Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26163 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 16/10/2019), n.26163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22876/2017 R.G. proposto da:

Leonessa Investimenti s.r.l. a socio unico, in persona del legale

rappresentante pro tempore, e Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. in

liquidazione, in persona del curatore pro tempore, rappresentati e

difesi dagli avv. Paolo De Caterini e Andrea Bandini, con domicilio

eletto nel loro studio, sito in Roma, viale Liegi, 35/B;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del

ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliate in Roma, via

dei Portoghesi, 12

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 1299/2017,

depositata il 27 febbraio 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 giugno 2018

dal Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

uditi l’avv. Alfonso Peluso, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Leonessa Investimenti s.r.l. a socio unico, quale avente causa del Fallimento (OMISSIS) s.a.s., e il Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 27 febbraio 2017, che, in accoglimento dell’appello dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha respinto la loro domanda per la condanna al pagamento delle cd. restituzioni all’esportazione, chieste in relazione ad operazioni di esportazione di prodotti agricoli su mercati extracomunitari.

2. Il giudice di appello, riformando la decisione del Tribunale, ha ritenuto che la documentazione prodotta fosse inidonea a dimostrare che i prodotti imbarcati a bordo delle navi corrispondevano esattamente a quelli esportatati – circostanza necessaria per il riconoscimento del diritto all’aiuto comunitario -, avuto riguardo, in particolare, all’assenza dell’attestazione sui documenti d’imbarco della data e di sottoscrizione che consentisse di risalire alla qualifica del suo autore.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi.

4. Resistono, con unico controricorso, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

5. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del Reg. (CE) n. 800/1999, art. 16, par. 2, lett. a), e art. 45, par. 3, per aver la sentenza impugnata negato la sussistenza del diritto alle restituzioni all’esportazione pur in presenza di un attestato di consegna bordo dei prodotti recanti il timbro della nave, dell’anticipato pagamento della merce e dell’esistenza di un nesso tra i prodotti esportati e la documentazione prodotta.

1.1. Il motivo è infondato.

Dalla lettura della sentenza di appello si evince che le esportazioni, aventi ad oggetto burro, erano destinate all’utilizzo del prodotto a bordo di imbarcazioni destinate a crociere e che le medesime si articolavano mediante spedizione del prodotto medesimo presso un magazzino franco situato negli Stati Uniti, che provvedeva alla relativa custodia, e, successivamente, alla consegna della merce alle singole navi, nella quantità da queste richiesta.

Orbene, il Reg. (CE) n. 800/1999, applicabile al caso in esame ratione temporis, nel disciplinare il regime delle restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli, prevede, per il caso di consegne per l’approvvigionamento a bordo fuori della Comunità, che se i prodotti esportati non sono oggetto di una consegna diretta e sono sottoposti a un regime di controllo doganale del paese terzo di destinazione prima di essere consegnati a bordo per l’approvvigionamento, la prova dell’avvenuta consegna a bordo è costituita da un documento doganale o un documento vidimato dalle autorità doganali del paese terzo attestante che il contenuto di un contenitore o di una partita indivisa di prodotti è stato collocato in un deposito di approvvigionamento e che i relativi prodotti saranno utilizzati esclusivamente a fini di approvvigionamento e da un documento doganale o un documento vidimato dalle autorità doganali del paese terzo in cui le merci sono state imbarcate che attesti l’uscita definitiva dal deposito e la consegna a bordo di tutti i prodotti del contenitore o della partita iniziale, e precisi il numero di consegne parziali effettuate (art. 45, par. 3, lett. b).

Ai sensi dell’art. 45, medesimo par. 3, successiva lett. c), qualora non sia possibile presentare tale seconda documentazione (ossia, quella relativa all’uscita della merce dal deposito e alla consegna della stessa a bordo) lo Stato membro può accettare un attestato di consegna a bordo firmato dal capitano o da un altro ufficiale di servizio, recante il timbro della nave.

La Corte territoriale ha rilevato che l’attestazione prodotta dalle ricorrenti a tale fine, pur recando il timbro della nave, non recava la data di formazione del documento e, inoltre, che la sottoscrizione ivi presente era priva di elementi idonei a consentire l’individuazione della qualifica del suo autore.

Sulla base di tali circostanze ha concluso che non era raggiunta la prova che la merce esportata e depositata il magazzino franco coincidesse con quella imbarcata delle navi dove i prodotti esportati sarebbero stati utilizzati.

Siffatta conclusione appare coerente con la richiamata normativa, che richiede, ai fini del riconoscimento dell’aiuto, la produzione di documentazione avente specifici requisiti di forma e di contenuto – tra cui, in particolare, la redazione dell’attestato di consegna delle merci a bordo da parte del capitano e di altro ufficiale di servizio -, finalizzati ad assicurare la massima garanzia in ordine alla veridicità delle dichiarazioni ivi riportate.

1.2. Le richiamate esigenze di riconoscere l’aiuto fiscale solo in presenza di documentazione che offra le più ampie garanzie in ordine alla veridicità dei dati rappresentati osta alla possibilità per l’esportatore di provare in altro modo che i beni esportati siano stati effettivamente destinati all’approvvigionamento di imbarcazioni.

A tal fine, non può attribuirsi rilevanza, come osservato dal giudice di appello, alla circostanza dell’avvenuto pagamento, in favore del produttore, della merce da parte dell’armatore delle navi cui prodotto sarebbe stato imbarcato.

Tale circostanza, seppur rilevante, in via generale, ai sensi del Reg. (CE) n. 800/1999, art. 16, par. 2, lett. d), ai fini della prova dell’espletamento delle formalità doganali di importazione, non risulta idonea, stante il carattere speciale della disposizione prevista dal successivo art. 45, a dimostrare che i prodotti esportati siano stati effettivamente destinati all’approvvigionamento a seguito del loro ricovero in un magazzino franco.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 45 Reg. (CE) n. 800/1999, per aver la Corte di appello omesso di verificare la regolarità delle singole operazioni di imbarco in cui si articolava l’esportazione.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto si fonda sull’assunto non dimostrato, nè evincibile dalla sentenza, che la sentenza non abbia esaminato le operazioni di imbarco dei prodotti nella loro individualità.

3. Con l’ultimo motivo si dolgono della violazione e falsa applicazione art. 92 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese processuali loro irrogata con la sentenza di appello, benchè non fossero stati in grado di presentare la documentazione necessaria per il perfezionamento della richiesta di restituzione all’esportazione di prodotti agricoli senza una loro colpa.

3.1. Il motivo è infondato.

In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., 15 luglio 2005, n. 14989).

4. Per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto.

5. In considerazione della novità della questione e, conseguentemente, dell’assenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità al riguardo, appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la Corte rigetta ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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