Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26165 del 19/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 19/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.19/12/2016),  n. 26165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22825-214 proposto da:

P.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10/B, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO PRUDENZANO, rappresenta Lo e difeso dall’avvocato FRANCO

D’ACUNTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso duali avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, giusta

delega in atti;

– INTESA SANPAOLO S.P.A., (già SAN PAOLO IMI S.P.A.) C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo studio

dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIALUCREZIA TURCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6353/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/12/2013 r.g.n. 10771/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato D’ACUNTO FRANCO;

udito l’Avvocato PANDOLFO ANGELO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Napoli in data 11.7.2005 P.V., già dipendente del Banco di Napoli fino all’ottobre 1989, titolare di pensione a carico dell’INPS e di supplemento della pensione INPS, chiedeva al giudice del lavoro di accertare la infondatezza e la tardività della pretesa dell’INPS alla restituzione della quota di pensione percepita a carico dell’ente per il periodo dal giugno 1994 al dicembre 2000 (in complessivi Euro 267.722,50, poi ridotti ad Euro 241.348,07), in cui egli aveva instaurato un nuovo rapporto di lavoro dipendente, per la pretesa incumulabilità tra reddito da lavoro dipendente e trattamento pensionistico. Chiedeva altresì accertarsi il suo diritto a cumulare la pensione con la retribuzione e condannarsi l’INPS a pagare gli arretrati del supplemento di pensione trattenuti a titolo di compensazione parziale con il preteso indebito.

In via progressivamente gradata chiedeva accertarsi, nell’ordine:

che tenuta alla restituzione era la società SAN PAOLO IMI spa, subentrata al Banco di Napoli.

che egli aveva diritto a fruire del condono ex lege n. 289 del 2002, con obbligo dell’INPS di restituire la somme trattenute in eccesso rispetto alla somma dovuta per condono.

che l’INPS e/o il Banco di Napoli erano responsabili per il danno subito, con condanna degli stessi enti alla rifusione dell’importo che egli era stato chiamato a restituire e contestuale compensazione.

Il Tribunale accoglieva la domanda, riconoscendo il diritto di parte ricorrente al cumulo (sentenza del nr. 13776/2008).

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 11.10.- 7.12.2013 (nr. 6353/2013), accoglieva l’appello dell’INPS, rigettava l’appello incidentale condizionato proposto dal P. e per l’effetto rigettava tutte le domande proposte con il ricorso introduttivo del giudizio.

Osservava che al trattamento pensionistico goduto dal P. si applicava il divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro dipendente sancito dalla L. n. 153 del 1969, art. 22 norma estesa ai dipendenti dello Stato D.L. n. 17 del 1983, art. 10, comma7 e per questa via anche ai dipendenti del Banco di Napoli.

Invero:

– il D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c. del trovava applicazione a tutto il personale statale che presentasse domanda di pensionamento anticipato a partire dalla data di entrata in vigore della stessa legge; il pensionamento anticipato comprendeva poi anche le pensioni di anzianità.

– Quanto ai dipendenti del Banco di Napoli, l’art. 11 dell’allegato T alla L. n. 486 del 1895, art. 39 aveva previsto che le pensioni dei dipendenti del Banco di Napoli fossero regolate dalle diposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato; l’art. 100 del regolamento interno del Banco di Napoli richiamava tale previsione, salvo diverse disposizioni del regolamento stesso, che nella specie erano pacificamente insussistenti.

Il P. in quanto collocato in pensionamento di anzianità dal 30 ottobre 1989, non poteva cumulare la pensione di anzianità con il reddito da lavoro dipendente e ciò indipendentemente da quanto disposto dalla successiva riforma dell’anno 1990 (L. n. 218 del 1990 e L. n. 357 del 1990), giacchè anche ante riforma non poteva vantare il diritto al cumulo.

Tale diritto non poteva trovare fondamento nella circolare del Banco di Napoli indicata in ricorso (del 9.1.1997), che non poteva incidere su una disposizione cogente di legge.

