Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2616 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/02/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 05/02/2020), n.2616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24730/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello, in persona del

suo procuratore speciale e difensore, avv. Fabio Nisi, presso cui è

elettivamente domiciliata in Città di Castello (P.G.), corso

Vittorio Emanuele n. 38;

– controricorrente – ricorrente incidentale condizionata –

e

Equitalia Umbria S.p.A., in persona del l.r.p.t..

– intimata –

avverso la sentenza n. 27/03/12 della Commissione Tributaria

Regionale dell’Umbria, pronunciata in data 23/2/2012, depositata in

data 12/3/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/11/2019 dal

Consigliere Dott. Giudicepietro Andreina;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;

udito l’Avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per l’Agenzia delle

Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro la Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello per la cassazione della sentenza n. 27/03/12 della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, pronunciata in data 23/2/2012, depositata in data 12/3/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui veniva effettuato il recupero di rimborsi erroneamente corrisposti, sul presupposto del riconoscimento, in capo alla Fondazione bancaria, dei requisiti per accedere alle agevolazioni di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, in epoca antecedente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 153 del 1999.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R., pur condividendo la valutazione della C.T.P. di Perugia in ordine alla carenza motivazionale della cartella di pagamento, che indicava quale anno di imposta oggetto del recupero il 2008 (e non quelli ai quali effettivamente si riferiva la pretesa, cioè il 1993 ed il 1998), riteneva che la Fondazione non fosse “un contribuente qualsiasi”, ma “un ente in grado di apprendere… l’oggetto e le ragioni della pretesa fiscale (se non altro perchè inserita in un contesto di altre pretese analoghe riferite ad anni diversi)”.

Passando all’esame del merito, il giudice di appello riteneva che la Fondazione, negli anni in contestazione, avesse i requisiti per usufruire dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, non avendo svolto attività bancaria in senso proprio, in quanto risultava dalla documentazione prodotta che detenesse per quegli anni una partecipazione minoritaria nel capitale sociale della Cassa di Risparmio di Città di Castello, tale da non consentirle di indirizzarne le scelte imprenditoriali, e che avesse destinato gli utili agli scopi statutari di interesse pubblico e di utilità sociale.

3. A seguito del ricorso, la società resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento di quello principale, mentre Equitalia Umbria S.p.A. è rimasta intimata.

4. Il ricorso è stato fissato alla pubblica udienza del 20/11/2019.

5. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione su punti decisivi e controversi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativi all’adeguatezza della motivazione della cartella di pagamento ed alla prova della sussistenza dei requisiti richiesti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 per godere delle agevolazioni ivi previste.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6 e del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.2. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.

1.3. Con riferimento al primo motivo si osserva quanto segue.

Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che il giudice di appello, pur rilevando che la cartella di pagamento indicava erroneamente l’anno 2008 quale riferimento temporale della pretesa tributaria, ha ritenuto che l’errore suddetto non abbia impedito alla Fondazione di comprendere l’effettivo contenuto della cartella, tanto che è passato all’esame del merito della controversia.

Pertanto, il profilo di doglianza relativo alla sufficienza della motivazione della cartella di pagamento è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della sentenza impugnata, che si fonda sull’irrilevanza dell’errore relativo all’indicazione della data.

Il secondo profilo di doglianza del primo motivo riguarda, invece, il vizio motivazionale della sentenza, che avrebbe omesso di indicare da quali elementi istruttori possa desumersi che la Fondazione non abbia svolto attività bancaria, ma prevalente attività di utilità sociale, e per quali ragioni non siano significative le partecipazioni detenute dalla Fondazione negli anni in contestazione (1993 e 1998), disattendendo così le documentate argomentazioni dell’Ufficio in ordine all’entità della partecipazione alla Cassa di Risparmio di Città di Castello, pari al 40,76% fino al 1994 ed al 31,32% fino al 1999.

La motivazione sarebbe apodittica, non offrendo alcuna possibilità di individuare gli elementi di prova sui quali si fonda e l’iter logico che ha condotto alla decisione adottata.

Tale doglianza appare fondata, poichè, come è stato detto, “il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto statico della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto dinamico della dichiarazione stessa” (Sez. 5, Sentenza n. 1236 del 23/01/2006 -Rv. 590221 – 01-; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15964 del 29/07/2016 -Rv. 640645 – 01- e Sez. 5 -, Ordinanza n. 32980 del 20/12/2018 -Rv. 652058 01).

Nel caso in esame il giudice di appello si è limitato ad affermare che, negli anni in oggetto, la Fondazione non aveva svolto attività bancaria in senso proprio, in quanto deteneva una partecipazione nel capitale sociale minoritaria, tale da non consentirle di indirizzare le scelte imprenditoriali della banca, ed aveva destinato gli utili agli scopi sociali previsti nello statuto.

