Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26160 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 16/10/2019), n.26160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10431/2013 R.G. proposto da:

Self Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Patrizia Castellano, con

domicilio eletto presso l’Avv. Maria Laviensi in Roma Piazza della

Liberta n. 20, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 1/30/13, depositata il 18 gennaio 2013, notificata il 13

febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 giugno 2019

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Pedicini Ettore, che ha concluso per l’accoglimento dei

primi tre motivi del ricorso, assorbiti gli altri.

Udito l’Avv. Patrizia Castellano per la contribuente che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Alfonso Peluso per l’Agenzia delle dogane,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle dogane di Torino contestava alla società Self Srl l’importazione, tra il 2006 e il 2008, di merci provenienti dalla Cina (nella specie lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali) che, pur dichiarate realizzate dalla società Sanex, e dunque fruenti del dazio antidumping ridotto del 20,2%, erano in realtà prodotte dalla società Ningbo, a cui si applicava il dazio antidumping nella misura piena del 66,1%, e procedeva al recupero dei maggiori diritti evasi, irrogando le conseguenti sanzioni.

Con ricorso la contribuente deduceva l’illegittimità degli avvisi, l’infondatezza della pretesa, nonchè la violazione del principio del legittimo affidamento sorto in capo all’importatore. L’impugnazione, accolta dalla CTP di Torino, era rigettata dal giudice d’appello.

Self Srl propone ricorso per cassazione con sedici motivi.

Resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso.

La contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4 bis e art. 7, della L. n. 212 del 2000, 12, comma 7, dell’art. 111 Cost., comma 2, per aver la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ancorchè notificato senza l’osservanza del termine dilatorio di giorni sessanta.

1.1. Il secondo motivo denuncia, sulla medesima questione, contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore alla formulazione introdotta dal D.L. n. 12 del 2012, art. 54, conv. nella L. n. 134 del 2012.

1.2. Il terzo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformato.

2. I motivi riguardano una unitaria questione, ossia il regime del contraddittorio preventivo in materia doganale, sicchè vanno esaminati unitariamente.

2.1. La questione trova soluzione nel consolidato principio di questa Corte, convalidato dagli arresti della Corte di Giustizia, per cui nella materia doganale non si applica la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ma trova applicazione esclusivamente lo ius speciale di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, nel testo vigente ratione temporis, e, in particolare, nel disposto di cui al comma 7 (e non nel comma 4 bis, introdotto solo con il D.L. n. 1 del 2012, conv., con modif., in L. n. 27 del 2012), sicchè non sussiste la dedotta violazione.

Nella specie, infatti, il contribuente – come attesta la sentenza e lo stesso ricorso – ha instaurato la controversia doganale che si è svolta regolarmente ed è utilmente preordinata “a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento anticipato rispetto alla formazione dell’atto definitivo, che può essere impugnato in sede giurisdizionale, non sussistendo violazione nè dei principi unionali nè degli artt. 3 e 24 Cost., perchè il procedimento previsto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, tutela il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo e, dunque, il suo diritto di difesa endoprocedimentale” (v. da ultimo Cass. n. 2175 del 25/01/2019; v. anche Corte di Giustizia, sentenza 20 dicembre 2017, in C-276/16, Preqù Italia Srl).

2.2. I motivi – ferma la preliminare inammissibilità del secondo non essendo più proponibili le censure per vizi di motivazione nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, trattandosi di sentenza pubblicata il 18 gennaio 2013 (v. Sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 07/04/2014) – sono pertanto infondati.

3. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia in ordine alla doglianza di invalidità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione per aver omesso ogni riferimento alle indagini OLAF.

3.1. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore al D.L. n. 54 del 2012, omessa motivazione in relazione alla medesima questione.

3.2. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione, omesso esame su fatto decisivo, identificato “nell’illegittimo tentativo da parte dell’Ufficio di integrare l’insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento nel corso del giudizio nonostante detto documento non fosse stato portato a conoscenza della società Self, nè parti salienti del suo contenuto fossero state riprodotte…, nè fosse stato allegato”.

3.3. Il settimo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3, e art. 21 septies, deducendo, ulteriormente, la nullità dell’avviso di accertamento per carente motivazione non avendo fatto riferimento all’indagine OLAF.

4. Le doglianze, relative la stessa questione, vanno disattese 4.1. Il quarto motivo è infondato.

Non sussiste omessa pronuncia: la CTR ha ritenuto fondata la pretesa e, dunque, legittimo l’avviso, da cui il rigetto della censura.

