Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26175 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. I, 27/09/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 27/09/2021), n.26175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24490/2020 proposto da:

K.A., alias A.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea

Diroma, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliato in Roma, via

dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art.

370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della

controversia;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 1809/20,

depositata il 13 luglio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/5/2021 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza della Corte d’appello di Venezia numero 1809 del 2020 pubblicata il 13 luglio del 2020 nel processo iscritto al numero di registro 4043 del 2018 veniva rigettato l’appello proposto da K.A., alias A.K., avverso l’ordinanza delle tribunale di Venezia del 15 ottobre 2018 con cui era stata dismessa l’opposizione avverso il decreto reiettivo della domanda di protezione internazionale a titolo di rifugiato politico di protezione sussidiaria e, in subordine, di protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

2. In particolare il richiedente riferiva di aver abbandonato il proprio Paese d’origine, la Costa d’Avorio, per timore del padre il quale, alla morte della madre, lo avrebbe disconosciuto accusandolo di non essere figlio suo bensì di un altro uomo; per effetto di tale situazione il ricorrente, non potendo contare su alcuno né su un posto dove stare, sarebbe emigrato. La Corte d’appello confermava la decisione del giudice di prime cure ritenendo insussistenti i presupposti per le forme di protezione richieste, inclusa quella umanitaria mancando profili specifici di vulnerabilità nel caso di specie.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione il richiedente per due motivi mentre il Ministero dell’Interno ha depositato mera comparsa di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione alli udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – viene prospettata da un lato la violazione da parte della Corte d’appello dell’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, dall’altro, la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione e motivazione solo apparente, anche nella parte in cui il racconto viene ritenuto generico (pp. 10 e 11 ricorso). Nel corpo del motivo viene prospettata la violazione della normativa di riferimento quanto al necessario approfondimento istruttorio officioso anche attraverso l’utilizzo di COI aggiornate e pertinenti, dal momento che la Corte d’appello ha fatto riferimento a rapporti del 2017 2018 benché la decisione sia stata assunta nel luglio 2020 estrapolando parte degli elementi istruttori in possesso del giudice d’appello in maniera poco chiara o parziale.

5. Il motivo è infondato. Innanzitutto non vi è spazio per l’accoglimento della denuncia di motivazione apparente, in quanto l’esposizione del fatto e dei principali snodi processuali non è omessa in sentenza, come pure la prospettazione delle difese delle parti. Nella motivazione viene anche identificata la domanda su cui la Corte d’appello è chiamata a pronunciarsi, e il giudice d’appello espone con adeguata precisione il racconto riferito dal richiedente e, in generale, articola una motivazione controllabile nel suo iter logico (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 2014) tale da soddisfare la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (cfr., per tutte, Cass. n. 9105/2017).

6. Quanto alla prospettata violazione di legge perché la Corte d’appello avrebbe mancato di esercitare la cooperazione istruttoria, a differenza di quanto ritenuto dal richiedente in ricorso, la Corte d’appello ha assolto agli obblighi di cooperazione istruttoria con riferimento alle condizioni del Paese di origine (Costa d’Avorio), richiamando in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una puntuale e aggiornata ricostruzione socio politica dello Stato di provenienza e tre report a suo sostegno, il più recente dei quali del giugno 2018, di circa due anni anteriore alla decisione, senza che sussista alcun obbligo di utilizzare le COI più aggiornate (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 23999 del 30/10/2020) allorquando quelle usate siano attendibili. In buona sostanza la Corte d’appello prende in carico l’allegazione di violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e di situazione di instabilità socio-politica del Paese, vagliandole e non condividendola.

7. Tale statuizione è argomentata, con riferimenti circostanziati al racconto del richiedente, anche avuto riguardo tanto alla richiesta di protezione umanitaria. Ne’ sussiste un pari obbligo di cooperazione con riferimento alle lett. a) e b) allorquando, come nel caso di specie, alla ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020) si aggiunga il fatto che le censure non sono individualizzate.