In ordine all’appello incidentale del P., era infondata la pretesa di porre a carico del Banco di Napoli, poi San Paolo IMI spa, in assunta applicazione del D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 3 e 4 l’obbligo di pagare la quota di pensione conseguente al divieto di cumulo e di restituire all’INPS quanto già liquidatogli.

Il D.Lgs. n. 357 del 1990 aveva stabilito la iscrizione alla Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) dei dipendenti degli Istituti pubblici creditizi a decorrere dall’i gennaio 1991, con un diverso regime per coloro che fossero già pensionati alla data del 31.12.1990.

L’art. 3 in relazione agli iscritti già pensionati prevedeva la assunzione a carico della gestione speciale dell’INPS di una quota del trattamento pensionistico in essere al 31.12.1990, determinata nelle misure percentuali indicate in una apposita tabella e secondo la disciplina in vigore nell’AGO; il comma quattro disponeva la salvezza del trattamento previdenziale complessivo di miglior favore, secondo la disciplina del successivo art. 4.

La clausola del trattamento di miglior favore doveva intendersi limitata all’importo del trattamento pensionistico già goduto e non al regime applicabile – ed in particolare al cumulo. Non aveva alcun riscontro la pretesa del P. a porre a carico del banco San Paolo Imi quote di pensione che non gli spettavano in conseguenza del divieto di cumulo con il reddito da lavoro dipendente; il Banco interveniva ad integrare la pensione corrisposta dall’AGO per conservare il più elevato trattamento pensionistico goduto se ed in quanto dovuto.

Sotto altro profilo il P. lamentava che la tardiva contestazione da parte dell’INPS e del San Paolo IMI spa del divieto di cumulo non gli aveva consentito di accedere al condono previdenziale ex lege n. 289 del 2002; anche tale pretesa era infondata giacchè non risultava che il P. avesse comunicato all’INPS ovvero al banco di Napoli la sua attività di lavoro dipendente: la mancanza di comunicazione e la complessità della normativa giustificavano il silenzio degli enti.

Il P., poi, non aveva dimostrato in alcun modo che egli avrebbe avuto diritto di accedere al condono, non avendo allegato gli elementi concreti che fondavano tale diritto.

Per la Cassazione della sentenza ricorre P.V., articolando sette motivi. Resistono con controricorso INTESA SAN PAOLO spa (già SAN PAOLO IMI spa) e l’INPS. Il ricorrente e INTESA SAN PAOLO hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso attengono alla statuizione di accoglimento dell’appello principale proposto dall’INPS.

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione:

– dell’art. 442 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

– art. 118 c.p.c..

– art. 12 preleggi in relazione al D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 1, commi 1, 2, art. 3, commi 1 e 2;

– L. n. 421 del 1992, art. 3, lett. m – n – p e D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 9 e 10.

Ha esposto che l’appellante INPS aveva eccepito soltanto in appello la applicabilità dell’art. 11 all. T alla L. n. 486 del 1895, art. 39 mentre nel primo grado si era limitato a sostenere che il divieto del cumulo derivava dal passaggio dei dipendenti degli enti pubblici creditizi all’AGO a norma della L. n. 218 del 1990 e del D.Lgs. n. 357 del 1990. La eccezione era stata opposta soltanto da Intesa San paolo spa che, tuttavia, non aveva interesse a resistere rispetto alla domanda principale ma solo rispetto alle domande proposte in via subordinata.

Ha dedotto il ricorrente che la eccezione non poteva essere esaminata dalla Corte territoriale giacchè nel giudizio di appello non potevano proporsi eccezioni nuove e non rilevabili d’ufficio (ai sensi dell’art. 345 c.p.c.).

In ogni caso la tesi dell’INPS secondo cui il divieto di cumulo della pensione con la retribuzione da lavoro dipendente sarebbe derivato dal D.Lgs. n. 357 del 1990 era infondata (dovendosi tenere conto della salvezza del trattamento in essere prevista per i pensionati dal D.Lgs. n. 357 del 1990, artt. 3 e 4).

Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

E’ infondato quanto alla dedotta violazione delle norme processuali che disciplinano la proposizione delle eccezioni nel grado di appello; la individuazione della disciplina giuridica regolatrice dei fatti di causa non è oggetto di una eccezione ma esercizio della funzione di applicazione delle norme di diritto, riservata al giudice ed indipendente tanto dalla iniziativa che dalla qualificazione dei fatti eventualmente offerta dalle parti nelle rispettive difese.

Impropriamente sono dunque evocate preclusioni che concernono la introduzione nel processo dei fatti materiali modificativi ed estintivi del diritto azionato (id est: eccezioni) e non anche la applicazione delle norme giuridiche.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce la violazione delle norme del D.Lgs. n. 357 del 1990 e del D.Lgs. n. 503 del 1992, che non sono state poste a fondamento della decisone impugnata.

Il ricorso per cassazione è infatti un mezzo di impugnazione a critica vincolata, il cui oggetto è limitato, da un lato, dalle precise statuizioni della sentenza, dall’altro dagli specifici motivi di impugnazione. Da ciò consegue la inammissibilità di ogni censura che si fondi su statuizioni non rinvenibili nella decisione.

La Corte d’appello ha fondato la sua decisione di incumulabilità della pensione con la retribuzione da lavoro dipendente percepita dal pensionato sulla applicazione del D.L. n. 17 del 1983, art. 10, comma 7 sicchè non ha preso in esame le disposizioni di legge di cui con il motivo si assume la non corretta interpretazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1092 del 1973, artt.: 130;

D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c.;

Nonchè mancata valutazione delle disposizioni del regolamento per il personale del banco di Napoli in tema di indennità integrativa speciale.

La parte ha dedotto la erroneità della applicazione nella fattispecie di causa del D.L. n. 17 del 1983, art. 10, comma 7.

Ha assunto che l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione anti-cumulo del comma 7 riguardava unicamente coloro che fruivano di pensionamenti anticipati in applicazione delle disposizioni dello stesso art. 10.

L’art. 10 al comma 1 si riferiva ai dipendenti in servizio che percepissero la indennità integrativa speciale e non genericamente al personale statale sicchè il diritto al cumulo della pensione con il reddito da lavoro dipendente sopravviveva per il personale dello Stato che non percepiva la indennità integrativa speciale.

In ogni caso il personale del Banco di Napoli non aveva mai percepito la indennità integrativa speciale, essendo assoggettato unicamente alla disciplina privatistica del Regolamento per il personale e dei contratti collettivi di lavoro per il settore del credito, che non prevedevano la indennità integrativa speciale ma esclusivamente la indennità di scala mobile, come documentato in primo grado con la produzione del regolamento per il personale (versato in atti sub nr. 1).

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi in relazione all’art. 11 all. T alla L. n. 486 del 1895, art. 39 con riferimento al TU n. 1092 del 1973, art. 130 ed al D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c. in relazione al D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 1, commi 1 e 2, art. 3, comma 1 e art. 24;

L. n. 421 del 1992, art. 3, lett. m – n – p e D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 9, comma 1, art. 10, comma 8.

Il ricorrente ha esposto che in ogni caso il trattamento pensionistico relativo al personale dello Stato poteva applicarsi ai dipendenti del Banco di Napoli soltanto in via suppletiva rispetto alla normativa regolamentare interna, in ragione della autonomia della normativa pensionistica dei dipendenti del banco di Napoli rispetto alla normativa di legge sulle pensioni dei dipendenti dello Stato. Il divieto di cumulo introdotto dal D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c. non poteva dunque applicarsi ai dipendenti del Banco di Napoli se non attraverso una pattuizione collettiva.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del combinato disposto del TU n. 1092 del 1973, art. 130 e del D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c. nonchè mancata valutazione dell’assetto regolamentare del regime del Banco di Napoli e del comportamento negoziale del Banco conseguente alla mancata considerazione della prove dedotte e degli artt. 1173, 1324, 1362, 1363, 1371, 2697, 2078, 2724, 2728 e 2733 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c..