4.2. Il quinto motivo è inammissibile, trattandosi di censura come rilevato al punto 2.2. – non più proponibile.

4.3. Il sesto motivo è inammissibile poichè la doglianza non ha ad oggetto un fatto ma un comportamento dell’Amministrazione, tra l’altro successivo all’atto di cui si lamenta la carente motivazione.

4.4. Il settimo motivo è infondato.

E’ un dato di fatto, riconosciuto dalla stessa ricorrente (v. pag. 209 ricorso) che l’avviso non si fondava sull’informativa OLAF, a cui non faceva alcun riferimento.

Rispetto ad essa, dunque, non si poneva, ai sensi del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, nè un onere di allegazione, nè, comunque, di riproduzione del contenuto essenziale.

4.5. Giova comunque sottolineare, sul punto, che l’art. 10 (rubricato “Trasmissione di informazioni da parte dell’Ufficio”), par. 1, Reg. n. 1073/1999/CE – come il successivo art. 12, par. 1, Reg. n. 883/2013/UE, EURATOM – stabilisce che “fatti salvi gli artt. 8, 9 e 11 presente Reg. e le disposizioni del regolamento (Euratom, CE) n. 2185/96, l’Ufficio può trasmettere in qualsiasi momento alle autorità competenti degli Stati membri interessati le informazioni ottenute nel corso delle indagini esterne” e ciò in funzione dell’evidente scopo di consentire l’adozione delle misure adeguate.

Si tratta, del resto, di conclusione coerente con il rilievo che, ancorchè la Relazione finale, redatta in esito all’indagine (nella specie esterna) dell’OLAF, ed anche le informazioni interlocutorie siano suscettibili di possedere, in quanto tali, rilevanza probatoria, esse non hanno, nè possono avere, alcuna efficacia vincolante o cogente per l’Autorità doganale poichè spetta a quest’ultima “valutare, nell’ambito dei poteri loro propri, il contenuto e la portata di dette informazioni e, pertanto, il seguito che occorre darvi” (v. Tribunale di primo grado, sentenza 20 maggio 2010, T261/09, Commissione c/Violetti e a.; ordinanza 21 giugno 2017, T289/16, Inox Mare Sr1).

4.6. L’avviso in questione (riprodotto nel testo del ricorso) del resto contiene, e in termini esaustivi, le ragioni in fatto e in diritto “che lo hanno determinato” che traggono univoca fonte dalle risultanze acquisite in occasione degli accessi presso la sede della società (fatture allegate alle dichiarazioni doganali, contabili bancarie, certificati Form A, tutti riferite alla Ningbo; certificato preferenziale che indica la Sanex come produttore).

E’ evidente, pertanto, che, in linea con i principi esposti le informative trasmesse dall’OLAF sono state solamente l’atto di impulso perchè l’Amministrazione si attivasse ex se per le indagini e le verifiche di competenza, i cui soli esiti hanno dato fondamento alla ripresa della tassazione e alla irrogazione delle sanzioni, da cui l’insussistenza del lamentato vizio dell’atto.

5. L’ottavo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione vigente ratione temporis, omesso esame di fatto decisivo, identificato nella efficacia probatoria del FORM A.

5.1. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore al D.L. n. 54 del 2012, omessa motivazione in relazione alla medesima questione.

5.2. Il decimo motivo, inoltre, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 83 DAC, ratione temporis vigente.

6. Pure tali censure vanno disattese.

6.1. L’ottavo motivo è inammissibile.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne deriva che l’omesso esame di elementi istruttori – qual è l’asserita mancata considerazione dell’efficacia probatoria del FORM

A – non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente è tenuta ad indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Nella vicenda in esame i suddetti parametri non risultano rispettati posto che il fatto storico – ossia l’effettività della produzione delle merci importate da parte della Sanex – è stato oggetto di puntuale valutazione da parte della CTR, la quale, anzi, nel considerare irrilevante la buona fede dell’importatore rispetto alla certificazione falsa, ha pure specificamente apprezzato la cd. efficacia probatoria del documento richiamato.

