, con giudizio prognostico, la maturazione di un debito nel periodo d’imposta successivo e quindi di anticiparne il pagamento con un versamento in acconto compensato dal credito in questione, tanto più che, nel caso di specie, “i/ quantum pro gnosticamente calcolato di Euro 220.000,00 non trovava riscontro nella situazione della società emergente dalla successiva dichiarazione dei redditi”; che, tuttavia, la non debenza dell’acconto versato in compensazione postulava l’inapplicabilità della sanzione per omesso versamento irrogata dall’Ufficio.

Avverso la sentenza, depositata il 2 luglio 2012, La Baia So.G.Et. s.r.l. e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto separati ricorsi per cassazione, (l’uno, notificato per primo, da qualificare come principale e l’altro come incidentale) entrambi affidati ad un unico motivo. La contribuente ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo del ricorso principale La Baia SO.G.ET. lamenta la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, e del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere i giudici d’appello erroneamente ritenuto che l’assenza di un debito fiscale IRES nell’anno di imposta 2006 escludesse l’utilizzabilità in compensazione del relativo credito d’imposta; sostiene al riguardo che la compensazione era legittima quantomeno sino alla concorrenza del debito IRES maturato a suo carico nel 2007, posto che il debito di imposta da versare in acconto non è necessariamente corrispondente ad un importo calcolato in percentuale rispetto a quello della dichiarazione dell’anno precedente, essendo, al contrario, facoltà del contribuente determinarlo in via prognostica nella maggiore o minor misura ritenuta congrua sulla base dei dati contabili relativi all’esercizio in corso.

Il motivo, in parte infondato e in parte inammissibile, deve essere respinto.

Va in primo luogo rilevato che, come già precisato da questa Corte, in tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, il credito d’imposta maturato in favore del contribuente ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, comma 5, pur dovendo essere indicato nella dichiarazione dei redditi, non è incluso nell’imponibile e, perciò, può essere utilizzato solo come “strumento” di pagamento a mezzo della “compensazione” prevista dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, comma 1, atteso che il meccanismo previsto dal combinato disposto delle norme citate assolve alla duplice finalità di evitare il successivo trascinamento e rimborso del credito fiscale derivato dall’agevolazione e ne impone l’immediata utilizzazione quale “strumento” di pagamento, anche ai fini di assicurare certezza al bilancio statale (Cass., sez. trib., 19 febbraio 2014, n. 3948).

Ciò premesso, sotto il profilo di diritto il collegio ritiene di dover dare continuità al principio enunciato da Cass., sez. trib., 11 ottobre 2017, n. 23814, con riferimento ad una controversia in materia di IVA, ma con argomentazioni certamente estensibili, per identità di ratio, alle altre imposte, secondo cui: “In tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, il beneficio del credito d’imposta L. n. 388 del 2000 ex art. 8, comma 2, può essere utilizzato in compensazione solo ai fini del pagamento di imposte effettivamente dovute e non ai fini del pagamento di anticipazioni o acconti non corrispondenti ad effettivi debiti fiscali”.

Il principio trova fondamento nella necessità che la determinazione del debito tributario mediante applicazione del metodo c.d. previsionale di determinazione dell’acconto Ires sia effettuata tenendo conto della concreta situazione economica del soggetto passivo, tenuto a dimostrare la ragionevole sostenibilità della previsione effettuata, ovvero che i debiti fiscali (costituenti il parametro di computo di quell’acconto) siano effettivi e non immaginari, ciò correlandosi ad evidenti e incomprimibili criteri antifrode (Cass. n. 14070 del 2011).

Nel caso di specie, già il giudice di primo grado aveva rilevato che dalla dichiarazione per il 2006 risultava un IRES di segno negativo, e il giudice d’appello ha sua volta accertato che “il quantum prognosticamente calcolato di C 220.000 non trova riscontro nella situazione della società emergente dalla successiva dichiarazione dei redditi”. Ne consegue che, per contrastare questo accertamento, la ricorrente non poteva limitarsi ad affermare di aver comunque maturato, nel 2007, un debito IRES, ma avrebbe, nel caso, dovuto denunciare un vizio di motivazione della sentenza per l’omesso esame, da parte del giudice d’appello, dei documenti (ove effettivamente prodotti) che dimostravano la sussistenza di un debito IRES per detto anno, ancorchè inferiore a quello prognosticamente calcolato, compensabile sino al suo effettivo ammontare col credito ex art. 8, comma 5, cit.