Ha lamentato che la Corte di merito aveva omesso di considerare quanto allegato sin dal ricorso introduttivo del giudizio sul comportamento negoziale del Banco di Napoli, che confermava e radicava il diritto al cumulo, come provato dai documenti prodotti e come richiesto di provare attraverso i mezzi istruttori articolati.

Si trattava di una lettera-parere del Banco di Napoli inviata dall’ufficio legale alla direzione generale – servizio per il personale del 9.1.1997 (all. 2) nonchè delle lettere circolari nr 151 del 29.7.1993 e nr. 176 del 28.6.1994, depositate in data 29.1.2008 con le note autorizzate.

Tale documentazione era stata sottoposta al giudice dell’appello così come era stata reiterata la richiesta dei mezzi istruttori (richiesta di interrogatorio formale e di prova per testi) diretta a dimostrare il riconoscimento ai pensionati del diritto di cumulo anche dopo la entrata in vigore del D.Lgs. n. 357 del 1990 per i dipendenti già pensionati.

La Corte d’appello si era limitata ad escludere la rilevanza normativa in deroga alla legge della circolare del Banco di Napoli (rectius: lettera interna) citata in ricorso (nr. 845/1997) senza considerare che essa era stata riportata non quale fonte di diritto ma quale elemento di prova dell’ assetto negoziale del regime pensionistico anteriormente al 31.12.1990, che teneva fermo il diritto di cumulo tra pensione e retribuzione anche per scelta negoziale.

I motivi dal secondo al quarto, che possono essere congiuntamente trattati in quanto connessi, sono infondati.

La questione di diritto sottoposta con i predetti motivi è stata gíà affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 11/12/2002, n. 17655), che ha operato una ricognizione delle norme cui va data continuità.

Giova premettere che la L. 8 agosto 1895, n. 486, art. 39 richiamava come parte integrante della legge medesima l’allegato T, contenente disposizioni riguardanti i due Banchi di Napoli e di Sicilia; tale Allegato, all’art. 11, comma 1, prevedeva espressamente che le pensioni fossero regolate dalle disposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato.

Il disposto del citato art. 11 subiva un ridimensionamento per effetto della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti dei due Banchi – e della relativa normativa- in conseguenza dell’acquisito carattere da parte degli stessi di enti pubblici economici.

Come affermato in plurime pronunzie di questa Corte (Cass. 16 maggio 1996 n. 4543, Cass. 7 aprile 1992 n. 4219, Cass. 11 aprile 1987 n. 3653), per effetto della privatizzazione del rapporto di lavoro al rinvio alla normativa sulle pensioni degli statali (di cui al citato art. 11) restava assegnata una duplice funzione:

– di garanzia del minimo, nel senso che il trattamento pensionistico attribuito ai dipendenti delle due banche non poteva essere inferiore a quello dei dipendenti statali;

– di supplenza ed integrazione della disciplina regolamentare interna dei due Istituti.

La sentenza impugnata ha accertato, con statuizione non investita in modo specifico dagli attuali motivi di ricorso, che l’art. 100 del regolamento del Banco di Napoli richiamava e reiterava la disposizione dell’art. 11 dell’allegato T L. n. 486 del 1895 e che nessuna norma dello stesso regolamento disciplinava la ipotesi di cumulo tra il trattamento pensionistico ed il reddito da lavoro.

Correttamente pertanto il giudice dell’appello,in applicazione dei principi sopra esposti, ha affermato che la disciplina applicabile ai dipendenti del Banco di Napoli era esattamente quella del personale statale, nella specie in funzione suppletiva della disciplina contrattuale.