Va comunque escluso che la circostanza sia decisiva non potendosi attribuire a tale certificazione l’efficacia probatoria dedotta dalla ricorrente atteso che, in via generale, a fronte di elementi che attestano la non genuinità della certificazione, l’autorità doganale può disattendere la stessa anche senza attivare la procedura di collaborazione amministrativa (che, nel caso, può essere attivata dallo stesso contribuente: v. Corte di Giustizia, sentenza 24 ottobre 2013, in C-175/12, Sandler AG), un tale atto non ha efficacia privilegiata (Cass. n. 24439 del 30/10/2013; Cass. n. 6637 del 15/03/2013; Cass. n. 2148 del 25/01/2019) e, comunque, nella specifica vicenda in esame, trattandosi di merci esclusa dal circuito del sistema delle preferenze tariffarie (SPG) (v. Reg. n. 980/2005/CE, All. I, in vigore dal 1 luglio 2005, che revoca il trattamento preferenziale per le merci di cui alla Sezione XVI della TARIC – che include i beni oggetto delle importazioni in giudizio – per la Repubblica Popolare Cinese) e, anzi, soggette alla disciplina antidumping, la stessa allegazione al momento dell’importazione non era affatto necessaria.

6.2. Il nono motivo è inammissibile trattandosi di censura come rilevato al punto 2.2. – non più proponibile.

6.3. Il decimo motivo è infondato per le ragioni già sopra esposte.

E’ appena il caso di sottolineare, inoltre, che l’applicazione del regime di (parziale) esenzione (dal dazio antidumping) contenuto nel Reg. n. 1470/2001/CE presuppone il necessario trasferimento diretto tra esportatore (nella specie, dalla Cina e dallo specifico produttore-esportatore, cui era riconosciuto il trattamento individuale e per le cui operazioni era previsto un codice addizionale TARIC) e importatore (i.e. Paese di importazione), sicchè la tesi sostenuta dal contribuente (per cui la Sanex avrebbe ceduto le merci alla Ningbo e quest’ultima avrebbe esportato) è comunque irrilevante e ininfluente per la carenza dei presupposti stabiliti dalla disciplina regolamentare.

E’ poi inammissibile, per carenza di autosufficienza, l’asserita difficoltà nella commercializzazione con l’estero derivante dalla disciplina normativa cinese.

Infine, è inconferente il richiamo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, contenuto nel corpo del motivo, neppure essendo individuato l’atto amministrativo da disapplicare, mentre ove tale norma sia intesa come riferibile all’avviso di rettifica, la doglianza è, in parte qua, inammissibile per estraneità dell’oggetto.

7. L’undicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. per aver la CTR fondato la sua decisione su presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

7.1. Il dodicesimo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore al D.L. n. 54 del 2012, omessa motivazione in relazione alla medesima questione.

7.2. Il tredicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ratione temporis applicabile, omesso esame di fatto decisivo in ordine alla prova, fornita dal contribuente, della sussistenza delle condizioni per fruire del dazio antidumping agevolato.

8. Le censure sono tutte inammissibili perchè intese, in realtà, a contestare la valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di merito in vista di un nuovo riesame in sede di legittimità, non consentito, limitandosi, per il resto, a riproporre le medesime argomentazioni già introdotte con le precedenti doglianze.

8.1. Occorre comunque rilevare – in disparte l’informativa OLAF, impiegata dall’Ufficio come atto di impulso della propria indagine e, in tale prospettiva, legittimamente introdotta nel giudizio e utilizzata dalla CTR come elemento di riscontro – che la mail rinvenuta in occasione della verifica, con la quale, come attesta la CTR, “la società Ningbo dichiarava, al fine di proporre i propri prodotti, di essere una società di produzione di quanto stava presentando e che era riuscita ad ottenere con la dogana Europea un dazio più favorevole”, costituisce un elemento di prova meramente aggiuntivo – e dunque da fornire nella sede processuale – a quanto già emergeva dall’avviso ed era stato compiutamente contestato.

Non sussiste, inoltre, la dedotta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. per l’asserita omonimia della Ningbo indicata nella mail rispetto all’asserita esportatrice, trattandosi di mera affermazione del tutto carente in punto di autosufficienza.

8.2. Quanto al tredicesimo motivo la doglianza è ulteriormente inammissibile investendo la censura non un fatto ma, come rilevato, la valutazione delle prove operata dalla CTR.

9. Il quattordicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 220 C.D.C., par. 2, lett. b, e dell’art. 82 C.D.C. come modificato dal reg. n. 450/2008/CE, per aver la CTR omesso di considerare che la mancata riscossione derivava da un errore dell’Autorità doganale, che non poteva essere ragionevolmente scoperto dal contribuente.

