Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26174 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 26/02/2018, dep. 18/10/2018), n.26174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3304/2012 R.G. proposto da:

Fondo Pensione Unione di Banche Italiane s.c.p.a., Banca Popolare di

Bergamo s.p.a., già Fondo pensione BPU s.c.r.l. – BPB s.p.a., già

Cassa di Previdenza e Assistenza Personale Banca Popolare di

Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Fabio Pace, elettivamente domiciliata presso il

suo studio, in Milano, Corso di Porta Romana, n. 89/b;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia

depositata il 21-6-2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 febbraio 2018

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

uditi gli Avv. Fabio Pace e Giancarlo Caselli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. Visonà Stefano, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Veniva emessa cartella di pagamento nei confronti del Fondo Pensione Unione Banche Italiane s.c.p.a., Banca Popolare di Bergamo, per la somma di Euro 25.743,00, oltre interessi e sanzioni, a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per omesso versamento di ritenute nell’anno 2005. In particolare, il Fondo Pensione, pur non dichiarando alcun credito o versamento in eccesso con riferimento all’anno di imposta 2004, aveva utilizzato nel corso del 2005 crediti derivanti dalla dichiarazione relativa all’anno precedente.

2. Avverso la cartella la società proponeva ricorso evidenziando la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 e art. 97 Cost. per lesione dell’obbligo di collaborazione e di buona fede nei rapporti tra fisco e contribuente, che aveva versato tutte le ritenute relative all’anno 2005, la mancata risposta alla richiesta di autoannullamento della cartella, che, in realtà, l’omesso versamento era giustificato da crediti per ritenute applicate sulle somme pagate a quattro iscritti al Fondo di previdenza nel corso dell’anno 2004, di cui al codice tributo 1012 (ritenute su indennità per cessazione di rapporto di lavoro) che avevano riscattato le somme di loro pertinenza al netto delle relative ritenute fiscali, che tali ritenute erano state applicate e versate all’erario in maniera eccessiva, sicché la contribuente aveva maturato un credito di imposta pari alla misura dei versamenti effettuati in eccesso, che le ritenute in eccesso erano indicate nel punto 73 della comunicazione dati certificazione lavoro dipendente relativamente ai signori F., L., P. e Pe., contenute nel modello 770/2005, redditi 2004, mentre le ritenute corrette erano state indicate nel punto 73 del modello CUD 2005, che le ritenute applicate per errore (come risultato a seguito di un ricalcolo) erano state versate con codice 1012 nei tre modelli F24 prodotti, mentre la differenza delle maggiori ritenute versate era stata recuperata dalla Cassa di previdenza come credito nel modello 770/2006, sicché nessuna somma era stata omessa.

3. L’Agenzia delle entrate rilevava che “dalle dichiarazioni Modelli 770/2005 e 2006 non risulta alcun credito o versamento in eccesso con riferimento all’anno d’imposta 2004” e che “in ogni caso, dalla documentazione allegata al ricorso, non è possibile rilevare la presunta eccedenza di versamento”.

4. La Commissione tributaria provinciale di Bergamo rigettava il ricorso, rilevando che l’Agenzia aveva tenuto conto degli elementi forniti dalla contribuente ed aveva provveduto allo sgravio parziale degli importi, che, però, nelle dichiarazioni dei redditi non vi era stata indicazione tempestiva di destinazione di asseriti crediti di imposta, che le eventuali eccedenze dovevano essere richieste solo con istanze di rimborso.

5. Avverso tale sentenza proponeva appello la contribuente evidenziando che l’Agenzia non aveva motivato il rigetto della istanza di autotutela, che era stato violato il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., non avendo l’ufficio contestato specificamente i fatti costitutivi del credito d’imposta portato in compensazione, che la dichiarazione relativa all’anno 2004 poteva essere emendata dal contribuente entro il 31-12-2009, ai sensi del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8.

6. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla contribuente, rilevando che l’emissione della cartella era stata preceduta dal contraddittorio con la parte, che non poteva applicarsi il principio di non contestazione “non potendosi veicolare domanda di estinzione dell’obbligazione tributaria mediante giudiziale dichiarazione di compensazione che tenga luogo e…sopperisca le manchevolezze procedimentali che la normativa offre a presidio e tutela del contribuente”, che comunque “la posizione dell’Ufficio non può certo definirsi acquiescente rispetto al credito d’imposta rivendicato dal Fondo Pensione”, che ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis il contribuente poteva emendare la propria dichiarazione ma non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

7. Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la contribuente.

8. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

9. La società depositava memoria scritta ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione della Commissione regionale deducendo l’insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio, consistente nella violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 e dell’art. 97 Cost., per non avere l’Ufficio motivato il rigetto dell’istanza di autotutela presentata dalla parte, con riguardo alla documentazione prodotta in fase procedimentale e sulla conseguente nullità della cartella di pagamento ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, si rileva che la contribuente è stata sentita in contraddittorio in ordine al contenuto della cartella da emettere, tanto che vi è stato anche uno sgravio parziale dell’imposta da parte dell’ufficio. La Commissione tributaria regionale ha fornito ampia motivazione al riguardo, osservando che “vi è agli atti la prova…che la ricorrente, ricevuta la comunicazione di irregolarità, abbia presentato istanza di sgravio parziale…e che l’Ufficio abbia provveduto in conformità con tale richiesta, eccezione fatta per l’omesso versamento di Euro 25.743,00 non indicato in tale istanza…l’emissione della cartella scaturita dall’iscrizione a ruolo, è stata preceduta da un contraddittorio nel corso del quale (la) contribuente ha fornito i chiarimenti ritenuti del caso”.

