Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26174 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 16/10/2019), n.26174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30095/2011 R.G. proposto da:

Società “Ilios s.p.a.”, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresenta e difesa dal prof. Avv. Cuva Angelo e dall’Avv. Palmeri

Giovanni, elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, piazza del Fante, n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia depositata il 19 novembre 2010, n. 256/02/10.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2019

dal Cons. Leuzzi Salvatore.

Fatto

RILEVATO

Che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia sez. staccata di Messina, veniva rigettato l’appello proposto da ILIOS S.P.A., e confermata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 135/11/2009, avente ad oggetto un avviso di accertamento per IVA, imposte dirette e sanzioni, relativo all’anno di imposta 2004, con cui sulla base di p.v.c. e in particolare di documentazione bancaria, venivano disconosciuti determinati costi ritenuti non inerenti, in violazione del T.U.I.R., art. 109. In particolare, veniva recuperata l’IVA indebitamente detratta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 in relazione a plurime cessioni dell’albergo denominato Hotel Imperiale ((OMISSIS)) oggi di proprietà della contribuente e erogazione di un contributo per lavori di ristrutturazione, effettuata ancorchè la L. n. 488 del 1992 non ammetta il finanziamento per l’acquisto di beni immobili tra imprese che si trovino nelle condizioni di cui all’art. 2359 c.c. o siano partecipate per almeno il 25% da un medesimo socio. Veniva inoltre recuperata l’indebita deduzione di costi imputati a conto economico, in violazione del TUIR, art. 75.

– Nel dettaglio, in un circoscritto spazio temporale, la società Omne s.r.l., il cui amministratore delegato al tempo era il sig. I.G.F., acquistava il cespite per 4,5 miliardi di lire dai precedenti proprietari, sig.ri R. e S., e lo cedeva ad una società estera, la Peralta s.a., il cui capitale sociale era detenuto per il 48% dalla famiglia M., per il 48% da I. e per il 4% da terzi, per un prezzo di 6,2 miliardi di lire (valore di bilancio), la quale a sua volta lo vendeva per 14 miliardi di lire alla società Leasing Locat s.p.a., che a sua volta lo cedeva alla contribuente, il cui capitale sociale era al tempo detenuto per il 48% dalla società di diritto del Liechtenstein Huntag AG interamente di proprietà della sig.ra C.M.R., moglie di I., per il 2% dalla società Fincom Holding s.p.a., controllata dalla famiglia M., e per il 50% dalla società di diritto lussemburghese Soparfi, di proprietà del sig. M.G. al 92%.

– Secondo l’Agenzia, da un lato i soggetti economici coinvolti nell’operazione economica di cessione sarebbero riconducibili alle medesime persone fisiche e, dall’altro, la cessione avrebbe avuto lo scopo di aumentare di oltre il doppio il valore commerciale del cespite senza la giustificazione di trasformazioni o ristrutturazioni, al fine di consentire alla contribuente di ottenere un maggiore finanziamento, comunque indebito.

– La contribuente impugnava l’avviso, tra l’altro, deducendo la nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione e, nel merito, l’illegittimità e infondatezza della pretesa, da un lato per non essere le violazioni in materia IVA riferibili alla ricorrente e, quanto alle imposte dirette, per erronea qualificazione dei costi come non inerenti. L’Agenzia delle Entrate resisteva e la CTP respingeva nel merito il ricorso. La contribuente interponeva appello riproponendo le doglianze già disattese in primo grado, lamentando segnatamente: violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (contrasto con il rigetto dell’istanza cautelare); erronea ricostruzione dei fatti da parte dell’Agenzia acriticamente recepita dai giudici di primo grado; nullità dell’atto per vizio di motivazione per relationem; illegittimità dell’avviso in quanto fondato sull’erroneo presupposto della costituzione della società a fini fraudolenti e non operativa al fine di detrarre indebitamente l’IVA; illegittimità in relazione alle rettifiche apportate dai verificatori alle risultanze del conto economico della società. L’appellata resisteva e la CTR respingeva l’impugnazione.

