Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26158 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12850-2019 proposto da:

A.D., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio dell’Avvocato ALESSANDRO

GRAZIANI, che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

COSIMO CISTERNINO;

– ricorrenti principali –

contro

CASINO’ DI VENEZIA GIOCO S.P.A., CMV S.P.A., in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE

G. MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentate e difese dall’Avvocato ADALBERTO PERULLI;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

e contro

A.D., + ALTRI OMESSI;

– ricorrenti principali – controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 468/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/07/2018 R.G.N. 902/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato COSIMO CISTERNINO;

udito l’Avvocato ADALBERTO PERULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nella gravata sentenza n. 468 del 2018 della Corte di appello di Venezia si legge che, con ricorso depositato nel giugno del 2009, il Casinò Municipale di Venezia spa impugnò la pronuncia n. 1202/08 del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede con la quale la società fu condannata al pagamento, in favore di diversi lavoratori, e nei limiti della prescrizione quinquennale, del trattamento economico minimo garantito, ai sensi dell’art. 48 CCAL dal 1990 al 1997 e art. 23 CCAL 1999, pari ad un minimo di lire 2.790 pro quota per milione indiviso di mancia, nella misura stabilita per ciascun ricorrente a seguito di espletamento di consulenza contabile, come indicate nel dispositivo della sentenza.

2. Le pronuncia di primo grado fu riformata, con le sentenze n. 365 del 2010 (non definitiva) e n. 91 del 2011 (definitiva) dalla Corte di appello di Venezia che, in parziale sua riforma, condannò la società a pagare le differenze “su quota CPA specificate nell’ultima colonna del riepilogo generale allegato alle note depositate dall’appellante in data 30.8.2010 limitatamente agli appellati per i quali sussistono tali differenze” di cui all’elaborato peritale depositato il 14.7.2008″.

3. La Corte di Cassazione, con la ordinanza n. 19698 del 2017, accolse i ricorsi dei lavoratori e cassò le sentenze impugnate rinviando alla Corte di merito in diversa composizione cui demandò di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

4. A seguito di riassunzione da parte dei lavoratori e del Casinò di Venezia Gioco spa, il giudice di rinvio, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarò il diritto di credito, nella misura specificata nell’ultima colonna del riepilogo generale allegato alle note del 30 agosto 2010, in favore dei lavoratori per i quali sussistevano differenze retributive sulla quota “Comunione Proventi Aleatori” (c.p.A.) e, per l’effetto, condannò il Casinò di Venezia Gioco spa e il Casinò Municipale di Venezia spa a corrispondere la somma capitale data da tali differenza in loro favore.

