Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26160 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21376-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– ricorrente –

contro

CALCESTRUZZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAllINI n. 27,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ETTORE TACCHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 138/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/09/2013 R.G.N. 127/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato EMANUELE DE ROSE;

udito l’Avvocato GUIDO CHIODETTI, per delega verbale Avvocato PAOLO

ZUCCHINALI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 138 del 2013, la Corte d’appello di Perugia ha accolto l’impugnazione proposta da Calcestruzzi s.p.a. avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso in opposizione a verbale ispettivo con il quale l’INPS aveva richiesto il pagamento della contribuzione relativa agli importi dell’indennità sostitutiva di ferie non godute da tredici dipendenti della società nonostante il decorso di diciotto mesi dalla maturazione.

2. La Corte territoriale, argomentando dai contenuti della normativa interna ed Europea che regola il diritto alle ferie e dalla assoluta irrinunciabilità del periodo feriale di 4 settimane per anno, cui consegue il divieto di monetizzazione del loro mancato godimento, ha desunto l’astratta inconfigurabilità di un emolumento a cui poter riconnettere un obbligo contributivo se non quando il rapporto di lavoro sia cessato. Dunque, si è ritenuta infondata la tesi dell’Istituto secondo la quale il debito contributivo sarebbe configurabile già dal diciottesimo mese successivo al mancato godimento (D.Lgs. n. 66 del 2003, ex art. 10), anche perchè l’imposizione dell’obbligo assumerebbe un valore sanzionatorio in mancanza di previsione normativa e pur in presenza di sanzione espressa comminata dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18 bis.

3. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria, Calcestruzzi s.p.a.

4. All’esito della adunanza camerale del 22 gennaio 2020 è stata disposta la discussione alla pubblica udienza in ragione dei profili di rilevanza nomofilattica della questione relativa alla sussistenza dell’obbligo contributivo sulla indennità sostitutiva per ferie non godute in caso di rapporto di lavoro non ancora cessato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 797 del 1955, artt. 27 e 28 in quanto la prestazione lavorativa resa durante il periodo che si dovrebbe dedicare alle ferie ricade nella previsione della L. n. 153 del 196, art. 12; l’obbligo sussiste a prescindere dalla effettiva erogazione dell’importo maturato a causa dell’inadempimento del datore di lavoro, in quanto prestazione resa in violazione di leggi a tutela del lavoratore per la quale vige il disposto dell’art. 2116 c.c.; la nozione di retribuzione imponibile, inoltre, è ampia e copre anche somme erogate a titolo risarcitorio, come riconosciuto da Cassazione n. 11262 del 2010, Cass. n. 17761 del 2005, Cass. n. 6607 del 2004). Il ricorrente ricorda anche Cass. n. 1057 del 2012, che ha pure valutato il disposto del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 e la decisione della Corte di giustizia C-124/05 del 6 aprile 2006 che ha ribadito l’assoggettamento a contribuzione dell’indennità in questione.

4. La questione di cui si discute attiene alla assoggettabilità a contribuzione previdenziale dell’importo corrispondente alla indennità per ferie non godute dal lavoratore, anche se non corrisposta, allorchè siano decorsi i diciotto mesi successivi al momento di maturazione delle dette ferie ed il rapporto di lavoro non sia cessato.

4.1. La sentenza impugnata ha osservato che il disposto del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 come modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213 vieta del tutto che possa essere corrisposta una indennità per l’ipotesi di ferie non fruite se non al momento in cui il rapporto di lavoro venga a cessare: da qui, l’inconfigurabilità dell’obbligo contributivo corrispondente, assumendo la cessazione del rapporto di lavoro il ruolo di presupposto di fatto per l’insorgere del diritto.

5. La tesi, in sostanza, stabilisce un nesso di dipendenza necessaria tra l’obbligo del datore di lavoro nei riguardi del dipendente e l’obbligo del medesimo datore di lavoro nei riguardi del sistema previdenziale, di talchè poichè il lavoratore non può pretendere la monetizzazione delle ferie non godute se non alla cessazione del rapporto di lavoro, allo stesso modo l’INPS non può pretendere il pagamento della contribuzione.

Ciò, si afferma, in ragione del disposto del citato D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 (come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004), il quale dispone: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 c.c., il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’art. 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.

6. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da ultimo Cass. 29 maggio 2018, n. 13473 ed in precedenza Cass. 11261 /2012; 4361/1993; 8791/1995; 4839/1998)), in fattispecie in cui il rapporto di lavoro era cessato e non vi era più concreta possibilità per il lavoratore di fruire dell’intero periodo di ferie maturate, ha consolidato il principio secondo il quale l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12 sia perchè, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perchè un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – oggi pur escluso dal sopravvenuto D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, in attuazione della direttiva n. 93/104/CE – non escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.

