Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2618 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 28/01/2022), n.2618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 6609-2015 R.G., proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf (OMISSIS), in persona del Direttore p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.M., cf. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

al v.le Regina Margherita n. 1, presso lo studio dell’avv. Silvio

Bozzi, dal quale è rappresentato e difeso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 4824/37/2014 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 22.07.2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 13

ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

L’Agenzia delle entrate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, notificò a C.M. l’avviso di accertamento con cui fu rideterminato l’imponibile relativo all’anno 2006, con conseguente accertamento di maggiori imposte ai fini Irpef e addizionali comunali. L’atto impositivo era fondato sul riscontro di spese per incrementi patrimoniali e per consumi.

Contestando gli esiti dell’accertamento, il C. impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che ne accolse le ragioni con sentenza n. 64/59/2013. Le statuizioni del giudice di primo grado furono confermate in sede d’appello dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con la sentenza n. 4824/37/2014. Il giudice d’appello adito dall’Amministrazione finanziaria ha ritenuto di non condividere la prospettazione dell’ufficio, ritenendo di contro giustificate le operazioni patrimoniali poste in essere dal contribuente.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza con due motivi, cui ha resistito il contribuente chiedendo il rigetto del ricorso.

Nell’adunanza camerale del 28 ottobre 2021 la causa è stata trattata e decisa.

Il controricorrente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’Agenzia delle entrate ha denunciato:

con il primo motivo la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2, n. 4, nonché dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere affetta la sentenza da motivazione apparente;

con il secondo motivo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e art. 38, commi 4, 5 e 6, nonché degli artt. 2697,2700,2702 e 2704 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea applicazione della disciplina relativa all’accertamento sintetico mediante redditometro.

Va premesso che l’atto impositivo afferisce ad accertamenti condotti con metodo sintetico, sulla base degli indici di spesa riferibili al C., consistiti, nella ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, nella disponibilità di una autovettura e nell’acquisto di una unità abitativa.

Esaminando il primo motivo, esso trova accoglimento perché fondato.

L’Agenzia delle entrate sostiene la nullità della sentenza perché l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione è assolutamente scarna e comunque non convincente, senza alcuna attenzione alle censure che l’ufficio aveva mosso alla decisione impugnata con l’atto d’appello, e senza che comunque la pronuncia raggiunga i requisiti minimi della motivazione per relationem, che risulta pertanto apparente.

Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo dell’esattezza e logicità del suo ragionamento. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata anche per relationem, ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima sia pure in modo sintetico le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato in modo da renderne possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Conseguentemente va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). Si è peraltro affermato che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). E si è anche affermato che incorre nell’apparenza quella pronuncia che in motivazione evidenzi un’obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).

Nel caso di specie il giudice regionale, dopo aver riportato la critica mossa dall’Amministrazione finanziaria alla decisione del giudice provinciale, relativamente alla incidenza probatoria della documentazione bancaria del contribuente e del di lui padre, si limita ad affermare che “la posizione dell’Agenzia delle Entrate non sembra condivisibile. Va premesso che la giurisprudenza ha ritenuto che “il redditometro è un mezzo di ricostruzione della posizione fiscale del contribuente non con valenza di presunzione iuris tantum, ma con valenza di presunzione semplice che comporta ex adverso l’ammissibilità della più ampia prova contraria del soggetto indagato”…. Ciò posto il contribuente ha un’ampia possibilità di addurre dati di fatto (prove) per superare i dati statistici derivanti dall’applicazione del redditometro. Nel caso di specie il C. sembra aver adeguatamente giustificato le operazioni patrimoniali poste in essere con padre frutto di una oculata gestione dei beni di famiglia”. Quindi, sulla base di queste considerazioni, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate.

Il ragionamento del giudice d’appello si rivela del tutto astratto, senza alcuna pertinenza con le critiche mosse dall’Ufficio alla sentenza di primo grado, critiche che, a prescindere dalla loro condivisione e dal loro fondamento, meritavano specifica attenzione, censurando la rilevanza probatoria attribuita dal giudice provinciale alla documentazione bancaria allegata dal contribuente. Ad esse invece la sentenza ora al vaglio della Corte non fa alcun riferimento, limitandosi a richiamare succintamente alcuni principi generali in tema di accertamento mediante redditometro, nonché ad affermare, senza altre spiegazioni, come nel caso di specie le operazioni patrimoniali del C. dovessero ritenersi giustificate “dall’oculata gestione dei beni di famiglia”. Così come elaborata, la motivazione della sentenza impugnata si riduce ad un giudizio circolare e dal contenuto meramente assertivo, privo di ogni argomentazione, che impedisce di controllare attraverso quale concreto percorso logico la commissione regionale fosse pervenuta alle sue conclusioni. Manca cioè una motivazione idonea ad assicurare il rispetto della soglia del “minimo costituzionale” imposto dall’art. 111 Cost..

Il motivo va dunque accolto con la conseguente declaratoria di nullità della decisione. L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo. La sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che in diversa composizione, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità, provvederà a riesaminare l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la decisione di primo grado.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

 

 

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