Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2616 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 28/01/2022), n.2616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 26232-2013 R.G., proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf (OMISSIS), in persona del Direttore p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

GRANDI MAGAZZINI RIUNITI C.I.L.D.A. COMMERCIO INGROSSO LIQUORI

DOLCIUMI AFFINI srl, cf. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

Roma, presso la cancelleria, rappresentata e difesa dagli avv.

Massimo Ingarao, e Annamaria Castiglione;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 271/17/2012 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, depositata il

26.09.2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 13

ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

Dal ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate si evince, per quanto d’interesse nella controversia portata all’attenzione della Corte, che alla CILDA s.r.l. fu contestato l’indebito utilizzo del credito d’imposta per l’anno 2001, ottenuto mediante l’accesso alle detrazioni per assunzione agevolata di personale, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7. L’Ufficio, disconoscendone i presupposti in riferimento alla assunzione della dipendente S.A., aveva notificato alla contribuente un avviso di recupero, seguito poi dalla cartella di pagamento oggetto del presente ricorso. La società impugnò la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania, che con sentenza n. 88/04/2008 ne respinse le ragioni. La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, con la sentenza n. 271/17/2012, ora impugnata, riformò la decisione, accogliendo l’appello della contribuente e annullando la cartella erariale. Il giudice regionale, dopo aver riportato le rispettive posizioni difensive, ha ritenuto che ai fini della legittima fruizione delle agevolazioni fossero presenti tutte le condizioni prescritte dalla normativa, così che doveva riconoscersi il diritto della società alla fruizione del credito d’imposta.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la pronuncia con un unico motivo, cui ha resistito la società.

Nell’adunanza camerale del 28 ottobre 2021 la causa è stata trattata e decisa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per carenza di esposizione sommaria dei fatti di causa. Il ricorso, nella parte destinata alla esposizione in fatto, ha riportato in modo sufficientemente chiaro il succedersi degli eventi, ossia la contestazione sollevata dalla Amministrazione finanziaria, gli esiti dell’insorto contenzioso nel primo e nel secondo grado della causa. Ha poi riportato le ragioni del ricorso. Dall’atto pertanto si evince l’oggetto della controversia e l’iter processuale durante i due gradi di merito. L’eccezione è pertanto infondata.

Con l’unico motivo l’Amministrazione finanziaria si duole della violazione della L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, lett. b), perché la sentenza avrebbe erroneamente riconosciuto in capo alla società contribuente la sussistenza dei presupposti per fruire delle agevolazioni fiscali per le quali è causa. Denuncia nello specifico che il giudice regionale non ha considerato che tra i requisiti per l’insorgenza del diritto alle detrazioni per assunzione di personale a tempo indeterminato occorre che il dipendente non abbia svolto nei ventiquattro mesi antecedenti alcuna attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

Il motivo è fondato e trova accoglimento.

Deve premettersi che la L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 1, prevede che “Ai datori di lavoro, che nel periodo compreso tra il 1 ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003 incrementano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato è concesso un credito di imposta. Sono esclusi i soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 88, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”. Nel comma 2, dopo aver quantificato il credito d’imposta per ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato, è anche chiarito che “Per le assunzioni di dipendenti con contratti di lavoro a tempo parziale il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore prestate rispetto a quelle del contratto nazionale”. Nell’elencare i requisiti soggettivi richiesti per riconoscere la rilevanza dell’assunzione ai fini della fruizione dell’agevolazione, il comma 5, prescrive che “Il credito d’imposta di cui al comma 1, spetta a condizione che: a) i nuovi assunti siano di età non inferiore a 25 anni; b) i nuovi assunti non abbiano svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato da almeno 24 mesi o siano portatori di handicap individuati ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104; c) siano osservati i contratti collettivi nazionali anche con riferimento ai soggetti che non hanno dato diritto al credito d’imposta; d) siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni, nonché dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del lavoro”.

