Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26176 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 21/02/2018, dep. 18/10/2018), n.26176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4953 del ruolo generale per l’anno 2011

proposto da:

Autoviva s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Manzi, Emanuele Coglitore

e Paolo Centore per procura speciale in calce al ricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, via Confalonieri n. 5, presso lo

studio dell’avv. Luigi Manzi;

– ricorrente –

contro

Agenzia della entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– intimata –

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia Giulia n. 65/01/2010, depositata il

giorno 30 giugno 2010;

visti i documenti depositati in data 18 dicembre 2017 dalla

ricorrente;

letta la memoria depositata dalla ricorrente in data 8 febbraio 2018;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero depositate il 31 gennaio

2018, con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio

2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che l’Agenzia delle entrate di Udine aveva emesso avviso di accertamento nei confronti della Autoviva s.r.l., società esercente l’attività di commercio di autoveicoli, con il quale si era contestata l’indebita utilizzazione del regime del margine tramite interposizione di missing trader comunitari per avere importato veicoli intestati a soggetti titolari di partita IVA che, quali soggetti venditori, avevano utilizzato i beni come strumentali (beni destinati a noleggio senza conducente) e avevano pertanto detratto l’IVA nei loro Paesi, recuperando a tassazione l’IVA per Euro 383.558,00, la somma di Euro 1.600,00 ai fini delle imposte sul reddito e procedendo alla rideterminazione della perdita in Euro 4.287,00 e dell’imponibile IRAP in Euro 52.376,00; a seguito di impugnazione proposta dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Udine aveva accolto il ricorso, avendo ritenuto che la società contribuente aveva esercitato correttamente l’attività di controllo sulla stessa gravante, non potendosi addebitare alla stessa ulteriori oneri per la verifica della legittimità delle operazioni compiute da altri soggetti; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e rigettato l’appello incidentale della società contribuente, ritenendo che quest’ultima non aveva adempiuto all’onere di prova su di essa gravante;

la società Autoviva s.r.l. ricorre con otto motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia in epigrafe;

l’intimata ha depositato atto denominato di costituzione con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso la società contribuente censura la sentenza di appello per illogicità e insufficienza della motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo state specificate le ragioni in forza delle quali si è ritenuto che la contribuente non aveva provato che il cedente comunitario, con il quale essa non aveva avuto rapporti diretti, non aveva detratto l’IVA; il motivo è inammissibile;

in primo luogo, va rilevato che il motivo è stato proposto sia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (quindi per illogica e carente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio) che per motivazione apparente (per la quale, invece, occorre fare riferimento alla diversa previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)), in tal modo innestandosi, nell’ambito del medesimo motivo di ricorso, presupposti di censura di per sè fra loro incompatibili;

in secondo luogo, la individuazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al quale dovrebbe evincersi la insufficienza della motivazione, risulta solo genericamente rappresentata, non avendo specificamente indicato quale fatto controverso, assolutamente rilevante per il giudizio, non sarebbe stato preso in considerazione dalla pronuncia impugnata ai fini della decisione;

la pronuncia impugnata, peraltro, dopo avere ricostruito, in punto di fatto, la vicenda sottesa all’adozione dell’avviso di accertamento, in particolare evidenziando che nella fattispecie la società contribuente aveva acquistato le automobili usate da soggetti rivenditori e che erano, a loro volta, intestate a imprese di autonoleggio, come risultante dai libretti di circolazione, ha, sulla base di tale considerazione in fatto, ritenuto che la società contribuente non aveva assolto all’onere di prova su di essa gravante, ritenendo, d’altro lato, che l’Ufficio aveva invece provato che le autovetture acquistate presso i cedenti comunitari non avevano assolto all’obbligo del versamento dell’IVA e che le ragioni addotte dalla società contribuente, relative al fatto che si doveva tenere conto delle numerose ipotesi in cui anche le imprese di autonoleggio non procedono alla detrazione IVA assolta sugli acquisti di autovetture, non erano comunque idonee a superare l’onere di prova;