Contro la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste l’Agenzia. La contribuente illustra il ricorso con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– Con il primo motivo di ricorso, viene censurata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 55 e 56, quindi pure “delle norme sulla motivazione degli atti tributari e sull’onere della prova”, per avere la CTR “omesso di valutare l’esame delle argomentazioni offerte dalla società ricorrente, errando nell’interpretazione, delle norme sopra citate”; il motivo è infondato avendo l CTR affermato che l’avviso era motivato, anche “per relationem”;

– Con il secondo motivo, viene lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio, avendo trascurato la CTR di indicare gli “elementi da cui ha tratto il proprio convincimento”, tanto da rendere “impossibile ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento”;

– Con il terzo motivo, viene contestata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la CTR trascurato di valutare e motivare l’effettiva, pretesa riconducibilità di tutta l’operazione in contestazione ai medesimi soggetti, avendo essa concentrato il proprio giudizio solo con riguardo “alla compagine dei soci di alcune società interessate”, tralasciando – sotto altro piano – di esaminare gli elementi probatori forniti da ILIOS a confutazione della tesi erariale sul valore del complesso immobiliare per cui è controversia;

– Con il quarto motivo, viene stigmatizzata la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, avendo la CTR ingiustificatamente negato la detraibilità dell’IVA in relazione all’acquisto del compendio immobiliare per cui è causa da parte di ILIOS;

– Con il quinto motivo, viene lamentata la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 622 del 1972, art. 19, attinente alla detrazione dell’IVA in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. a), avendo la CTR negato la detraibilità dell’IVA sulla base di un presupposto – quello della asserita fatturazione della cessione del complesso immobiliare ad un prezzo superiore al suo valore reale che non è contemplato a tal fine dalla disciplina di settore.

– Va anteposta – rispetto alla disamina delle altre censure – la trattazione congiunta del quarto e del quinto motivo di ricorso, intimamente connessi, investendo entrambi il medesimo profilo dell’indetraibilità dell’IVA ritenuta dal giudice d’appello.

– I due motivi sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

– Nell’articolata vicenda sottoposta al Collegio emerge che la società Omne s.r.l. cedeva alla società di diritto estero Peralta s.a. per Lire 6.200.000.000 l’albergo attualmente di proprietà di Ilios. Accadeva in seguito che Peralta s.a. vendesse per Lire 14.000.000 il complesso alberghiero a Locat Unicredit, società di leasing, senza versare l’IVA. Successivamente la Locat Unicredit – società alla cui compagine sono significativamente del tutto estranei i soggetti titolari di quote di partecipazione negli altri enti societari or ora mentovati cedeva in leasing il cespite in parola alla Ilios, che successivamente decideva di riscattarlo, pagandone il prezzo dovuto e corrispondendo al proprio dante causa l’importo dell’IVA.

– Questo essendo il quadro essenziale degli eventi traslativi correlati al bene, le circostanze salienti e dirimenti da tenere in evidenza sono senz’altro le seguenti: Ilios ha riscattato un bene da una società di leasing facente capo ad Unicredit e, in quanto tale, affatto riconducibile entro l’orbita” societaria di detta cessionaria come pure delle persone fisiche via via detentrici delle quote di partecipazione relative ai singoli enti societari in capo ai quali, in precedenza, era transitata la titolarità del cespite; la società di leasing determinava, all’atto dell’acquisto del bene poi ceduto a Ilios, una soluzione di continuità nella catena dei trasferimenti fra persone giuridiche che l’erario assume riconducibili al medesimo contesto societario e ad un identico recinto di interessi e situazioni giuridiche rilevanti, tanto da trarne elementi valorizzabili in punto di indetraibilità dell’IVA; ILIOS ha acquistato il bene ed essendo incontestato l’avvenuto pagamento, da parte sua e nei riguardi della LOCAT, dell’importo dell’IVA sull’acquisto, può certamente detrarre l’imposta.

– Giova considerare che in tema di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, presuppone, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente – qualità nel caso che occupa incontroversa – l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso. Su queste basi, il diritto del cessionario di beni alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, si fonda in senso assorbente sull’esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui al citato D.P.R., artt. 21, 23, 24 e 25 – secondo i quali il cedente deve emettere la fattura per l’operazione imponibile, annotarla nel registro delle fatture e trasmetterne copia, con addebito del tributo, al cessionario, il quale deve a sua volta annotarla nel registro degli acquisti – senza che assumano rilevanza ulteriori profili.

– Nella specie, è incontestato che il soggetto passivo Ilios abbia assolto al pagamento dell’IVA per l’acquisto del compendio alberghiero, in corrispondenza di una operazione effettivamente posta in essere e soggetta a detta imposta. Nè l’Amministrazione ha contestato la fittizietà delle operazioni e l’inattendibilità delle scritture contabili o delle fatture utilizzate dal contribuente per l’operazione passiva; men che meno l’erario ha revocato in dubbio il profilo dell’inerenza della cessione dalla società di leasing ad Ilios.

– Il ricorso va, in definitiva, accolto in relazione al quarto e al quinto motivo; la sentenza d’appello dev’essere cassata e la causa rimessa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla CTR della Sicilia – Sezione staccata di Messina, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigettato il primo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata; rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Sicilia – Sezione staccata di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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