Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26168 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/11/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 17/11/2020), n.26168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18817-2014 proposto da:

FRAMO FINANZIARIA SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in TREVIGLIO

(BERGAMO), VIA P.L. DELLA TORRE 8, presso lo studio dell’avvocato

GIAN BATTISTA COMOTTI, che lo rappresenta e difende giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PANARITI per delega dell’Avvocato

COMOTTI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia contestò a Framo Finanziaria s.r.l. (di seguito, anche solo “Framo”) la fittizietà di due operazioni di trade on stock effettuate nel 2005 e nel 2006, mediante le quali la società – per ciascuna annualità – aveva apparentemente acquistato dalla società Niwon LLC la partecipazione del 100% della società Ewing Holding Company LLC, entrambe di diritto statunitense, così percependo da quest’ultima i dividendi, retrocedendo ad una data scadenza la stessa partecipazione a Niwon ad un prezzo predeterminato, e pagando inoltre il compenso per l’intermediazione a F.Y.S. Finanziaria s.p.a. e a Tax Department di D.G. & C. s.n.c. L’Ufficio emise pertanto tre avvisi di accertamento per l’anno 2005 e due avvisi per l’anno 2006, rispettivamente rilevando maggiore IVA dovuta per Euro 17.841.724,00 ed Euro 23.839.378,00, nonchè maggiore IRES per Euro 330.000,00 ed Euro 544.500,00, oltre sanzioni. Sempre in relazione all’anno 2005, Equitalia Nord s.p.a. emise e notificò alla società cartella di pagamento a seguito dell’iscrizione a ruolo straordinario delle relative somme.

La società impugnò detti atti impositivi con sette autonomi ricorsi, respinti – previa loro riunione – dalla C.T.P. di Milano con sentenza del 18.12.2012. La C.T.R. della Lombardia rigettò l’appello della società con sentenza del 17.1.2014, osservando (per quanto qui interessa) che Framo era pienamente consapevole delle operazioni compiute anche dalle altre società ed era parte attiva della complessa frode fiscale fin dall’origine.

Framo Finanziaria Italia s.r.l. in liq. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che ha pure depositato memoria. Equitalia Nord s.p.a. non ha resistito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente evidenzia che la tesi di fondo seguita dalla C.T.R., secondo cui le complesse operazioni descritte denoterebbero l’esistenza di una frode fiscale, risulta smentita dall’esito di un procedimento penale (sentenza Trib. Milano n. 14718/2013 del 21.1.2014, passata in giudicato), definito dopo l’adozione della sentenza qui impugnata, che ricostruisce i fatti in modo incompatibile con l’accertamento effettuato dalla C.T.R. e che spiegherebbe effetto vincolante in questo giudizio ex art. 654 c.p.p. Nella sostanza, il giudice penale avrebbe accertato che le operazioni suddette sono state accompagnate dai corrispondenti flussi finanziari (Framo ha anche corrisposto l’IVA), dal che discenderebbe l’effettività delle operazioni stesse. Pertanto, ferma l’efficacia vincolante del giudicato, il giudice tributario deve comunque considerare le risultanze della sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste come elemento di prova critica, sicchè non può prescindersi da essa ai fini della ricostruzione complessiva della vicenda. Aggiunge la ricorrente che, a fronte di tali argomenti, quelli adottati dalla C.T.R. appaiono del tutto inconsistenti: il primo (pagamento di Euro 5.727.000,00 da Framo a Niwon) perchè smentito documentalmente dagli all. 6 e 8 al PVC dell’Agenzia delle Entrate; il secondo (uso della lingua italiana in tutta la corrispondenza tra le società coinvolte) perchè addirittura privo di ogni significato giuridico; il terzo (coinvolgimento del prof. C., preteso sostanziale dominus delle operazioni stesse) perchè smentito dalla sua assoluzione nel citato procedimento penale.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e comunque omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La ricorrente sottolinea che in nessun passaggio della sentenza impugnata viene affrontata la questione della effettività/falsità delle dette operazioni, rinviando poi la C.T.R., quanto alla natura indebita dei vantaggi conseguiti da Framo, alla motivazione della decisione di primo grado, ma in modo apodittico e senza dimostrare di aver almeno vagliato criticamente le censure mosse a quest’ultima.