Posto dunque che, in forza del rinvio di cui al richiamato art. 100, era applicabile ai dipendenti del Banco di Napoli la disciplina della pensioni statali, come nel tempo modificata, si rileva che a tenore del D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c.:

“Ai soggetti che fruiscono di pensionamenti anticipati in applicazione delle disposizioni di cui al presente art. (id est: il personale avente diritto all’indennità integrativa speciale che cessa dal servizio a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 17 del 1983) si applicano le norme sui divieti di cumulo previsti dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 22” (e quindi il divieto di cumulo di pensione e retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi).

L’assunto del ricorrente secondo cui la disposizione del D.L. n. 17 del 1983, art. 10, u.c. non era di generale applicazione per gli impiegati dello Stato (perchè si riferiva soltanto al personale avente diritto alla indennità integrativa speciale) e, pertanto, non era compresa nel rinvio di cui all’art. 11, comma 1 allegato T alla L. n. 486 del 1895 è infondato, in quanto la voce retributiva della indennità integrativa speciale era di generale applicazione per il personale statale anteriormente alla privatizzazione del pubblico impiego.

Tra i pensionamenti anticipati, poi, rientra la pensione d’anzianità fino all’attivazione della pensione di vecchiaia, alla quale la pensione di anzianità è equiparata quando il suo titolare compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia.

Non rileva invece il fatto che il personale del Banco di Napoli non percepisse (diversamente dai dipendenti pubblici) la indennità integrativa speciale; il richiamo nel D.L. n. 17 del 1983, art. 10, comma 1 al “personale avente diritto all’indennità integrativa speciale” identifica i dipendenti pubblici, cui i dipendenti del banco di Napoli erano equiparati quanto alla disciplina pensionistica.

Da ultimo, parte ricorrente invoca nel quarto motivo quale fonte del proprio diritto di cumulo la condotta del Banco di Napoli, che avrebbe continuato a ritenere cumulabile la pensione e la retribuzione da lavoro dipendente anche dopo la entrata in vigore del D.L. n. 17 del 1983; censura la sentenza per non avere correttamente esaminato i documenti e non avere ammesso i mezzi istruttori diretti a provare tale condotta, avente rilevanza come fonte negoziale del diritto al cumulo.

Il vizio così dedotto investe la ricostruzione di un fatto – ovvero la volontà negoziale del Banco di Napoli – e deve essere riqualificato come vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo – anche così inteso – è infondato.

La sentenza ha affermato la irrilevanza della circolare del Banco di Napoli in data 9.1.1997 (rectius: nota interna ndr) – prodotta dal ricorrente e citata nel ricorso introduttivo – giacchè “la previsione contenuta nella circolare citata non può in alcun modo scalfire quanto disposto da una disposizione cogente di legge”.

Il documento (nota interna dell’ufficio legale lavoro del 9.1.1997 richiamata nel ricorso e prodotta come documento 2) non può essere invocato, come pretende il ricorrente, come ricognizione della volontà negoziale del Banco di Napoli di concedere – quanto al cumulo – un trattamento aziendale migliorativo di quello vigente per l’impiego pubblico.

La nota non contiene alcun riferimento ad una volontà negoziale del Banco di Napoli ma offre una interpretazione della legge sul divieto di cumulo e sul momento storico della sua applicabilità ai dipendenti del Banco di Napoli.

Correttamente dunque la Corte di merito ha ritenuto che la interpretazione adottata (per quanto sopra si è detto erronea) non potesse incidere sulla effettiva portata delle norme di legge.

Lo stesso significato dichiaratamente ricognitivo delle norme di legge hanno le due circolari del 29.7.1993 e del 28.6.1994, di cui si lamenta il mancato esame, il cui contenuto è riportato in nota alla pagina 23 del presente ricorso; i documenti non esaminati sono privi del carattere di decisività, giacchè non attestano una volontà negoziale.

Per le stesse ragioni neppure sussiste il vizio della motivazione per la mancata ammissione dei mezzi istruttori tendenti a dimostrare una supposta volontà negoziale.