5. La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, ha ritenuto che: a) essendo stato il ricorso in riassunzione proposto da Casinò di Venezia Gioco spa quale successore a seguito di cessione di ramo di azienda comprendente i lavoratori di cui è processo, le ragioni di credito di questi nei confronti della società cedente (Casinò Municipale di Venezia spa) dovevano ritenersi estese in via solidale anche alla società cessionaria; b) nel merito, richiamando ai sensi dell’art. 118 disp att. c.p.c. le motivazioni della sentenza della stessa Corte territoriale n. 946 del 2017, in ordine alla corretta lettura e portata applicativa delle clausole di cui agli artt. 48 del contratto collettivo aziendale vigente dal 1990 e 23 del contratto collettivo aziendale del 1999 (Art. 48: “Per tutta la durata del presente contratto le mance ai tavoli da gioco sono ripartite tra l’Azienda e il personale nella misura percentuale in atto e cioè: roulette, 30/40, craps e black jack: 50% all’Azienda e 50% al personale; comunque agli aventi diritto del reparto roulette sarà assicurato, da parte dell’Azienda, un minimo garantito di Lire 2.790 = pro quota per ogni milione indiviso di mancia, secondo la ripartizione vigente al 31/12/1990, garantendo il rispetto dell’istituto previsto dall’art. 3 del presente contratto; b) chemin de fer: 54% all’Azienda e 46% al personale”; per l’art. 23, l’unica differenza letterale consisteva nella mancata indicazione del valore fisso di Lire 2.790) e avendo riguardo ai rilievi della sentenza di cassazione, andava rilevato che, sebbene fosse stata usata l’espressione “un minimo garantito…per ogni milione indiviso di mancia”, la garanzia de trattamento minimo non operasse con riguardo al totale degli incassi, ma alla metà di essi, perchè la clausola, letta nella sua interezza, teneva fermo il principio della ripartizione delle mance nella misura percentuale in atto e l’uso dell’avverbio “comunque” non imponeva che il minimo garantito fosse calcolato sulla totalità dell’incasso delle mance ma ben poteva limitarsi ad introdurre una deroga del tutto limitata al principio della divisione a metà; tale interpretazione era logica perchè in tal modo era posto a carico del datore di lavoro solo un obbligo di integrazione in via eventuale, al quale il datore di lavoro avrebbe fatto fronte attingendo alla propria metà ed avvalorata dalle dichiarazioni del teste M.. Inoltre, secondo la Corte di merito, doveva considerarsi che il ricorso ai criteri sussidiari trovava giustificazione nella ambiguità letterale della clausola e, in particolare, sul significato da dare all’avverbio “comunque”. Infine, con riferimento alla coerenza logica della interpretazione, andava reputato che, essendo stato l’accordo concluso in un contesto in cui potevano avverarsi situazioni che avrebbero inciso negativamente sulla misura delle mance percepite dagli addetti al tavolo di gioco (per l’aumento del personale o per la riduzione delle mance a causa della diffusione dei giochi per i quali non era prevista la loro riscossione) la comune intenzione delle parti era quella di individuare un importo minimo, al di sotto del quale non si corresse il rischio di scendere, perchè questa intenzione delle parti si era espressa nei riferimenti al divisore “179” costituente l’importo complessivo dei punti mancia del personale concorrente alla ripartizione delle mance nel dicembre 1990, e al dividendo della quota della metà di spettanza dei dipendenti sul milione di mance introitato, sulla base delle quali era individuato il valore di Lire 2.790 per punto mancia; d) non poteva valorizzarsi il documento n. 9 datato 11.11.1995, richiamato dalla società, perchè con la sentenza n. 365 del 2010 della Corte di appello, sul punto non oggetto di impugnazione, era stata dichiarata la tardività della produzione; e) alcun rilievo rivestiva l’argomento secondo cui, in forza dell’accordo del 5.4.2007, l’azienda si era disponibile a variare la percentuale di divisione delle mance, assegnando agli impiegati il 60,5% delle stesse che, anzi, confermava il principio della divisione delle mance tra le parti; f) gli scarti minimi, scaturiti dal conteggio del consulente, secondo l’ipotesi del Casinò, lungi da costituire un indice di una implausibilità della tesi propugnata dalla società, si giustificavano, invece, perchè la clausola del minimo garantito non aveva dovuto operare.

6. Avverso la decisione del giudice di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione A.D. (e i suoi 38 litisconsorti), difesi, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Cisternino e Graziani, affidato a due motivi, cui hanno resistito con controricorso Casinò di Venezia Gioco spa e Casinò Municipale Venezia spa formulando, altresì, ricorso incidentale con un solo motivo cui, a loro volta, hanno resistito i lavoratori.