Con l’unico motivo di censura, l’Agenzia si duole, a sua volta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma, per avere i giudici d’appello escluso l’applicabilità delle sanzioni irrogate alla contribuente, pur a fronte della riconosciuta, indebita compensazione d’imposta da quest’ultima attuata.

Appare infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale, svolta dalla contribuente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

Il requisito richiesto dal n. 3 della norma comporta infatti che l’atto debba contenere la precisa indicazione degli elementi necessari per individuare le ragioni poste a sostegno della richiesta di annullamento della decisione e per valutarne la fondatezza, in modo che il giudice di legittimità possa avere una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione: nella specie, l’impugnazione illustra, con sufficiente chiarezza, sia i fatti concernenti il merito della controversia che le ragioni giuridiche e di rito che sorreggono la doglianza agenziale.

Non miglior sorte assiste l’eccezione svolta ai sensi del n. 4), avendo l’Agenzia delle Entrate puntualmente indicato i vizi della sentenza impugnata ed enunciato le ragioni che, a suo dire, dovrebbero condurre alla relativa cassazione.

Va, ancora, dichiarata inammissibile l’eccezione con la quale la ricorrente lamenta, nel controricorso al ricorso incidentale, che la CTR non abbia dichiarato la tardività dell’appello erariale: l’eventuale error in procedendo in cui il giudice del merito sarebbe incorso per non aver rilevato l’inammissibilità del gravame avrebbe infatti dovuto essere denunciato mediante la proposizione di uno specifico motivo di censura, da illustrare già nel ricorso, atto con il quale La Baia SO.GE.T. ha consumato il proprio potere di impugnazione.

Tuttavia anche il ricorso agenziale deve essere respinto.

L’assunto della ricorrente incidentale, secondo cui, se la contribuente non avesse indebitamente utilizzato in compensazione il credito di imposta, avrebbe poi dovuto corrispondere l’IRES “almeno nella stessa misura della compensazione effettuata” è palesemente illogico, posto che la compensazione è stata ritenuta illegittima proprio per l’insussistenza di un corrispondente debito di imposta della società. Sotto tale profilo, anzi, non può farsi a meno di osservare (ancorchè il giudice non possa rilevare d’ufficio ragioni di annullamento dell’atto dell’amministrazione finanziaria non dedotte dal contribuente) che la pretesa dell’Agenzia, volta al recupero di una somma pari al credito di La Baia Soget (che, sebbene non utilizzabile in compensazione, era tuttavia esistente), anzichè all’effettivo debito IRES della società eventualmente non versato per effetto dell’illegittima compensazione, risulta priva di giustificazione.

Ciò premesso, è sufficiente evidenziare che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, prevede l’applicazione della sanzione amministrativa pari al 30% dell’importo non versato a “chi non esegue, in tutto o in parte alle prescritte scadenza i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione” ed altresì “fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”. Deve perciò ritenersi illegittima l’irrogazione della sanzione ai sensi dell’art. 13 in parola nel caso in cui nessun omesso o ritardato versamento di imposta v’è stato da parte del contribuente, bensì la messa in atto di una diversa condotta finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio fiscale, non spettante per difetto dei presupposti di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, trattandosi di fattispecie ontologicamente differente da quella contemplata dal predetto D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, ed ostandovi il principio di legalità, che impedisce l’operatività delle sanzioni amministrative al di fuori dei casi previsti, oltretutto in mancanza di elementi tali da consentire il ricorso all’analogia per difetto non solo delreadem ratio” ma, prima ancora, di una reale somiglianza delle ipotesi messe a confronto.

L’esito del giudizio suggerisce come equa la compensazione integrale delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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