sotto tale profilo, la stessa è adeguatamente motivata, avendo ripartito correttamente l’onere di prova gravante sulle parti e ritenuto non supportate da idonea prova le ragioni di contestazione all’atto di accertamento da parte della società contribuente;

con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., anche in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere considerato che: a) le vetture erano state acquistate tramite intermediari comunitari e nazionali, quindi senza avere intrattenuto rapporti diretti con le società di autonoleggio; b) le fatture recavano l’indicazione dell’applicazione del regime del margine; c) la società aveva provveduto sempre alla verifica dell’esistenza e correttezza delle partite IVA dei fornitori; d) i pagamenti erano regolari ed i prezzi di acquisto e di rivendita erano congrui; d) era in conferente il riferimento al libretto di circolazione, essendo elemento non identificativo del proprietario del mezzo;

il motivo è infondato;

la ricorrente lamenta, con il motivo in esame, che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che, ai fini dell’applicazione della disciplina del regime del margine, non sarebbe sufficiente la verifica della sussistenza delle condizioni oggettive richieste dalle previsioni normative indicate e che, nelle fatture relative alla cessione della vendita delle autovetture, sia specificamente indicato il regime del margine, non ponendosi ulteriori oneri a carico del cessionario, quale quello di controllare la veridicità delle dichiarazioni del proprio cedente che le operazioni rientrino nel regime del margine, tanto più, come nel caso di specie, in cui la contribuente non aveva avuto rapporti diretti con le imprese di autonoleggio che hanno venduto le autovetture al rivenditore;

il motivo in esame riguarda la questione dei presupposti per l’applicabilità del regime del margine e della individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova tra Amministrazione finanziaria e contribuente nonchè della verifica del comportamento diligente che quest’ultimo è tenuto in tali circostanze ad assumere; sulla questione in esame, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza 12 settembre 2017, n. 21105, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, il c.d. regime del margine, previsto dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36 (convertito dalla L. 22 marzo 1995, n. 85) e dagli artt. da 311 a 325 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (e, già, dall’art. 26 bis della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977) per le cessioni, da parte di rivenditori, di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime d’imposizione speciale, facoltativo e derogatorio, in favore del contribuente, del sistema normale dell’IVA: ne consegue che la sua disciplina va interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi, nei limiti di quanto necessario al raggiungimento dello scopo dell’istituto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, il cessionario, al quale l’amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, tale fruizione, deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Rientra in tale condotta anche l’individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell’ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione: in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l’amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l’imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui dalla verifica del contribuente emerga che i precedenti titolari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per l’acquisto dei veicoli stessi, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole”;

la pronuncia impugnata ha fatto applicazione di questo orientamento, peraltro già espresso da questa Suprema Corte, Sez. 5, con la pronuncia 12 febbraio 2010, n. 3427, e Sez. 5, 24 luglio 2015, n. 15630, in quanto, essendo emerso che i precedenti cedenti delle autovetture erano società di autonoleggio, non è sufficiente, affinchè il cessionario possa fruire del regime fiscale speciale, la regolarità formale della fattura ricevuta dal cedente ovvero la circostanza che non sussistevano rapporti diretti con le suddette imprese, essendo, invece, rilevante che nella catena delle operazioni di cessione tra i cedenti figurano anche soggetti passivi IVA che per le qualità soggettive rivestite (società di autonoleggio) erano legittimate a portare in detrazione l’imposta sugli acquisti dei medesimi veicoli successivamente rivenduti agli intermediari nazionali;

pertanto, la pronuncia impugnata ha correttamente escluso che nella fattispecie potesse trovare applicazione il regime del margine, ritenendo implicitamente insufficiente la mera presenza nelle fatture del cedente delle indicazioni del detto regime ed attribuendo, invece, al cessionario un onere di prova connesso alla particolare vicenda posta all’attenzione, in cui è emerso che le vetture acquistate avevano, come titolare precedente, imprese di autonoleggio, dovendosi in tal caso richiedere al contribuente di fornire ogni elementi di valutazione utile e necessario per ritenere non applicabile il regime ordinario concernente gli scambi intracomunitario;