7. Le società hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione di legge per errata applicazione dei criteri legali di interpretazione dei contratti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1367 c.c. Sostengono che l’interpretazione delle clausole collettive aziendali, adottata dai giudici del rinvio e seguito dei rilievi di cui all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 19698 del 2017, fosse errata nell’avere riferito il minimo garantito solo al milione di lire assegnato alla Commissione Proventi Aleatori e non anche alla quota di competenza del Casinò, atteso il chiaro dettato letterale che riguardava la locuzione “milione indiviso” da riferirsi ad ogni milione di lire di mance pagato dalla clientela.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione di legge per errata applicazione dei criteri legali di interpretazione dei contratti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1362 c.c., comma 2, perchè i giudici del rinvio, nell’operazione esegetica del significato della disposizione, non avevano considerato, ai fini di determinare la comune intenzione delle parti, il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto: in particolare, le circostanze che la disposizione del contratto collettivo aziendale sul minimo garantito aveva cessato la sua efficacia dal 5 luglio 2007, in forza dell’accordo del 5 aprile 2007, e che il Casinò di Venezia aveva accettato la riduzione delle mance assegnate in suo favore, per milioni di Euro, così avvalorando la tesi che i valori riferibili al minimo garantito sulle mance, secondo la precedente clausola, fossero quelli totali perchè, in caso diverso, non si sarebbe spiegata una rinuncia a proventi di tale consistenza.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale le società lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 2506 quater c.c. in materia di legittimazione passiva in capo alla Casinò Municipale di Venezia spa, a seguito dell’operazione di scissione societaria. Deducono che i giudici di rinvio non avevano minimamente tenuto conto dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al regime della responsabilità solidale determinatosi a seguito di un’operazione di scissione societaria (avvenuta nella fattispecie nell’ottobre 2012), ravvisando una legittimazione ad agire in capo alla CMV spa ed obliterando la finalità della disciplina dettata dall’art. 2506 quater c.c., comma 3, con il riconoscimento della possibilità per i lavoratori di azionare le proprie pretese sia nei confronti della società scissa (CMV spa) sia della effettiva ed unica datrice di lavoro (Casinò di Venezia Gioco spa).

5. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato preliminarmente il ricorso incidentale proposto dalla società.

6. I giudici di rinvio hanno precisato che, tra la Casinò Municipale di Venezia spa e la Casinò di Venezia Gioco spa, si era verificato, nell’ottobre del 2012, un fenomeno di successione a seguito della cessione del ramo di azienda, comprensivo dei rapporti di lavoro dei dipendenti.

7. Tale fenomeno rientra senza dubbio nell’ambito applicativo dell’art. 2112 c.c., secondo il quale deve considerarsi trasferimento di azienda “qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata…. a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto di azienda” (art. 2112 c.c., comma 5).

8. In tale fattispecie, sebbene nella novella del 2003 (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32) sia menzionata solo la fusione, ai fini lavoristici rientra certamente anche la scissione parziale tra due società che, comportando l’acquisizione da parte della nuova società di valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio, senza che si determini l’estinzione della società scissa, dà luogo ad una successione a titolo particolare nel diritto controverso, con la conseguente facoltà, sotto il profilo processuale, del successore di spiegare intervento nel giudizio e di impugnare la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti del dante causa (Cass. n. 5874 del 2012) e, sotto il profilo della tutela lavoristica, con la responsabilità solidale di entrambe le società in ordine ai crediti vantati dai dipendenti ceduti (art. 2112 c.c., comma 2).

9. Non è chiaro, quindi, in che cosa consistano le dedotte violazioni dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 2506 quater c.c. perchè, per tale ultima tipologia di crediti, vige l’estensione di responsabilità dell’acquirente ex art. 2112 c.c., comma 2 che si affianca a quella della cedente.

10. Nè è stato precisato, nella redazione del motivo, se e quali rapporti di lavoro fossero vigenti al momento del trasferimento e quali risultassero dai libri contrabili obbligatori: in ogni caso, però, anche in presenza di rapporti di lavoro esauriti, non può escludersi la responsabilità della cedente Casinò Municipale Venezia spa.

11. I due motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per la loro interferenza, sono anche essi infondati.

12. Occorre, prima di esaminare il merito delle doglianze alla luce di quelli che sono stati i rilievi di cui al provvedimento di cassazione di questa Corte, evidenziare due presupposti di fatto e di diritto, che devono essere tenuti presenti ai fini della decisione.