9.1. Il quindicesimo motivo denuncia, sulla medesima questione, vizio di insufficiente motivazione.

9.2. Il sedicesimo motivo, inoltre, denuncia omesso esame di fatto decisivo, identificato nella mancata applicazione del principio del legittimo affidamento per l’omessa valutazione degli elementi addotti dalla parte.

10. Il quattordicesimo motivo è infondato

10.1. Occorre precisare, in primo luogo che l’art. 220 C.D.C., par. 2, lett. b, prevede che le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative, ossia che: i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse; l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede; quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana.

La Corte di Giustizia, invero, è costante nell’affermare la necessaria ricorrenza di tutte e tre le condizioni, affermazione che integra un orientamento da lungo tempo assolutamente consolidato (v. Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 1989, in C-161/88, Binder, punti 15 e 16; sentenza 14 maggio 1996, C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., punto 83; sentenza 18 ottobre 2007, in C173/06, Agrover Srl, punto 30; sentenza 17 dicembre 2014, in C3/13, Baltic Agro AS, punto 35; sentenza 26 ottobre 2017, in C407/16, “Aqua Pro” SIA), e stabilmente seguita dalla Corte di cassazione (v. da ultimo Cass. n. 6131 del 01/03/2019; Cass. n. 7775 del 20/03/2019).

Dai reiterati e chiari interventi della Corte sulla questione emergono, in particolare, i seguenti principi:

a) debbono ricorrere tutte e tre le condizioni di cui all’art. 220 C.D.C., comma 2, lett. b;

b) la semplice falsità della dichiarazione d’origine legittima l’azione di recupero dei dazi;

c) non costituisce, di per sè, errore attivo il rilascio di una certificazione falsa e ciò, in ispecie, se sia stata determinata da una falsa rappresentazione in fatto dell’esportatore;

d) per ritenere, in questo caso, l’errore imputabile all’autorità emittente occorre provare che essa sapeva o doveva sapere che le merci non soddisfacevano le condizioni richieste per beneficiare del trattamento preferenziale;

e) occorre provare, inoltre, che un simile errore non poteva ragionevolmente essere conosciuto dal debitore in buona fede;

f) l’onere della prova di tutti gli indicati elementi incombe sull’operatore;

g) gli operatori economici, in relazione alla loro esperienza professionale e al grado di diligenza che necessariamente l’accompagna, devono munirsi di tutti gli elementi attestanti la corretta applicazione del regime preferenziale, ivi compresa l’origine delle merci;

h) gli obblighi di diligenza, e i relativi oneri, non si spingono, normalmente, fino a richiedere la verifica sistematica di tutte le circostanze del rilascio del certificato e del ruolo dell’esportatore;

i) ove, peraltro, sussistano circostanze che inducano a dubitare dell’esattezza di un certificato d’origine, è richiesta la massima diligenza possibile, che, parimenti, va provata dall’operatore.

10.2. Orbene, la CTR si è attenuta ai principi sopra esposti: nella vicenda in esame, come emerge dalla sentenza impugnata, l’errore derivava da una falsa rappresentazione fornita dallo stesso esportatore, sicchè non sussiste il lamentato errore attivo.

Occorre rilevare, del resto, che a nulla rileva il rilascio del FORM A, che, come già precisato, non era necessario, sicchè la sua allegazione al momento dell’importazione costituiva elemento che, lungi dal fondare la buona fede del contribuente, integrava condotta evidentemente mirata a precostituire una apparenza di affidamento.

La CTR, d’altra parte, ha escluso, esplicitamente, la buona fede della contribuente atteso il tenore della mail rinvenuta in sede di ispezione, sottolineando che essa era “la dimostrazione di un’operazione che mirava ad un’evasione delle imposte”.

10.3. Gli ultimi due motivi sono inammissibili.

Il quindicesimo ricorrendo le medesime ragioni indicate al paragrafo 2.2.

Il sedicesimo perchè la censura, nel contestare l’omessa considerazione degli elementi probatori introdotti dal contribuente, si risolve in realtà, in una contestazione della sufficienza della motivazione. La doglianza, peraltro, presenta le medesime carenze già sopra individuate, atteso, da un lato, l’avvenuto esame del fatto da parte del giudice e, dall’altro, la carenza di decisività degli elementi probatori invocati.

11. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la contribuente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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