non vale, peraltro, allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando “nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Corte Cass. sez. 5, 12 febbraio 2010, n. 3427);

pertanto, poichè l’Ufficio finanziario aveva fornito idonea prova presuntiva della mancanza delle condizioni che legittimavano l’applicazione del regime del margine di utile (in quanto tra i soggetti IVA cedenti, risultavano, dall’esame dei libretti di circolazione, anche società di autonoleggio che utilizzavano i veicoli come beni strumentali all’esercizio della impresa, ed in quanto tali aveva diritto di portare in detrazione l’IVA fatturata sull’acquisto a monte), nella specie ricorre lo schema legale della presunzione ex artt. 2717 e 2729 c.c., atteso che da un lato, dal fatto certo (qualità soggettiva degli operatori economici) è ben possibile in linea teorica pervenire, mediante applicazione dello schema probatorio presuntivo, alla conoscenza di distinti fatti ignorati, dall’altro occorre rilevare come la strumentalità del bene (ovvero la “inerenza” od “afferenza” del bene acquistato all’esercizio della attività economica) non si identifica con l’oggetto della prova presuntiva, ma costituisce soltanto uno degli elementi ricostruttivi del fatto ignorato (detrazione della imposta) che è da ritenersi l’unico fatto oggetto di prova, in quanto fatto impeditivo del diritto alla fruizione del regime fiscale c.d. del margine;

nello specifico caso la rilevazione dai documenti di circolazione della qualità di autonoleggiatore delle società originarie cedenti, e quindi della qualità di soggetto “primo immatricolatore” che – secondo l'”id quod plerumque accidit” – acquista l’autoveicolo per destinarlo alla propria attività imprenditoriale con conseguente legittimazione a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa sull’acquisto del bene strumentale, doveva indurre quanto meno nel dubbio il cessionario sulla effettiva applicabilità alla operazione economica del regime del margine, e quindi ad acquisire, preventivamente, dalla cedente nazionale ulteriori elementi comprovanti la mancata detrazione della imposta nel Paese membro da cui provenivano i veicoli, rimanendo escluso, in difetto di tale verifica, un incolpevole affidamento del medesimo fondato esclusivamente sulla mera annotazione, nella fattura emessa dal cedente, della applicazione del regime del margine. Tale annotazione in fattura, infatti, non è sufficiente ex se ad integrare un artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto-cessionario, nonostante la dovuta diligenza impiegata (e dunque non costituisce ex se prova adeguata della buona fede del cessionario), laddove questi, sulla scorta degli stessi documenti indispensabili al perfezionamento della operazione commerciale, pervenuti in suo possesso, possa agevolmente rilevare ulteriori elementi fattuali (nella specie il tipo di attività imprenditoriale svolta dalle società comunitarie, ed il normale impiego dei veicoli come beni strumentali della impresa) che presentino una connotazione antitetica a quelle condizioni soggettive dell’operatore-cedente previste dalla legge per l’applicabilità del regime del margine di utile, e che impongono pertanto al cessionario, che intenda beneficiare del regime fiscale speciale, l’onere di acquisire con la dovuta diligenza informazioni più dettagliate sull’effettivo assoggettamento, in via definitiva, del cedente intracomunitario all’IVA versata “a monte” (ad esempio nel caso in cui gli autoveicoli siano stati utilizzati dalla società di noleggio come “fringe benefit” attribuito ai propri dipendenti e non come bene strumentale destinato – in via esclusiva o promiscua all’esercizio della impresa), tanto al fine di dirimere ogni possibile futura contestazione in ordine alla correttezza fiscale della operazione intracomunitaria;