Il capitolo di prova articolato (per interrogatorio formale e prova testi), trascritto alla pagina 24 del presente ricorso, è privo di decisività, giacchè, anche in caso di sua conferma, resterebbe insuperato il difetto di prova di una volontà negoziale del Banco di Napoli di riconoscere il cumulo rispetto alla ben più plausibile alternativa, alla luce della complessità del quadro legislativo (pure richiamata in sentenza), dell’errore di interpretazione della disciplina legale.

Il quinto, sesto e settimo motivo del ricorso attengono alle statuizioni di rigetto dell’appello incidentale condizionato proposto dal P..

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt.:

D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3, comma 4, art. 4;

– artt. 1173, 1324, 1362, 1363, 1371, 2697, 2078, 2724, 2729 e 2733 c.c.

– artt. 115 e 116 c.p.c..

Sostiene parte ricorrente che l’assoggettamento alla disciplina generale AGO disposto dal D.Lgs. n. 357 del 1990 riguardava soltanto i pensionamenti successivi al 31.12.1990 mentre le pensioni già esistenti restavano pensioni aziendali del Banco di Napoli.

Da tale ricostruzione derivava:

– il diritto del ricorrente a ricevere comunque dal Banco di Napoli l’intero importo della pensione;

– la assenza di rapporti diretti tra il pensionato e l’INPS; l’Istituto previdenziale avrebbe dovuto agire verso il Banco di Napoli per recuperare le quote che riteneva poste indebitamente a conguaglio dei contributi.

Il motivo è infondato.

Ai fini dell’esame della censura occorre una preliminare ricognizione della disciplina pensionistica conseguente alla c.d. privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico, attuata con Legge delega 30 luglio 1990, n. 218 e D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357.

L’art. 1, comma 1 D.Lgs. citato disponeva la iscrizione dei dipendenti degli stessi istituti di credito nella gestione speciale contestualmente istituita presso la assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, con decorrenza dal gennaio 1991. Tra tutti gli enti creditizi il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia erogavano in precedenza una pensione esclusiva dell’ AGO e dunque il trattamento pensionistico veniva corrisposto direttamente dagli enti datori di lavoro, come retribuzione differita; la previdenza presso le altre banche di diritto pubblico era esonerativa dall’AGO ed il trattamento pensionistico era corrisposto da appositi Fondi o Casse di previdenza creati dai datori di lavoro.

Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3 relativo al regime pensionistico dei soggetti pensionati al 31.12.1990, prevedeva che la gestione speciale dell’ INPS assumesse a proprio carico una quota del trattamento pensionistico.

Il successivo art. 4 garantiva la conservazione ai pensionati del trattamento complessivo di miglior favore risultante dalle disposizioni dei regimi soppressi; la differenza rispetto alla pensione o quota di pensione a carico della gestione speciale INPS veniva posta a carico:

– dei fondi o casse precedenti (regimi esonerativi), che così si trasformavano in fondi integrativi dell’AGO (art. 5, comma 2);

– ovvero direttamente dei datori di lavoro (regimi esclusivi).

Così delineato il quadro normativo, appare infondata la tesi di parte ricorrente secondo cui il rapporto pensionistico continuava ad intercorrere tra il pensionato ed il Banco di Napoli anche dopo il 31.12.1990, in assenza di rapporti tra il pensionato e l’INPS.

Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3 è testuale nel prevedere la iscrizione alla assicurazione generale obbligatoria anche per i titolari di trattamenti pensionistici al 31.12.1990; il successivo art. 5, poi, dispone la soppressione dei regimi pensionistici esclusivi del Banco di Napoli e del banco di Sicilia nonchè di quelli esonerativi (salvi gli effetti di garanzia sopra esposti).

