Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26180 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 06/03/2018, dep. 18/10/2018), n.26180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E.L. – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO di NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3433 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.

– ricorrente –

contro

FA.SER. s.n.c. di M.G. e c.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 152/29/2009, depositata il giorno 14

dicembre 1999;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2018

dal Consigliere Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che l’Agenzia delle entrate aveva emesso una cartella di pagamento nei confronti della società contribuente con la quale aveva richiesto il pagamento dell’importo di Euro 6.602,09, a titolo di sanzioni e interessi, conseguenti ai tardivi versamenti mensili dell’IVA relativamente all’anno di imposta 2002; la società contribuente aveva proposto ricorso sostenendo che i versamenti non erano stati eseguiti in ritardo, atteso che trovava applicazione la previsione di cui al D.P.R. 25 marzo 1998, n. 100, art. 1, comma 3, applicabile ai contribuenti che avevano affidato la tenuta della propria contabilità a terzi; la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva accolto il ricorso, ritenendo scusabile l’errore della contribuente; avverso la suddetta sentenza aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, ritenendo che: in caso di affidamento della contabilità a terzi, tenuto conto del tenore letterale non chiaro della previsione normativa di riferimento, poteva procedersi ad una interpretazione che tenesse conto della circostanza che era consentito di effettuare il calcolo dell’imposta con riferimento, non al mese precedente, ma al secondo mese precedente, sicchè ciò non poteva non comportare un differimento di un mese del termine per il versamento; in ogni, caso, non doveva trovare applicazione la sanzione, tenuto conto dell’incertezza interpretativa della norma;

l’Agenzia delle entrate ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia;

non si è costituita la FA.SER s.n.c. di M.G. e C..

Diritto

CONSIDERATO

che:

la società FA.SER. s.n.c. di M.G. e C, è stata regolarmente citata, tenuto conto che la sentenza impugnata è stata depositata il 14 dicembre 2009, che il ricorso risulta consegnato per la notifica in data 28 gennaio 2011, quindi entro il termine lungo di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, e ricevuto dal destinatario sia presso la sede che presso il domicilio eletto;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 100 del 1998, art. 1, comma 3, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 27, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per non avere ritenuto che le modalità di calcolo previste dal suddetto art. 27 non consentono il differimento, per i contribuenti che affidano a terzi la tenuta della contabilità, del pagamento dell’IVA mensile, quanto, piuttosto, solo l’effettuazione del calcolo dell’imposta in base alle risultanze delle liquidazioni periodiche relative non già al primo, ma al secondo mese precedente;

il motivo è fondato;

questa Corte ha precisato che, ai fini dell’individuazione dei tempi di versamento dell’IVA in esito alle liquidazioni periodiche, è del tutto irrilevante la circostanza che il contribuente abbia affidato a terzi la contabilità, in quanto del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, art. 1, come modificato dal D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, art. 2, comma 3, nel prevedere che “il contribuente che affida a terzi la tenuta della contabilità può fare riferimento, ai fini del calcolo della differenza di imposta relativa al mese precedente, all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente” e, nel comma 4, che “il contribuente che affida a terzi la tenuta della contabilità può fare riferimento, ai fini del calcolo della differenza di imposta relativa al mese precedente, all’imposta divenuta esigibile nel secondo mese precedente”, evidenzia chiaramente che la scelta del regime fiscale della contabilità presso terzi non comporta alcuno slittamento dei termini per i versamenti periodici dell’imposta;

infatti, posto che lo stesso legislatore prevede espressamente che la liquidazione IVA, e dunque il versamento dell’imposta, debba essere effettuato entro il termine previsto dal comma 1, e quindi entro il giorno 16 di ciascun mese seguente, anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia optato per il regime di contabilità presso terzi, non vi è ragione di ritenere che al diverso calcolo dell’imposta da versare (determinato dalla non pronta disponibilità della documentazione contabile quando la contabilità viene eseguita non nell’ambito della stessa azienda) corrisponda anche un diverso termine per effettuare il versamento dell’imposta stessa (tra varie, vedi Cass. 24 luglio 2015, n. 15636; 19 aprile 2013, n. 9558; ord. 10 aprile 2013, n. 8814 e, da ultimo, 18 settembre 2015, n. 18368; da ultimo, Cass. civ. Sez. 5, Sent., 18 marzo 2016, n. 5401);

l’accoglimento del presente motivo ha valore assorbente del motivo 1 bis del ricorso, con il quale si censura l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per non avere tenuto conto della documentazione prodotta da cui potersi ricavare i ritardati pagamenti da parte della contribuente;

con il secondo, terzo e quarto motivo si censura la sentenza impugnata relativamente alla parte della decisione che ha ritenuto che, a prescindere dalla linea interpretativa seguita dal giudice di appello nella prima parte della pronuncia, comunque sussistevano i presupposti per la non applicabilità della sanzione, ai sensi dell’art. 10 dello Statuto del contribuente, in ragione della obiettiva condizione di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma;

in particolare, con il secondo motivo di impugnazione si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere deciso la questione per una ragione diversa da quella prospetta dalla contribuente in sede di ricorso dinanzi al giudice di primo grado, posto che il motivo di doglianza non atteneva alla incertezza obiettiva della portata applicativa della previsione normativa, ma alla interpretazione del D.P.R. n. 100 del 1988, art. 1, comma 3;

il motivo è infondato;

è vero che, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, l’accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente (la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità, cfr. Cass. nn. 22890/2006; Cass. 25676 del 2008; Cass. 7502/2009; Cass. 8823 e 4031 del 2012; Cass. 24060 del 2014; Cass. 440 e 9335 del 2015; Cass. civ. Sez. 6 – 5, Ord., 14 luglio 2016, n. 14402);

tuttavia, questa Corte non è stata messa nelle condizioni di potere verificare, difettando il ricorso di autosufficienza sul punto, che parte ricorrente non aveva in alcun modo proposto, in primo grado, la questione in esame, oltre a quella relativa alla interpretazione della previsione normativa di riferimento;

fondati, tuttavia, sono il terzo e il quarto motivo di ricorso;

con il terzo motivo, in particolare, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, in combinato disposto con la L. n. 212 del 2000, art. 10 e del D.P.R. n. 100 del 1988, art. 1, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 27, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che la previsione di cui al D.P.R. n. 100 del 1988, art. 1, comma 3, così come formulata, desse luogo a incertezze interpretative;

con il quarto motivo, si censura la sentenza impugnata secondo le medesime previsioni normative sopra indicate, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ma anche in combinato disposto con gli artt. 1175,1176 e 1375 c.c., per mancanza del requisito della buona del contribuente;

va precisato che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 e dalla L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. civ, sez. 5, 28 novembre 2017, n. 24670; Cass. civ., sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2192);

in altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass. civ., Sez. 5, 11 settembre 2009, n. 19638); inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.);

nella fattispecie, la pronuncia impugnata ha genericamente fatto riferimento ad una difficoltà interpretativa della norma, ma tale affermazione non è stata corredata da una valutazione della situazione di obiettiva incertezza secondo il profilo sopra illustrato, nonostante, invece, sussista un consolidato orientamento giurisprudenziale circa la chiara lettura interpretativa della norma; pertanto il ricorso va accolto e, decidendo nel merito, la pronuncia deve essere cassata;

sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese anche per i precedenti gradi di giudizi.

P.Q.M.

La Corte:

in accoglimento del primo, terzo e quarto motivo di ricorso, cassa decidendo nel merito la sentenza impugnata.

Spese compensate anche per i precedenti gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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