Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26159 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. II, 18/10/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 18/10/2018), n.26159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11437/2014 R.G. proposto da:

C.A.O. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato

Mariagrazia Soleri ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Cassiodoro, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Gianna Baldoni;

– ricorrente-

contro

CANTINA VALLEBELBO società cooperativa agricola (già “Vallebelbo”

società cooperativa a r.l.) – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in virtù

di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato

Emanuele Pittatore ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via

Vito Artale, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Donato Toma;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Torino n. 2260 dei

4.7/27.11.2013, udita la relazione nella camera di consiglio dell’8

maggio 2018 del consigliere dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al tribunale di Alba in data 8.10.2008 la cantina sociale “Vallebelbo” società cooperativa a r.l. esponeva che aveva eseguito lavorazioni per conto di C.A.O., il quale non aveva provveduto a corrisponderle la somma di Euro 11.812,12, residuo importo della fattura n. 763/2008.

Chiedeva ingiungersi a controparte il pagamento dell’anzidetto ammontare. Con decreto n. 610/2008 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.

Con citazione del 22.12.2008 C.A.O. proponeva opposizione. Deduceva che nel febbraio 2008 aveva dato incarico alla cantina sociale di provvedere alla spumantizzazione ed all’imbottigliamento di circa 9.200 litri di mosto di vino spumante (OMISSIS) d.o.c.; che in data 8.5.2008 la “Vallebelbo” gli aveva consegnato una parte del prodotto spumantizzato e nondimeno aveva rilevato che il vino non aveva le caratteristiche tipiche sue proprie; che successivamente, all’esito delle analisi eseguite su un campione della partita di merce consegnatagli, si era acquisito riscontro, limitatamente al sodio ed all’estratto secco, di significative differenze rispetto al campione ufficiale prelevato nel marzo 2008 dalla camera di commercio di Alba per il rilascio della dichiarazione di conformità al disciplinare; che dunque lo spumante non era di buona qualità e non poteva essere messo in commercio.

Chiedeva revocarsi l’ingiunzione opposta, risolversi il contratto per grave inadempimento della cooperativa e condannarsi la medesima società a risarcirgli il danno cagionato.

Si costituiva la “Vallebelbo”.

Instava per il rigetto dell’opposizione.

Espletata c.t.u., con sentenza n. 440/2010 il tribunale rigettava l’opposizione e confermava l’ingiunzione.

Proponeva appello C.A.O..

Resisteva la “Cantina Vallebelbo” società cooperativa agricola (già “Vallebelbo” società cooperativa a r.l.).

Con sentenza n. 2260/2013 la corte d’appello di Torino rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado con distrazione.

Premetteva la corte che il tribunale aveva condiviso e recepito le conclusioni del c.t.u., alla cui stregua lo spumante rispondeva appieno al disciplinare di produzione del vino “(OMISSIS)”, sicchè non solo poteva essere commercializzato, ma poteva anche utilizzare la denominazione “(OMISSIS)”.

Premetteva altresì che il primo giudice aveva ritenuto che non valeva ad integrare gli estremi di un inadempimento contrattuale la differenza riscontrata tra il campione oggetto di esame in data 31.3.2008 – esame cui aveva fatto seguito la dichiarazione di conformità al disciplinare – e lo spumante consegnato in data 8.5.2008.

Indi – la corte – evidenziava che la quantità di sodio riscontrata, pur superiore rispetto alle annate precedenti, non eccedeva il limite fissato per legge; che l’incremento della quantità di sodio era conseguenza della tecnica di elaborazione utilizzata da almeno un triennio dalla “Vallebelbo”; che le parti non avevano concordato una specifica tecnica di elaborazione, sicchè la tecnica adoperata dalla “Vallebelbo” non poteva che reputarsi corretta.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.A.O.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La “Cantina Vallebelbo” società cooperativa agricola ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e/o per motivazione apparente.

Deduce che la corte di merito nulla ha esplicitato in ordine all’unico motivo di gravame concernente la non commerciabilità, alla stregua del disposto del D.M. 25 luglio 2003, art. 20, della L. n. 82 del 2006, art. 34 e del D.Lgs. n. 260 del 2003, art. 1, comma 10, del vino spumante rimessogli, siccome avente caratteristiche chimico – fisiche diverse da quelle di cui alla dichiarazione di conformità al disciplinare in data 1.4.2008.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. la nullità del procedimento per omessa pronuncia su un motivo di gravame.

Deduce che la corte distrettuale non ha pronunciato in ordine all’unico motivo di gravame concernente la non commerciabilità, alla stregua del disposto del D.M. 25 luglio 2003, art. 20, della L. n. 82 del 2006, art. 34 e del D.Lgs. n. 260 del 2003, art. 1, comma 10, del vino spumante rimessogli, siccome avente caratteristiche chimico – fisiche diverse da quelle di cui alla dichiarazione di conformità al disciplinare in data 1.4.2008.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte territoriale nulla ha detto circa la violazione del D.M. 25 luglio 2003, art. 20 e della L. n. 82 del 2006, art. 34 sulla tracciabilità del vino consegnatogli e quindi sulla sua non commerciabilità; che pur la sentenza di 1^ grado e la c.t.u., richiamate dalla sentenza d’appello, nulla dicono al riguardo.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.M. 25 luglio 2003, art. 20, della L. n. 82 del 2006, art. 34, del D.Lgs. n. 260 del 2003, art. 1, comma 10, degli artt. 1455 e 1668 c.c..