questi ultimi profili, in particolare gli eventuali regimi derogatori che determinano l’insorgenza di situazioni in cui il soggetto, anche se noleggiatore, non possa detrarre l’imposta o di altre ipotesi in cui l’imprenditore potrebbe decidere di non detrarre l’imposta, non sono stati sufficientemente posti all’attenzione di questa Corte al fine di valutare l’eventuale decisività del fatto controverso non preso in considerazione dal giudice di appello, sicchè deve ritenersi che tale profilo di contestazione difetti della necessaria autosufficienza;

con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che la società contribuente, quale cessionaria, in presenza di tutte le condizioni di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 36 pur avendo ricevuto fatture contenenti lo specifico riferimento al regime del margine cui la vendita di autovetture usate è tipicamente e normalmente soggetta, avrebbe dovuto disattendere quanto descritto in fattura, rideterminando la natura delle cessioni da operazioni soggette al regime del margine ad acquisto intracomunitario, assoggettandola alla disciplina dettata per questi ultimi acquisti, peraltro dopo avere svolto delle impossibili verifiche circa l’eventuale detrazione dell’imposta da parte delle imprese di autonoleggio nei confronti delle quali non aveva avuto alcun rapporto diretto;

con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 37,comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per avere posto a carico del cessionario dei beni usati l’obbligo di dimostrare il regime IVA applicato ai presunti titolari dei veicoli e di riqualificare l’operazione;

con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2 per avere erroneamente fondato la decisione sulla circostanza che, secondo l’intestazione dei libretti di circolazione delle autovetture, i beni acquistati dalla società rivenditrice sarebbero appartenuti a società di autonoleggio, senza attribuire alcuna rilevanza al fatto che le fatture provenivano da fornitori comunitari diversi dalla società di autonoleggio e che riportavano la specifica indicazione di assoggettamento dell’operazione al regime del margine;

i motivi di impugnazione, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla censura della sentenza nella parte in cui ha ritenuto di escludere nella fattispecie l’applicabilità del regime del margine in violazione delle norma citate, sono infondati;

l’orientamento giurisprudenziale sopra citato chiarisce entro quali limiti la disciplina normativa in esame può trovare applicazione in caso di acquisti di autovetture usate per i quali sia verificabile, dall’esame dei libretti di circolazione, che le stesse provengono da soggetti che, in quanto operano quali imprese di autonoleggio, hanno detratto l’IVA, sicchè, in caso di mancato assolvimento dell’onere di prova, il regime speciale del margine non può trovare applicazione, senza che possa ravvisarsi alcuna violazione di legge; la circostanza, dedotta dalla società contribuente, di avere fatto affidamento sulle indicazioni di cui alle fatture e di non avere avuto rapporti diretti con le imprese di autonoleggio già titolari del diritto di proprietà sulle autovetture, dunque di essere in buona fede, costituisce una petizione di principio, in quanto il sistema del margine in tanto può essere utilmente fruito dal cessionario, in quanto lo stesso si faccia carico della dimostrazione che l’acquisto a monte del fornitore comunitario sia avvenuto con l’utilizzo del sistema del margine, dunque senza detrazione IVA. Dimostrazione che è mancata nel caso di specie, nella quale la ricorrente ha fondato la sua “buona fede” sulla semplice fatturazione con menzione del regime del margine da parte del soggetto che ha successivamente acquistato i beni dal fornitore originario, circostanza, quest’ultima, che peraltro pone evidente differenze tra la posizione del soggetto intermediario, il quale avrebbe indebitamente dichiarato che l’operazione era soggetta al regime del margine rispetto a quella del cessionario finale;

con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 in relazione all’art. 168 della direttiva 2006/112 e ai principi del diritti comunitario, quali quello della certezza del diritto, di legittimo affidamento e proporzionalità come elaborati dalla Corte di Giustizia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la sentenza impugnata ritenuto che la società contribuente ha tenuto un comportamento non diligente, in contrasto con il divieto comunitario di negare il diritto alla detrazione sulla scorta di presunzioni diaboliche;