Il preteso difetto di legittimazione passiva non può trovare neppure fondamento nella previsione del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 6 rubricato “Convenzioni con l’INPS per l’erogazione diretta e complessiva della pensione da parte del datore di lavoro”; come è chiaro dalla stessa rubrica e dal tenore della disposizione, la norma si limitava a prevedere la stipula di convenzioni tra l’INPS e gli enti creditizi per il pagamento da parte di questi ultimi dell’intero importo della pensione (quota AGO ed integrazione), con successivo conguaglio fra le somme erogate per conto dell’INPS ed i contributi dovuti.

Gli enti creditizi in forza della convenzione agivano dunque come “adiectus solutionis causa”, secondo un meccanismo già noto per altre prestazioni previdenziali (si pensi alla indennità di malattia) ma ciò non toglie che il rapporto obbligatorio pensionistico intercorreva (per la quota a carico dell’AGO) tra l’INPS ed il pensionato.

Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha, da un lato, affermato che il datore di lavoro aveva la mera funzione di erogare il trattamento pensionistico a carico dell’INPS, dall’altro, che non trovava alcun riscontro normativo la pretesa del P. di porre a carico della San Paolo Imi spa le quote di pensione che non gli spettavano; il D.Lgs. n. 357 del 1990 non poteva certo costituire il titolo per un aumento dell’importo della pensione dovuto al 31.12.1990.

6. Con il sesto motivo la parte ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, della L. n. 88 del 1989, art. 52 della L. n. 662 del 1996, art. 52 dell’art. 1147 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

La censura investe il rigetto della domanda subordinata di irripetibilità dell’indebito in ragione del proprio stato di buona fede.

Investe, inoltre, il rigetto della domanda, pure subordinata, di risarcimento del danno, proposta dal pensionato nei confronti di INPS e di San Paolo Imi spa in ragione della mancanza di una tempestiva contestazione del divieto di cumulo, che gli aveva impedito di compiere una scelta consapevole circa lo svolgimento della attività di lavoro dipendente e, comunque, di accedere al condono, essendo decorso, nelle more, del termine per presentare domanda di condono ex lege n. 289 del 2002.

Il ricorrente ha esposto che la Corte territoriale aveva motivato la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria sulla mancata comunicazione da parte del pensionato dell’inizio della attività lavorativa dipendente.

Il ricorrente ha evidenziato di avere dichiarato il nuovo rapporto di lavoro dipendente all’atto della richiesta del supplemento di pensione e la sua continuazione con la richiesta dell’ulteriore supplemento di pensione.

Da ultimo, il ricorrente ha censurato la motivazione della sentenza nella parte in cui giustificava la condotta omissiva dell’INPS e del Banco di Napoli in ragione della notevole complessità della normativa, deducendo la irragionevolezza della statuizione.

Il motivo è inammissibile in ordine alla dedotta violazione delle norme sulla irripetibilità dell’indebito previdenziale.

Trattasi di un argomento non trattato nella sentenza impugnata e che avrebbe dovuto essere allegato dal pensionato già nell’atto introduttivo del giudizio.

Stante la struttura chiusa del giudizio di legittimità, in esso non possono essere introdotte questioni che non siano state già sollevate nei gradi di merito. Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità del motivo per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminarne il merito.

Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti:

– di questioni rilevabili di ufficio e che non presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (Cassazione civile, sez. 2, 08/02/2016, n. 2443).

– di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (ex plurimis: Cass. nr 25043 dell’11/12/2015; n. 23675 del 18/10/2013; n. 4787 del 26/03/2012, n. 3664 del 21/02/2006).

Parte ricorrente in proposito si riferisce al primo motivo dell’appello incidentale.

Dalla lettura del motivo, come trascritto in ricorso, non risulta tuttavia che la parte abbia inteso opporre la esistenza delle condizioni di irripetibilità dell’indebito previdenziale nè vi è traccia di tale domanda nella esposizione dei motivi dell’appello contenuta nella sentenza impugnata.

