Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26166 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. II, 18/10/2018, (ud. 22/05/2018, dep. 18/10/2018), n.26166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6739/2017 proposto da:

D.A.T., C.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DELLA MARINA 1, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO

PLACIDI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA

LENTINI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2593/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 24/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

C.A. e D.A.T. propongono ricorso per cassazione avverso il decreto n. 2593/2016 della Corte d’Appello di Perugia che, pronunciando su un ricorso introdotto dalle parti L. n. 89 del 2001, ex art. 2, avverso il Ministero della Giustizia per l’eccessiva durata di un processo di esecuzione immobiliare, durato complessivamente 16 anni, ha rigettato la domanda di equa riparazione sulla base dell'”assenza del danno” non patrimoniale, affermando che l’eccessiva durata del processo esecutivo non costituisce solitamente un danno per il debitore che sia rimasto nel possesso dei beni staggiti.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

In prossimità del’odierna adunanza i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 6, 8 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonchè degli artt. 2056 e 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’eccessiva durata del processo non costituisse per i debitori, i quali erano rimasti nel possesso dei beni staggiti per tutta la durata del processo esecutivo, un danno ma un vantaggio.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha infatti evidenziato la carenza di interesse e dunque la mancanza del presupposto per l’indennizzo da irragionevole durata del procedimento, in relazione al protrarsi della procedura esecutiva, in considerazione del mantenimento di detenzione e godimento del bene espropriato in capo ai ricorrenti, quali debitori esecutati.

Tale statuizione è conforme a diritto.

Il debitore esecutato rimasto inattivo non ha infatti diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica (Cass. 89 del 7 gennaio 2016).

Questa Corte ha infatti statuito che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poichè egli dall’esito del processo non riceve un danno ingiusto.

Pertanto, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, l’esecutato ha l’onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse “ab origine” tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente (Cass. 14382 del 09/07/2015).

Orbene nel caso di specie, dallo stesso contenuto del ricorso, non risulta nè un ruolo attivo dei debitori, nè la circostanza che l’attivo pignorato o pignorabile fosse “ab origine” tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e di tutti i debiti, risultando, al contrario, che i creditori non sono rimasti integralmente soddisfatti.

Non risulta dunque ravvisabile un interesse dei debitori ad una rapida definizione della procedura esecutiva, avendo essi mantenuto una posizione meramente passiva, di attesa della liquidazione dei beni pignorati, non palesando dunque alcuna premura per il suo celere svolgimento, traendo, al contrario, vantaggio, dalla sua eccessiva durata (Cass. n. 23630 del 17/10/2013) in relazione alla prolungata detenzione del bene.

Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 900,00 Euro oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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