il motivo è infondato;

risulta, infatti, inconducente il riferimento operato dalla ricorrente all’esigenza di preservare i principi fissati dall’Unione Europea in tema di certezza e di affidamento, tenuto conto che rimane pur sempre compito dell’autorità giudiziaria nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (Corte di giustizia, 3 marzo 2005, C-132/03, Fini H), sicchè soltanto “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode” possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni”, pertanto un soggetto “che sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborsi vantati in relazione alle operazioni compiute (Corte di Giustizia, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kitte e altri);

pertanto, se l’affidamento tutelato dal diritto UE presuppone che il soggetto passivo IVA sia impossibilitato a rendersi conto, pur facendo prova di tutta la diligenza di un commerciante avveduto, che in realtà non erano state sodisfatte le condizioni per l’esenzione, a causa della falsificazione della prova dell’esportazione presentata dall’acquirente (Corte Giust., 21 febbraio 2008, Netto Supermarket, causa C-271/06), ne consegue che, nel caso di specie, la negligenza della società contribuente è da correlare alla chiara consapevolezza che non poteva non derivare dal risultare primo acquirente dei beni una società di autonoleggio;

con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 168 della Direttiva 2006/112, in relazione agli effetti vincolanti delle sentenze rese dalla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la sentenza impugnata ritenuta la non applicabilità della sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio 2008, C-95/07 e C96/07, Ecotrade;

il motivo è inammissibile;

parte ricorrente si limita a prospettare la doglianza relativa alla mancata considerazione, da parte del giudice di appello, della pronuncia della Corte di Giustizia sopra citata, omettendo ogni ulteriore specificazione che consenta a questa Corte di potere procedere il relativo vaglio di legittimità;

va precisato, a tal proposito, che, ferma la sicura efficacia vincolante delle pronunzie della Corte UE, attestata pacificamente da questa Corte e dalla Corte costituzionale, non può comunque prescindersi dalla necessaria coincidenza del caso esaminato dalla Corte rispetto a quello per cui viene evocato l’intervento della Corte unionale, profilo del tutto tralasciato dalla ricorrente, che non ha specificamente indicato sotto quale profilo la pronuncia della Corte di giustizia, relativa ai limiti di applicabilità del diritto interno in materia di detrazione nel caso di inversione contabile, possa trovare adeguata applicazione al caso di specie, relativa alla non applicazione del regime del margine anche sulla base, secondo quanto sopra illustrato, dei principi espressi sul punto dalla medesima Corte di Giustizia;

con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6,comma 2 e art. 7 in combinato disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 2 e 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere il giudice di appello ritenuto dovute le sanzioni, nonostante i persistenti problemi applicativi della disciplina del regime del margine, la esistenza di un consolidato orientamento favorevole alle ragioni della contribuente, la sussistenza di istruzioni impartite dall’Amministrazione finanziaria a conforto della correttezza del comportamento assunto dalla ricorrente, la pronuncia della Corte di Giustizia 8 maggio 2008, sopra citata;

il motivo è infondato;

la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua della L. n. 212 del 2000, art. 10,comma 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 postula una condizione d’inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa (Cass. 24670/07), e deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratta, si artt. in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, gravando sul contribuente l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione (Cass. 22890/06 e 22252/11);

è parimenti consolidato il principio per cui l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d”interpretazione normativa deve essere riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci d’interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (Cass. 24670/07);

facendo applicazione dei superiori principi al caso di specie, si deve ritenere corretta la soluzione della Commissione tributaria regionale che ha ritenuto non sussistere incertezze sulla portata applicativa delle previsioni normative applicate;

per quanto sopra esposto, il ricorso non può trovare accoglimento, con conseguente rigetto.

Nulla sulle spese per mancata costituzione della intimata, che si è limitata a depositare atto denominato di costituzione, dichiarando di rinviare all’eventuale udienza pubblica le proprie difese.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 21 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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