Sul punto deve considerarsi che l’intera vicenda scaturisce dalla sentenza del 22/01/2009 n. 1576 delle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno enunciato i seguenti principi: “Gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 “bis” (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, del T.U.I.R., “ex” art. 87, comma 1, lett. c), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni” (Sez. U, Sentenza n. 1576 del 22/01/2009).

Le Sezioni Unite hanno anche precisato che la prova dell’attività può essere fornita mediante la produzione di estratti dei libri contabili o idonee certificazioni del collegio dei revisori o del collegio sindacale delle società partecipate. Pertanto, tale verifica postula un’indagine sull’esercizio in concreto dell’attività di impresa, non limitata ai modi di gestione della partecipazione di origine, ma estesa all’attività complessivamente esercitata dalla fondazione nell’anno di imposta.

Con successiva pronuncia, le Sezioni Unite (Cass. sez. un. 15/03/2016, n. 5069) hanno ulteriormente chiarito che: “a) le Fondazioni, quali enti di gestione delle partecipazioni bancarie, risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravate dell’obbligo di detenzione e di conservazione della maggioranza del relativo capitale, ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12 a causa del particolare vincolo genetico con le aziende scorporate, non sono assimilabili nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1754 del 1962, art. 10-bis, ai fini dell’esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale elencati nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 che riconosce l’agevolazione della riduzione alla metà dell’aliquota IRPEG in ragione del profilo soggettivo dei beneficiari e non in relazione all’attività da essi oggettivamente svolta; b) incombe, pertanto, sulla Fondazione che reclami l’applicazione dell’agevolazione fiscale, l’onere di dimostrare (secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c.) la sussistenza dei presupposti, soggettivi e oggettivi, per potere fruire del beneficio e, quindi, di provare, per un verso, la propria coerenza statutaria e, sotto altro profilo, il concreto espletamento, nell’anno in questione, di attività finalizzata al raggiungimento, in via esclusiva, di scopi di beneficienza, educazione, studio e ricerca scientifica; c) l’accertamento, in ordine all’attività concretamente svolta dalla Fondazione, è indispensabile per verificare la compatibilità del beneficio con la disciplina comunitaria, trattandosi di agevolazione potenzialmente idonea ad influire sugli scambi e ad alterare la concorrenza e, pertanto, a configurarlo come un aiuto di stato; d) in tale ottica, occorre verificare le previsioni statutarie dell’ente ed accertare che la concreta attività svolta non presenti i connotati dell’azione imprenditoriale, caratterizzandosi, invece, per gli scopi di utilità sociale, ed anche che la Fondazione, quale azionista, non sia in grado di influire sulla gestione della banca conferitaria o di altre imprese partecipate”(Cass. n. 10689/2018, in motivazione).

Successive pronunce hanno confermato l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, secondo cui sussiste una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio(Sez. 5, Ordinanza n. 16229 del 20/06/2018; Sez. 5, Sentenza n. 11648 del 11/05/2017); comunque, la fruizione dei benefici in oggetto, per gli enti considerati, è possibile solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie, di entità consistente anche se non maggioritarie.

Pertanto, alla luce dei menzionati principi, appare insufficiente la motivazione in fatto adottata dal giudice di appello, che non chiarisce gli elementi istruttori in base ai quali ha ricavato il convincimento che la Fondazione, per gli anni di riferimento, abbia effettivamente svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale ai fini della dimostrazione dei requisiti necessari per fruire dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6.

Anche il riferimento alla documentazione in atti appare generico e poco significativo, in quanto “in tema di valutazione delle prove ed in particolare di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti” (Sez. 3 -, Ordinanza n. 14762 del 30/05/2019).

All’accoglimento del primo motivo di ricorso, relativo al vizio motivazionale, consegue l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale.

2.1. Il ricorso incidentale, avanzato in via solo subordinata all’accoglimento di quello principale (sebbene logicamente prioritario, avendo ad oggetto la questione preliminare di merito sulla sufficienza della motivazione della cartella di pagamento, decisa dal giudice di appello in senso sfavorevole alla contribuente), è inammissibile.

2.2. Invero, la ricorrente incidentale muove una serie di doglianze, senza articolare ed illustrare un vero e proprio motivo di ricorso, inquadrabile in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1.

In primo luogo, la ricorrente incidentale si duole del mancato rilievo, da parte del giudice di appello, della carenza di motivazione della cartella di pagamento, facendo un generico riferimento ai motivi di impugnazione del primo e secondo grado di merito, senza specificamente contrastare le argomentazioni contenute sul punto nella sentenza impugnata.

Come è stato detto, “i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1479 del 22/01/2018).

Inoltre, per quanto riguarda la dedotta violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, essa è solamente enunciata, ma non risulta in alcun modo sviluppata con un’illustrazione idonea, che consenta di comprendere effettivamente quale sia la doglianza avanzata e sotto quale profilo si censuri la violazione della norma suddetta.

“Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019).

Pertanto, il ricorso incidentale risulta inammissibile.

In conseguenza dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla C.T.R. dell’Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. dell’Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 febbraio 2020

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