Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26176 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. I, 27/09/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 27/09/2021), n.26176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25670/2020 proposto da:

R.A., alias R.A., rappresentato e difeso

dall’Avv. Davide Verlato, domiciliato presso la Cancelleria della

Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 1544/20,

depositata il 18 giugno 2020 e comunicata in pari data;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/5/2021 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 1544, depositata in data 18.6.2020 nella controversia iscritta al RGN 1281/2019, e comunicata in parti data, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da R.A., alias R.A., cittadino ghanese, in impugnazione del provvedimento emesso dal Tribunale di Venezia con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in via subordinata, anche di quella umanitaria.

2. Avverso la decisione in data 25.9.2020 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a due motivi e il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. In via pregiudiziale dev’essere esaminata d’ufficio la tempestività della notifica del ricorso per Cassazione. Orbene, la Corte rammenta che “In tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 14, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c., relativo al rito sommario di cognizione, applicabile ai giudizi di merito in virtù del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19. Invero, il comma 10, di tale disposizione deve essere interpretato nel suo reale significato di attribuire priorità nella trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale, non anche nel senso di rendere applicabili al giudizio di legittimità disposizioni abrogate o riguardanti i giudizi di merito, con interpretazione, peraltro, palesemente in contrasto con il diritto delle parti ad un giusto processo ed all’effettività del diritto di difesa” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18704 del 22/09/2015, Rv. 636868 01; conforme Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23472 del 06/10/2017, Rv. 646039 – 01).

4. La comunicazione via Pec del provvedimento non è idonea a far decorrere il termine per la sua impugnazione (Cass. ordinanza 27/02/2019, n. 5703 non massimata), dal momento che non è sufficiente che la parte abbia acquisito conoscenza legale – e non di mero fatto – della sentenza, bensì è necessario che l’abbia acquisita con un atto non ad altro destinato, che a provocarne l’impugnazione, ovvero ad impugnarla (così già Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1539 del 02/02/2012, Rv. 621568, in motivazione, nonché, più esplicitamente, Sez. 3, Sentenza n. 5793 dell’8.3.2017).

5. In applicazione dei principi di diritto che precedono, la Corte osserva che nella prima pagina del ricorso si legge come la sentenza impugnata sia stata depositata e “notificata” al difensore via Pec in data 18.6.2020, ma dagli atti non emerge prova che sia stata notificata su impulso di parte. Dal momento che del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, non detta una disciplina specifica circa l’impugnazione della sentenza d’appello, trova applicazione l’art. 327 c.p.c., previsione normativa che, per far scattare il termine “breve”, richiede esplicitamente la notificazione della sentenza su impulso di parte, fatto non dimostrato nel caso di specie, con l’effetto di rendere applicabile il termine “lungo” di sei mesi e di rendere tempestivo il ricorso per cassazione, notificato il 25 settembre 2020.

6. Con il primo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene prospettata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 3 e 5, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di disponibilità e valutazione della prova in sede processuale con assenza di motivazione sul motivo di appello relativo alla mancanza di credibilità del richiedente e della coerenza interna ed esterna delle dichiarazioni rese in sede di audizione.

7. La censura presenta aspetti di inammissibilità e di infondatezza. La sentenza impugnata a pag. 3 riporta chiaramente il motivo di appello in questione (“nel suo atto di appello il cittadino ghanese lamentava che contra legem non era stata data credibilità al suo racconto (…)”) cui la Corte territoriale dà esplicita e motivata risposta alle pagg. 4 e ss. (“Nel suo complesso, trattasi di un racconto inverosimile (…)”, pag. 5 sentenza). Il giudice del merito, tra l’altro, non giunge a tale conclusione semplicemente sulla base della coerenza interna del narrato, ritenuta assente, ma fa anche riferimento (coerenza esterna) a informazioni circostanziate sulle condizioni del Paese di origine (Ghana) sulla scorta di autorevoli fonti internazionali (cfr. note a pie’ di pagina nn. 1, 2, 3, 4 a p. 7 sentenza).

Tale preciso e argomentato accertamento in fatto non è specificamente impugnato attraverso l’articolazione di un vizio motivazionale e la deduzione del fatto controverso contrario e decisivo non valutato dal giudice del merito, bensì il richiedente si limita a riproporre la propria versione dei fatti senza confrontarsi con la decisione della Corte d’appello chiedendo in ultima analisi al giudice di legittimità un’indebita rivalutazione dell’accertamento fattuale.

8. Con il secondo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – viene prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle richieste di un permesso per motivi umanitari; viene inoltre dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), con possibile violazione anche dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, comma 1 e comma 1.1 del TU Immigrazione. Nel corpo del motivo si lamenta la mancata esecuzione del giudizio di comparazione previsto in tema di vulnerabilità personale con assenza di istruttoria e vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, la quale non avrebbe tenuto conto del periodo di tempo trascorso dal ricorrente in Libia, Stato intermedio di passaggio in cui ha subito una dura prigionia, fatto decisivo per il giudizio.

9. Il motivo è inammissibile, in quanto generico e aspecifico, privo di riferimenti alla fattispecie concreta con l’eccezione del richiamo, a pag. 14, del fatto che il richiedente in sede di audizione avrebbe raccontato di aver lasciato il Ghana nel febbraio 2016 e si è successivamente trasferito in Libia, subendo anche una dura prigionia, per poi fuggire. Di tale fatto, potenzialmente rilevante se fosse collegato con l’allegazione e offerta di prova di conseguenze psicofische in capo al richiedente al fine di sostanziare profili di vulnerabilità individuale, non vi è traccia nella sentenza impugnata, pure precisa nel descrivere la fattispecie concreta.

10. A riguardo, va osservato che il ricorso, il quale ha per oggetto una sentenza d’appello e non un decreto del Tribunale, non è autosufficiente, ossia non riporta alcun chiaro riferimento al corrispondente motivo d’appello proposto (cfr ex multis Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10489 del 2021), né al fatto che la questione fosse stata sollevata fin dal primo grado. Siffatta carenza di formulazione della censura non consente a questo Collegio di apprezzare l’eventuale errore commesso dalla Corte territoriale, privando il motivo di decisività.

11. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di costituzione da parte del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

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