8. Orbene, gli accertamenti in fatto operati dalla Corte d’appello e sopra riassunti, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, adempimento esercitato già in primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata nel quadro dei poteri devolutivi del giudice di appello ma, in sintesi, alle statuizioni in fatto adottate dal giudice di appello viene semplicemente contrapposta una ricostruzione opposta secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente, deduzioni tuttavia non supportate da allegazioni in fatto circostanziate.

Il ricorrente non ha allegato COI aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, mancando di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c., dell’accertamento sfavorevole operato dalla Corte territoriale (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234 – 01).

9. Infatti anche la deduzione secondo la quale la Corte d’appello avrebbe fatto uso di COI non sufficientemente recenti, e nel dettaglio non quelle invocate dal ricorrente, oltretutto estrapolandone contenuti parziali e distorsivi delle reali condizioni del Paese di origine, è generica. Non solo la Corte ben poteva fare uso di COI aggiornate anche se non le più recenti, motivando adeguatamente come ha fatto, ma, a ben vedere, non sono neppure riprodotti in ricorso i passaggi ritenuti rilevanti delle COI in questione. Così facendo il ricorrente non ha messo il Collegio nelle condizioni di valutare la decisività del fatto e, anzi, fatta eccezione per una generica indicazione dell’elevata povertà in Costa d’Avorio non ha nemmeno adeguatamente individuato il fatto ritenuto decisivo e contrario oggetto di discussione tra le parti, concentrando la sua lamentela sull’elemento di prova (COI inteso come documento anziché il suo contenuto rilevante) che non sarebbe stato considerato, in contrasto con il dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

10. Con il secondo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e l’art. 8 CEDU, per errata valutazione della credibilità del richiedente ed erroneo mancato riconoscimento della protezione umanitaria, nonché il mancato esame di fatti decisivi al fine di riconoscere la protezione umanitaria, invocando anche l’art. 8 CEDU.

Nel dettaglio il motivo argomenta con riferimento al mancato riconoscimento della protezione umanitaria circa la mancata adeguata valutazione della vulnerabilità del richiedente in assenza di giudizio comparativo tra l’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva nel proprio Paese d’origine, senza valorizzare la documentazione attestante un elevato livello di integrazione giunto in Italia.

11. Il motivo, unicamente incentrato sulla protezione umanitaria, è infondato. Il Collegio osserva che la Corte d’appello non ha basato la sua decisione circa la protezione umanitaria unicamente sulla non credibilità del racconto, come si legge ai punti 14 e ss. della sentenza impugnata che fanno esplicitamente rifermento all’assenza di apprezzabili profili di vulnerabilità nella fattispecie.

Il giudice d’appello, indipendentemente dalla ritenuta non credibilità del racconto ha accertato che la narrazione riferita dal richiedente riguarda una vicenda familiare ed ha anche succintamente esercitato una valutazione comparativa di vulnerabilità in Italia e nel Paese di origine (cfr. punto 15, richiamato, quanto al pericolo, anche il passaggio argomentativo dei precedenti punti 4 e ss. della sentenza).

12. Inoltre va ribadito come il dovere di cooperazione istruttoria del giudice è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sé sfavorevoli operati dalla Corte d’appello. Nel caso di specie manca tale presupposto ed è carente l’allegazione circostanziata di parte.

13. Quanto all’ulteriore aspetto dell’inserimento in Italia su cui insiste da ultimo il motivo, la sentenza impugnata ha esaminato ed escluso una effettiva integrazione lavorativa del richiedente in Italia, senza ricevere specifica ed argomentata censura sul punto, peraltro come noto di per sé non decisivo (cfr. Sez. 6-1, n. 420/2012, Rv. 621178-01; Sez. 6-1, n. 359/2013; Sez. 6-1, n. 15756/2013).

14. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di svolgimento di effettive difese da parte del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

 

 

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