2.1 – Deve anzitutto rilevarsi che la società ricorrente, nelle more di questo giudizio di legittimità, è stata òdichiarata fallita dal tribunale competente (v. Cass. n. 9386/2018, che ha respinto il ricorso avverso il decreto di rigetto dell’opposizione L. Fall. ex art. 18, emesso dalla Corte d’appello di Milano il 12.11.2015). La circostanza, peraltro, non incide sulla proseguibilità di questo stesso giudizio, noto essendo che l’istituto dell’interruzione non è applicabile in sede di legittimità (v., ex multis, Cass. n. 23143/2017).

3.1 – Ciò posto, il primo motivo è inammissibile, in tutte le sue articolazioni.

Anzitutto, va rilevato che il mezzo in esame consta, in realtà, di almeno due profili. Con il primo, si invoca l’autorità della cosa giudicata di Trib. Milano n. 14718/2013 del 21.1.2014, resa in sede penale; con il secondo, si denuncia il preteso deficit motivazionale in cui sarebbe incorsa la C.T.R.

3.2 – Ora, quanto al primo profilo, è noto che l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato è assimilabile allo ius superveniens e che “il giudizio di legittimità, avendo ad oggetto non già l’operato del giudice di merito, bensì la conformità all’ordinamento giuridico della decisione adottata, non richiede necessariamente un errore del primo” (Cass. n. 8284/2019), sicchè nulla vieterebbe, in linea teorica, di denunciare in questa sede di legittimità l’oggettiva incompatibilità della decisione di merito rispetto ad un giudicato formatosi dopo la sua pubblicazione, ma prima della proposizione del ricorso per cassazione, come nella sostanza ha inteso fare la società ricorrente. Senonchè, contrariamente a quanto dedotto in ricorso e anche a prescindere dalle pur pertinenti argomentazioni svolte dall’Agenzia in memoria, l’art. 654 c.p.p. non comporta affatto l’estensione automatica del giudicato penale in ambito tributario, ma gli attribuisce una valenza lato sensu probatoria. Ancora recentemente, infatti, è stato ribadito che “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula ‘perchè il fatto non sussiste, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazionè come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare” (Cass. n. 17258/2019).

Si tratta, dunque, di un elemento lato sensu probatorio sopravvenuto alla decisione qui impugnata, non valutato dal giudice d’appello in quanto formatosi in epoca successiva alla sua decisione, ma come tale di per sè inidoneo a supportare sia la cassazione della decisione stessa (si tratta di una “possibile” fonte di prova, non certo di prova legale), sia una eventuale (ove mai proposta) revocazione dinanzi allo stesso giudice d’appello, non essendo sussumibile la questione nell’ambito della previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3. Il profilo in esame è dunque inammissibile, risolvendosi – come correttamente evidenziato dalla stessa Agenzia – in una quaestio facti.

3.3 – Quanto al secondo profilo del primo mezzo, esso è parimenti inammissibile, perchè testualmente e sostanzialmente avanzato ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con esso, infatti, non si denuncia l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio (v. Cass. Sez. Un. 8053/2014), bensì l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, vizio non più proponibile in sede di legittimità avuto riguardo alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012.

4.1 – Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Valga, in relazione alla pretesa omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, quanto già osservato nel par. che precede circa l’analoga censura ivi esaminata, il che ne determina l’inammissibilità.

Quanto alla pretesa violazione dell’art. 132 c.p.c. (rectius, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36), il mezzo è invece infondato, reputando la Corte che la motivazione della sentenza impugnata sia sufficientemente rispettosa del c.d. minimo costituzionale (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014). Il giudice d’appello, infatti, ha nel complesso valutato tutti gli elementi di anomalia dell’intera operazione (elencati e collegati logicamente nel capo che inizia e termina, rispettivamente, con le parole “Dai rapporti” e “frode fiscale”), per poi ribadire il carattere indebito dei benefici così tratti dalla stessa Framo, già espresso dal giudice di primo grado. Si tratta, dunque, di motivazione (anche) per relationem, certamente non in contrasto col disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e tutt’affatto che priva di vaglio critico, come pretenderebbe la ricorrente.

5.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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