7. Tale conclusione, come è evidente, supera, ai fini dell’individuazione dell’obbligo contributivo, la necessità di attribuire natura risarcitoria o retributiva all’indennità per ferie non godute (tema ad altri fini ancora dibattuto, come rilevato da ultimo da Cass. n. 17371 del 2019) e si colloca su di un piano diverso da quello interno al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro quanto alla disciplina delle ferie ed al divieto di monetizzazione delle medesime.

8. Anche nella questione ora in esame è centrale il disposto della L. n. 153 del 1969, art. 12 che regola il sistema di finanziamento previdenziale secondo il principio per il quale, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto l’espressione usata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, per indicare la retribuzione imponibile (“tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro…”) va intesa nel senso di “tutto ciò che ha diritto di ricevere”, ove si consideri che il rapporto assicurativo e l’obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l’instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, (Cass. n. 17670 del 2007; Cass. n. 6607 del 2004; Cass. n. 5534 del 2003; Cass. n. 3122 del 2003; Cass. n. 27213 del 2018).

9. Dall’autonomia del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro discende l’erroneità della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata.

Questa Corte di cassazione (già a partire da Cassazione n. 6810 del 2001) ha infatti segnalato il carattere parafiscale dell’obbligazione contributiva. Ciò per effetto dell’evoluzione intrapresa dal sistema previdenziale pubblico verso una sempre più evidente attenuazione degli aspetti di corrispettività nel rapporto tra assicurati ed ente pubblico erogatore delle prestazioni obbligatorie dovute per legge (aspetto emergente dal principio della c.d. “automaticità delle prestazioni” fissato dall’art. 2116 c.c., la quale prescinde dal preventivo versamento delle contribuzioni da pare del datore di lavoro, nonchè dalla nullità di ogni patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza ed assistenza ai sensi dell’art. 2115 c.c., u.c.).

10. Si è anche affermata la progressiva accentuazione, nel medesimo rapporto, dei connotati di solidarietà non più unicamente limitata ad ambiti ristretti di categorie professionali, ma sempre più estesa alla generalità di contribuenti, secondo criteri di “parafiscalità”, per cui il credito contributivo previdenziale, in quanto nascente da un rapporto disciplinato dal regime di previdenza sociale, non diversamente dalle altre forme di finanziamento delle prestazioni di assistenza sociale, per il comune carattere pubblico ed obbligatorio dei rispettivi regimi, entrambi correlati a finalità di ordine costituzionale (art. 38, commi 1 e 2), ha assunto natura inderogabile con consequenziale indisponibilità dei relativi crediti.

11. Da ciò discende che laddove il lavoratore non abbia fruito delle ferie maturate entro il termine indicato dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 e cioè è stato impiegato anche mentre avrebbe dovuto riposare, è certamente integrato il presupposto dell’obbligo contributivo richiesto dalla L. n. 153 del 1969, art. 12 giacchè la prestazione è stata resa in un periodo in cui la stessa non avrebbe dovuto essere resa, generandosi una maggiore capacità contributiva, quantificabile in termini economici quale indennità per le ferie non godute, che non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale posti a carico dell’impresa che di tale maggior produzione si è avvantaggiata. Si tratta, come è evidente, dell’applicazione del principio generale in tema di finanziamento del sistema previdenziale di cui si è sopra parlato.

12. Resta, per tale ragione, irrilevante – ai fini previdenziali- che l’indennità possa essere monetizzata tra le parti del rapporto di lavoro solo alla cessazione del medesimo e cioè quando una di tali parti o entrambe deciderà di porvi fine.

L’obbligazione contributiva, infatti, è inderogabile e l’inderogabilità trae origine dal fatto che essa nasce direttamente dalla legge ed è integralmente sottratta all’autonomia privata. In sostanza l’inderogabilità esprime l’indisponibilità dei soggetti coinvolti nel rapporto previdenziale rispetto alla fattispecie legale, così che gli stessi non possono sottrarsi, nemmeno in via convenzionale, se non facendo venir meno i presupposti che determinano il nascere dell’obbligo o del diritto alla contribuzione.

13. Non incrina tali conclusioni l’obiezione, di natura non certo sistematica, relativa al conseguente effetto deterrente che l’imposizione dell’obbligo contributivo anche in costanza di rapporto potrebbe sortire in vista di una fruizione delle ferie non godute in tempo successivo ai previsti diciotto mesi.

E’ evidente, infatti, che, al contrario, l’imposizione dell’obbligo contributivo qui sostenuto elimina ogni vantaggio contributivo collegato al lavoro prestato in spregio del diritto alla fruizione regolare delle ferie e, quindi, contrasta tale illegittima prassi. L’eventuale effettiva fruizione in epoca successiva ai diciotto mesi, peraltro, ben potrebbe giustificare il diritto del datore di lavoro a recuperare l’importo dei contributi versati a titolo di indennità per ferie non godute.

14. In definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma che esaminerà la fattispecie alla luce del principio di diritto secondo il quale costituisce base contributiva imponibile l’importo corrispondente alla indennità per ferie non godute nell’ipotesi in cui sia decorso il termine previsto dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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