Inoltre, si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 181 del 13 luglio 2017, ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater, comma 1, nella parte in cui non prevede, nè l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull’istanza di autotutela proposta dal contribuente, nè l’impugnabilità, da parte di questi, del silenzio tacito su tale istanza” e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, nella parte in cui non prevede l’impugnabilità, da parte del contribuente, del rifiuto tacito dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela proposta del medesimo.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce l’omessa od insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella violazione da parte della sentenza di primo grado dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione al principio di non contestazione non avendo essa posto a fondamento della decisione il fatto non contestato della sussistenza del credito di imposta della contribuente, acquisito al processo poiché l’ufficio non ha contestato specificamente i fatti costitutivi del credito d’imposta portato in compensazione dalla contribuente. Secondo la ricorrente l’Agenzia si è limitata a disconoscere genericamente che dalla documentazione prodotta non sarebbe stato possibile rilevare gli avvenuti versamenti.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la società rileva la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui afferma che “la posizione dell’ufficio non può certo definirsi acquiescente rispetto al credito di imposta rivendicato dal fondo pensione”, “prescindendo, quindi, nella decisione della causa dalla circostanza essenziale, acquisita agli atti, dell’esistenza di un credito di imposta disconosciuto dall’ufficio tramite la pretesa oggetto del presente giudizio”.

3.1. Tali motivi, che vanno esaminati contestualmente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, la Commissione tributaria regionale, con motivazione stringata ma esauriente, ha sufficientemente chiarito che non poteva trovare applicazione il principio di non contestazione in ragione delle specifiche difese dell’Agenzia delle entrate.

Infatti, si legge in motivazione che “la posizione dell’Ufficio non può certo definirsi acquiescente rispetto al credito d’imposta rivendicato dal Fondo Pensione”.

Tra l’altro, la stessa ricorrente, nel ricorso per Cassazione, ha sottolineato che l’Agenzia delle entrate ha rilevato che “dalle dichiarazioni Modelli 770/2005 e 2006 non risulta alcun credito o versamento in eccesso con riferimento all’anno d’imposta 2004” e che “in ogni caso, dalla documentazione allegata al ricorso, non è possibile rilevare la presunta eccedenza di versamento”.

Pertanto, v’è stata sicuramente una specifica contestazione in ordine alla dedotta “eccedenza” del versamento.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione della commissione regionale per violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del d.P.R. n. 322 del 1998, art. per avere la sentenza impugnata “ritenuto che la presentazione della nuova dichiarazione rettificativa presentata dalla contribuente entro il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, previsto dal d.P.R. n. 322 del 1988, art. 2, comma 8, non abbia prodotto alcun effetto e per avere invece ritenuto applicabile alla specie il termine di presentazione della dichiarazione relativo all’anno d’imposta successivo di cui al successivo comma 8 bis della medesima norma”. Inoltre, per la ricorrente resta impregiudicato il diritto del contribuente di contestare l’imposizione anche davanti al giudice tributario (cfr. pagine 71 e 73 del ricorso).

5. Con il quinto motivo di impugnazione la contribuente deduce “la violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 225, art. 13 e degli art. 1,3,6,44 e 49 Tuir, per avere la sentenza impugnata negato la possibilità di esercitare la rettifica della dichiarazione tramite l’impugnazione della cartella di pagamento recante un’imposta compensata da un credito pacificamente esistente ed acquisito agli atti”.

5.1. Il quarto ed il quinto motivo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, per la Suprema Corte, a sezioni unite, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (d.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass. Civ., Sez. Un., 30 giugno 2016, n. 13378).

Pertanto, non è corretta la motivazione della sentenza della Commissione regionale, che ha ritenuto che solo l’istanza di rimborso potesse consentire la emenda della dichiarazione dei redditi del contribuente che gli avesse arrecato danni per errori o omissioni, oltre che la presentazione della rettifica non oltre il termine prescritto per la presentazione relativa al periodo di imposta successivo.

La emenda della dichiarazione, quindi, può avvenire anche in sede giudiziale. Tuttavia, nella specie, non può trovare applicazione il principio di non contestazione, in quanto sin dall’inizio del processo l’Agenzia delle entrate ha contestato specificamente che vi fosse stata un versamento “eccedente” da parte della contribuente.

Il pagamento in eccedenza non è, dunque, un dato pacifico, ma specificamente contestato.

Né risulta dal tenore del ricorso per Cassazione che, a fronte della specifica contestazione, la ricorrente abbia prodotto in primo e secondo grado ulteriore documentazione a sostegno della propria richiesta di compensazione del preteso credito esistente.

Infatti, in atti sono state prodotte le prove dei pagamenti effettuati con il modello F 24, ma non le prove del pagamento di una somma “eccedente” rispetto a quella effettivamente dovuta.

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018.

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