Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26168 del 21/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26168 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

ORDINANZA

revocatoria ordinaria

C V(

sul ricorso proposto da:

CASABIANCA Gina (CSB GNI 22T51 A932I), elettivamente
domiciliata in Roma, Piazza Mazzini n. 27, presso lo studio
dell’Avvocato Chiara Tagliaferro, dalla quale è
rappresentata e difesa, unitamente all’Avvocato Ruggero
Berardi, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
FALLIMENTO BERTANI ARMANDO (BRT NRD 18E06 E463Z), in
persona del curatore pro tempore,

rappresentato e difeso,

per procura a margine del controricorso, dagli Avvocati
Filippo Tornabuoni e Claudio Scopsi, elettivamente
domiciliato in Roma, viale Bruno Buozzi n. 77, presso lo
studio del primo;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 21/11/2013

avverso la sentenza n. 1026 del 2010 della Corte d’appello
di Genova, depositata il 30 settembre 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito il P.M.,

in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ignazio Patrone, che nulla osserva in ordine
alla relazione di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.
Ritenuto

che con atto di citazione notificato il 23

luglio 1998 il Fallimento Bertani Armando conveniva dinanzi
al Tribunale di Genova Gina Casabianca chiedendone la
condanna al risarcimento del danno provocato alla massa dei
creditori per avere sottratto all’attivo fallimentare un
immobile di notevole valore;
che in tale sede veniva esposto che la convenuta aveva
acquistato e poco dopo rivenduto l’immobile

de quo,

nonostante lo stesso fosse stato trasferito in forza di
simulazione assoluta, e nonostante la presumibile
conoscenza da parte della Casabianca, essendo la stessa
consuocera del Bertani, che tale atto fosse pregiudizievole
per le ragioni dei creditori;
che il Tribunale di La Spezia, con sentenza n. 1026 del
2010, accoglieva la domanda così proposta e condannava la
Casabianca al pagamento di Euro 215.878,98 oltre interessi
legali e spese processuali;

Stefano Petitti;

che tale sentenza veniva gravata dalla soccombente, la
quale chiedeva che ne fosse dichiarata la nullità,

ex art.

132 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., e che fosse respinta ogni
domanda proposta nei propri confronti;

motivo di gravame riguardante la lamentata nullità della
sentenza per omessa pronuncia sulla domanda principale di
simulazione, rilevava come, trattandosi di domanda avanzata
da controparte, l’appellante non avesse motivo di dolersi
del mancato esame della stessa;
che la Corte osservava comunque che, essendo stata
vagliata e accolta la domanda attorea subordinata,
incompatibile con l’accoglimento di quella principale, ciò
solo bastava a rendere evidente il rigetto della stessa;
che la Corte territoriale riteneva poi che l’omessa
indicazione delle conclusioni della parti, non traducendosi
in omessa pronuncia, non inficiasse la sentenza impugnata,
e che parimenti infondate fossero le doglianze relative
all’inutilizzabilità del materiale istruttorio, in quanto
le produzioni attoree erano effettuabili sin dalla
citazione ed indipendentemente dalla concessione del
termine

ex art. 180 cod. proc. civ. (come previsto prima

della novella del 2006), e che le produzioni

ex art. 213

cod. proc. civ., pur non potendo essere acquisite prima
della piena realizzazione del contraddittorio tra le parti,

che la Corte d’appello di Genova, in merito al primo

in questo caso erano state utilizzate solo in relazione a
fatti pacifici in causa;
che, nel merito, i giudici di appello ritenevano
sostanzialmente corrette le conclusioni cui era pervenuto

cancelleria il 30 settembre 2010, rigettavano l’appello
proposto dalla Casabianca;
che quest’ultima ha quindi proposto ricorso per
cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale
lamenta violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, segnatamente artt. 132, comma primo, n.3, 161, 112
e 183 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e
4, cod. proc. civ., per violazione di legge o falsa
applicazione di norme di diritto nella sentenza impugnata
circa un fatto decisivo per il giudizio,

id est

omessa

trascrizione in sentenza delle formali conclusioni attoree;
che la ricorrente, pur essendo a conoscenza della
giurisprudenza di legittimità in virtù della quale la
omessa trascrizione delle conclusioni delle parti nel testo
della sentenza gravata non costituisce di per sé motivo di
nullità, sostiene che nel caso di specie la mancata
trasposizione delle formali conclusioni di parte attrice
avrebbe inciso nella decisione del giudice per la
indeterminatezza del thema decidendum e del petitum;