Deduce che l’assunto della corte di Torino, secondo cui la “Vallebelbo” non era obbligata a consegnargli uno spumante avente le stesse caratteristiche di quelle riscontrate sul campione prelevato il 31.3.2008, è in contrasto con le norme regolatrici della materia; che il difetto di coincidenza tra il certificato di idoneità ed il vino detenuto comporta l’applicazione di gravi sanzioni amministrative.

Il primo motivo non merita seguito.

Contrariamente all’assunto del ricorrente la corte d’appello, alla stregua delle argomentazioni dapprima riferite, ha senz’altro motivato.

Tanto a prescindere dal rilievo per cui nel segno del novello art. 360 c.p.c., n. 5, comma 1 (applicabile alla fattispecie ratione temporis) l’omessa motivazione riveste valenza, propriamente e se del caso, sub specie di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (cfr. Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovviamente nel caso di specie, in relazione alle motivazioni – in precedenza enunciate – cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum, non ricorre nessuna delle figure – “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” – di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite dianzi menzionata.

In particolare, con riferimento alla figura della motivazione “apparente” – che il ricorrente ha specificamente inteso denunciare con il primo mezzo e che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha – siccome si è premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Il secondo motivo analogamente non merita seguito.

Del pari, contrariamente all’assunto del ricorrente, la corte territoriale ha senza dubbio pronunciato.

Difatti è sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte per cui, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico – giuridica della pronuncia (cfr. Cass. (ord.) 13.10.2017, n. 24155; Cass. 4.10.2011, n. 20311; Cass. 6.4.2000, n. 4317).

Il terzo motivo è destituito di fondamento.

Invero la corte torinese ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa de qua agitur, ovvero la caratterizzazione in guisa di grave inadempimento (o meno) della condotta dall’originario opponente ascritta alla “Vallebelbo”, ovvero, ancora, l’operata consegna di spumante asseritamente di non buona qualità e non commercializzabile.

Più esattamente la corte piemontese, sulla scorta delle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico officiato in prime cure, ha recisamente disconosciuto l’addotto inadempimento.

In particolare, alla luce delle risultanze dell’espletata consulenza d’ufficio, la corte d’appello ha specificato che “il tenore del sodio riscontrato, pur incrementato rispetto alle annate precedenti, non superava il valore fissato dalla legge, che è di 50 mg/L” (così sentenza, pag. 9).

In tal guisa evidentemente la corte ha dato atto tout court della conformità dello spumante alle prescrizioni normative primarie e secondarie.

D’altra parte, la prospettazione del ricorrente, secondo cui il significativo aumento, rispetto ai riscontri operati il 31.3.2008, della concentrazione di sodio nello spumante consegnatogli l’8.5.2008 “non può essere dovuto, come afferma la pronuncia impugnata, alla tecnica di spumantizzazione utilizzata dalla Vallebelbo” (così ricorso, pag. 21), si risolve nella pura e semplice contestazione della valutazione che delle risultanze istruttorie la corte di merito ha effettuato (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4,- dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante).

Ed ulteriormente l’assunto di C.A.O. secondo cui “il (OMISSIS) oggetto delle analisi (…) in data 31.3.08 (…) era ben più pregiato” (così ricorso, pag. 22), rinviene smentita alla stregua del rilievo del consulente d’ufficio – riferito nella motivazione dell’impugnato dictum – secondo cui “il vino in questione, qualora immesso sul mercato, avrebbe denotato una qualità tale da essere considerato di livello ampiamente superiore alla media” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Pur il quarto motivo è privo di fondamento.

Si puntualizza che i giudici di merito hanno debitamente specificato, onde disconoscere (in premessa) il preteso inadempimento, che la cooperativa si era obbligata ad eseguire una spumantizzazione conforme al disciplinare non già a fornire un prodotto con determinate caratteristiche di composizione chimica “nè un vino esattamente uguale a quello oggetto dell’assaggio del 31.3.2008” (così sentenza impugnata, pag. 7).

Ed è significativo rimarcare, per certi versi a conferma che questo fosse l’accordo che le parti avevano siglato, che C.A.O. si fa carico di addurre, con il mezzo di impugnazione in disamina, che “l’obbligo della Vallebelbo di consegnare (…) vino avente le stesse caratteristiche risultanti dalla dichiarazione di conformità dell’1.4.08 (…) discendeva dalle suddette norme imperative, che in quanto tali escludevano la necessità di pattuire espressamente tale impegno” (così ricorso, pag. 25).

Ebbene l’assunto del ricorrente, secondo cui la “Vallebelbo”, allorchè gli ha rimesso spumante diverso da “quello oggetto dell’assaggio del 31.3.08” (così ricorso, pag. 23), ha violato le norme imperative regolatrici della materia, asseritamente concorrenti ad integrare il regolamento contrattuale, rinviene duplice categorica smentita.

In primo luogo negli esiti della c.t.u., mercè la quale, siccome si è premesso, si è accertato tout court il rispetto dei valori di legge e si è disconosciuta perciò la violazione di qualsivoglia disposizione, integrativa o meno che sia della lex contractus.

In secondo luogo nel decreto di archiviazione del g.i.p. del tribunale di Saluzzo, che in accoglimento della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ha escluso “perentoriamente che per gli stessi fatti per cui è controversia sussistessero responsabilità penali in capo agli amministratori della Cantina Vallebelbo S.C.A.” (così controricorso, pag. 19).

In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare alla cooperativa agricola controricorrente le spese del giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Il ricorso è datato 20.2.2014.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del medesimo D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, C.A.O., a rimborsare alla controricorrente, “Cantina Vallebelbo” società cooperativa agricola, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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