Inoltre il ricorrente non ha adempiuto all’onere, previsto dall’art. 369 c.p.c., n. 4 a pena di improcedibilità,di depositare la memoria di costituzione in appello contenente l’appello incidentale.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno e sotto il profilo del vizio della motivazione, il fatto del quale si lamenta il mancato esame in sentenza (la avvenuta comunicazione all’INPS del nuovo rapporto di lavoro dipendente) appare dedotto in carenza di specifica allegazione del quando e del come tale circostanza sia stata portata alla attenzione del giudice del merito, con conseguente inammissibilità del motivo.

In ogni caso il fatto non esaminato in sentenza sarebbe comunque privo di decisività, perchè non attiene alla specifica comunicazione da parte del pensionato della instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente ma alla richiesta all’INPS di liquidazione di un supplemento di pensione.

In punto di diritto il motivo è infondato.

Deve muoversi dal rilievo che ai sensi del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 21 (richiamato dalla L. n. 153 del 1969, art. 21) è il lavoratore il soggetto tenuto a dichiarare per iscritto al (nuovo) datore di lavoro la propria qualità di pensionato affinchè questi provveda a detrarre dalla retribuzione una somma pari all’importo della pensione o della quota di essa non dovuti ed a versarla all’Istituto nazionale della previdenza sociale.

Tale obbligo sussisteva per il pensionato sin dall’ottobre 1989, per quanto sin qui osservato.

La pretesa responsabilità dell’INPS e di SAN PAOLO IMI spa non potrebbe trovare altro fondamento che nella violazione dell’obbligo generale di buona fede e correttezza. Nella fattispecie di causa la complessità della normativa è tale che il ritardo nella trasmissione delle relative informazioni al pensionato non può ritenersi contrario ai precetti generali di condotta; infondatamente la parte ricorrente assume la illogicità della motivazione giacchè le conseguenze delle reciproche omissioni non sono andate soltanto a danno del pensionato, come si lamenta in ricorso ma anche a danno dell’INPS, posto che il recupero veniva effettuato per i soli ratei erogati dal giugno 1994 – pur essendo iniziato il rapporto di lavoro dipendente nel novembre 1989 – ovvero nell’ambito del decennio rispetto alla domanda di ripetizione non coperto da prescrizione.

7. Con il settimo motivo la parte ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 3 nonchè omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Oggetto della censura è la statuizione di rigetto della domanda di accertamento del diritto del ricorrente ad accedere al condono.

Il ricorrente lamenta che il rigetto – fondato sulla mancata allegazione in ricorso del possesso dei requisiti per accedere al condono – non teneva conto del tenore della norma di legge invocata, giacchè essa consentiva al pensionato di accedere al condono per il solo fatto di essere incorso nel divieto di cumulo, senza imporre oneri e modalità o prevedere approvazioni e verifiche dell’INPS.

Il motivo è infondato, pur dovendosi provvedere ad una correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

La L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 3, prevedeva la possibilità per i pensionati che avessero avuto redditi da lavoro dipendente sottoposti al divieto di cumulo di regolarizzare la loro posizione per il periodo fino al 31 marzo 2003, effettuando entro il 16 marzo 2003 il versamento di un importo pari al 70% della pensione lorda del mese di gennaio 2003 moltiplicato per il numero degli anni in cui vi era stato l’inadempimento (con il limite massimo del quadruplo dell’importo della pensione di gennaio 2003).

Era anche prevista la possibilità di versamento rateale.

Per fruire della sanatoria non vi erano dunque presupposti diversi dalla esistenza dell’indebito previdenziale sicchè effettivamente non vi era un onere del ricorrente di allegare la esistenza di ulteriori e diverse circostanze di fatto.

La domanda è comunque infondata giacchè il pensionato non poteva ottenere in sede giudiziaria una rimessione in termini per accedere al condono, non prevista da alcuna norma di legge; ogni diritto si esauriva, piuttosto, nel profilo risarcitorio per perdita di chanche, domanda pure proposta dal P. e rigettata con statuizione immune da censure, per quanto esposto in relazione al sesto motivo.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese si compensano per la novità delle questioni trattate.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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