4

il Tribunale e, con sentenza n.1026 del 2010, depositata

che tale indeterminatezza, a dire di parte ricorrente,
sarebbe anche stata causata dal comportamento processuale
di controparte, che con l’atto di citazione aveva chiesto
in via principale la simulazione assoluta del rogito e, in

donazione
presentata

ex

art. 2901 cod. civ., mentre nella memoria

ex

art. 183 aveva proposto domanda di

simulazione relativa o, in subordine, di inefficacia della
donazione ex art. 2901 cod. civ.;
che ha resistito con controricorso, in persona del
curatore Rag. Federico Galanti, il Fallimento Bertani
Armando;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la
trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata
redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico
Ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la
seguente proposta di decisione:
[Là Il ricorso è inammissibile.
Va innanzitutto sottolineata l’infondatezza della censura
sull’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti in
quanto la sentenza impugnata, essendo stata resa ai sensi
dell’art.

281-sexies cod. proc. civ., non abbisognava di

tutti i requisiti richiesti

ex art. 132 cod. proc. civ. La

via subordinata, la dichiarazione di inefficacia della

ratio della norma è proprio quella di consentire al giudice

di pronunciare la sentenza in udienza al termine della
discussione dando lettura solamente del dispositivo e delle
ragioni di fatto e di diritto, dovendosi ricavare gli altri

sottoscritto dal giudice stesso.
La ricorrente, del resto, non censura specificament e tale
ratio decidendi,

limitandosi, nella sostanza, a dedurre

nuovamente una questione, quella della mancata
individuazione delle domande sulle quali il giudice di
primo grado avrebbe dovuto pronunciare, che la Corte
d’appello ha ritenuto non fondata, rilevando che
l’accoglimento della domanda revocatoria, proposta sin
dall’inizio in via subordinata, comportava un implicito
rigetto di ogni altra domanda (simulazione assoluta o
relativa) proposta in via principale.
Ma il ricorso è inammissibile anche sotto altro profilo.
La Corte territoriale ha basato la propria decisione su più
ragioni autonome, delle quali ognuna da sola sufficiente a
sorreggerla sia logicamente che giuridicamente. La prima di
queste ragioni consiste nella rilevata mancanza di
interesse della ricorrente a dolersi della omessa disamina
di una domanda che era stata proposta contro di lei, e su
tale punto, però, la Casabianca non ha proposto
impugnazione alcuna. Ciò, da un lato, comporta che tale

requisiti richiesti dalla legge dal verbale di udienza

statuizione divenga definitiva e, dall’altro, impedisce di
giungere all’annullamento della decisione gravata. Tale
conclusione è espressione di un principio consolidato
presso la giurisprudenza di legittimità, che in numerose

cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di
una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e
singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e
giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le
decidendl

rationes

rende inammissibili le censure relative alle

singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza,
in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non
potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta
definitività delle altre non impugnate, all’annullamento
della decisione stessa (Cass. n. 3386 del 2011; Cass. n.
389 del 2007).
Nel caso di specie, allora, la ricorrente avrebbe dovuto
impugnare anche tale statuizione, essendo necessario per
giungere alla eventuale cassazione della pronuncia, che il
ricorso si rivolga contro ciascuna della ragioni poste alla
base della sentenza, in quanto, in caso contrario, quelle
non censurate sortirebbero l’effetto di mantenere ferma la
decisione basata su di esse (Cass. n. 24540 del 2009).
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora
il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si

pronunce ha affermato che in tema di ricorso per

ritiene che il giudizio possa essere trattato in camera di
consiglio ai sensi dell’art. 375 n. 1 c.p.c. ed essere
dichiarato inammissibile»;
che il Collegio condivide la proposta di decisione,

sorta;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente,
in applicazione del principio della soccombenza, al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi euro 6.500,00 per
compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi e agli accessori
di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

alla quale, del resto, non sono state rivolte critiche di

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