Nell’interpretare la disciplina, questa Corte ha chiarito che il credito d’imposta per incremento occupazionale previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, è volto a favorire un generale aumento delle assunzioni di lavoratori con contratto a tempo indeterminato, prevedendo pertanto, quale condizione per la fruizione del beneficio, che il nuovo assunto non abbia prestato attività lavorativa a tempo indeterminato nei ventiquattro mesi precedenti, con la conseguenza che, ove non muti la natura del contratto di lavoro, non assume rilevanza la distinzione tra lavoratori a tempo pieno ed a tempo parziale (Cass., 16 gennaio 2019, n. 933). D’altronde, nell’affrontare più in generale la portata e l’ambito applicativo della suddetta disciplina agevolativa, si è avvertito che il riconoscimento del credito d’imposta a condizione che le nuove assunzioni abbiano per obiettivo un incremento del numero di lavoratori a tempo indeterminato va limitato alle sole fattispecie nelle quali i nuovi assunti non abbiano svolto alcuna attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato da almeno 24 mesi, trattandosi di agevolazione fiscale da interpretare in senso restrittivo (cfr. Cass., 21 ottobre 2013, n. 23766, nella quale, in un caso nel quale il lavoratore non aveva superato il periodo di prova presso altro datore di lavoro, si è affermata l’irrilevanza di ogni apprezzamento sulla durata effettiva del rapporto in precedenza comunque espletato dal soggetto successivamente assunto, data la carenza di ogni diversa previsione sul punto da parte della norma).

Ciò chiarito, nel caso di specie il giudice regionale, dopo aver individuato il contrasto delle rispettive difese nel fatto che la S. negli ultimi ventiquattro mesi aveva svolto per qualche tempo attività lavorativa con un contratto a tempo indeterminato part-time, circostanza incontestata tra le parti sul piano fenomenico, ma che per l’Amministrazione finanziaria era ostativa all’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 7, mentre per la società costituiva un elemento irrilevante, ha deciso in senso favorevole a quest’ultima, considerando che “la legge istitutiva delle agevolazioni per i nuovi assunti era rivolta ai datori di lavoro che nel lasso di tempo compreso tra il 1 ottobre 2000 e il 31/12/2003, avevano assunto lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Per le assunzioni cosiddette “part-time” il credito d’imposta spettava in misura proporzionale alle ore lavorate rispetto a quelle previste dal contratto nazionale. Ulteriori condizioni erano: 1) età uguale o superiore a 25 anni; 2) Stato di disoccupazione nei 24 mesi precedenti; 3) Rispetto dei contratti collettivi. Dall’esame della documentazione in atti: i suesposti requisiti sono stati tutti rispettati e pertanto l’appello (della contribuente) va accolto”.

Dunque la Commissione regionale ha ritenuto che l’assunzione della nuova dipendente, che pur aveva svolto negli ultimi ventiquattro mesi attività lavorativa con contratto a tempo indeterminato ma part-time, non fosse una condizione ostativa alla fruizione della agevolazione nella forma del riconoscimento di un credito d’imposta. In tal modo ha deciso non attenendosi al principio di diritto dispensato da questa Corte, ignorando che la distinzione da essa valorizzata, cioè l’attività lavorativa dipendente in forza di un contratto a tempo indeterminato, ma part-time, rispetto ad un rapporto dipendente a tempo pieno, non mutava la natura del rapporto. Con tale decisione ha evidentemente valorizzato la distinzione tra tempo parziale e tempo pieno che la normativa applicata pur prende in considerazione, ma solo per quantificare diversamente la misura della agevolazione, e dunque sempre con riguardo al personale assunto per l’incremento dell’occupazione. Sennonché quella distinzione non ha alcuna rilevanza se rapportata all’attività lavorativa eventualmente svolta nei ventiquattro mesi precedenti l’assunzione, ai sensi del citato art. 7, atteso che quel rapporto, se sorto a tempo comunque indeterminato, costituisce condizione ostativa alla fruizione della agevolazione, tanto se svolto a tempo pieno quanto se esercitato a tempo parziale.

La pronuncia va dunque cassata. Poiché è incontestata l’esistenza di un previgente contratto di lavoro col quale la S. era stata assunta a tempo indeterminato, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento in fatto, la causa può essere decisa anche nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4. E a tal fine la certezza di una causa ostativa alla fruizione dell’agevolazione comporta il rigetto del ricorso introduttivo della società.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della contribuente, che va condannata alla loro rifusione in favore della Agenzia delle entrate nella misura specificata in dispositivo, mentre si ritiene corretta la compensazione tra le parti delle spese relative ai due gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società. Condanna la società alla rifusione in favore della Agenzia delle entrate delle spese di causa del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di C 4.100,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

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