13. Il primo riguarda la circostanza che, nella fattispecie in esame, si verte in ipotesi di interpretazione di clausole contrattuali collettive aziendali, in relazione alle quali il sindacato di legittimità, a differenza di quello sulle norme del contratto collettivo nazionale, può spiegarsi, come per l’interpretazione di ogni atto negoziale, con riguardo ai vizi di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione del testo ratione temporis applicabile) ovvero relativamente alla violazione delle norme di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 c.c. e ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. (Cass. n. 20075 del 2010; Cass. n. 26738 del 2014; Cass. n. 4460 del 2020; Cass. n. 21888 del 2016).

14. Il secondo attiene alla impostazione metodologica che il giudice deve seguire nel processo di interpretazione negoziale ai fini di ricostruzione la comune volontà dei contraenti.

15. A tal riguardo, i due elementi da considerare sono il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto costituzionale (Cass. n. 5102 del 2015; Cass. n. 12389 del 2003).

16. Tra di essi vige il principio del cd. “gradualismo”, nel senso che le regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 – 1371 c.c. sono elencate secondo un ordine gerarchico, di talchè il criterio primario è quello esposto dall’art. 1362 c.c., comma 1 vale a dire il criterio della interpretazione letterale: qualora il giudice del merito abbia, poi, ritenuto che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti non riveli con certezza e univocità la loro volontà comune, può fare ricorso ai criteri interpretativi sussidiari essendo quelli principali (significato letterale delle espressioni adoperate e collegamento tra le varie clausole) insufficienti alla identificazione della comune intenzione delle parti (Cass. n. 26690 del 2006; Cass. n. 18180 del 2007).

17. E’ opportuno ricordare che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 27136 del 2017), a meno che non vi sia violazione, come sopra precisato, dei criteri ermeneutici legali o si sia in presenza i vizi della motivazione.

18. Ciò premesso, i tre punti che l’ordinanza di questa Corte n. 19698 del 2017, ha evidenziato, nel cassare le sentenze della Corte di appello di Venezia, non definitiva e definitiva rispettivamente n. 365/2010 e n. 91/2011, erano i seguenti: 1) omessa spiegazione, nella ricerca della comune volontà delle parti, dell’attribuzione all’espressione “un minimo garantito…. per ogni milione indiviso di mancia” di un significato diverso da quello attribuito al primo giudice che aveva ritenuto che la garanzia del trattamento minimo operasse con riguardo al totale degli incassi e non alla sola metà; 2) contraddittoria motivazione, nella valutazione della ratio della disposizione dell’accordo aziendale che era quella di evitare che l’aumento del personale di sala in qualità di croupier diminuisse gli introiti di ciascuno nella misura garantita secondo il sistema di ripartizione vigente al 31.1.1990, con riferimento ad un organico di 179 unità lavorativr; 3) neutralizzazione, secondo il sistema di calcolo adottato dalla Corte territoriale, della garanzia del minimo che “comunque” andava salvaguardato.

19. A fronte di tali rilievi il giudice di rinvio, nel confermare la precedente interpretazione (secondo cui la sommatoria delle quote destinate ai singoli lavoratori – pari ad un minimo di Lire 2790 pro quota per ogni milione indiviso di mancia- non potesse comunque superare il 50% delle mance complessivamente incassate, fatta sempre salva la restante parte pur sempre destinata al Casinò) ha richiamato, ex art. 118 disp. att. c.p.c., le argomentazioni già svolte in altra sentenza n. 946 del 2017 della Corte territoriale, emessa all’esito di altro rinvio disposto dalla Corte di Cassazione.

20. In particolare, in relazione al primo punto, la Corte territoriale ha specificato che la disposizione di cui è processo, anche letteralmente, ha voluto tenere fermo il principio della ripartizione delle mance nella misura percentuale in atto, per il cinquanta per cento ciascuno tra Azienda e dipendenti.

21. Infatti, la clausola – letta nella sua interezza – in primo luogo statuisce come presupposto costitutivo detta ripartizione; in secondo luogo, nella frase successiva, ha definito il minimo garantito evocando il punto di partenza dell’operazione volta alla determinazione del minimo, e cioè il milione indiviso di mance, ma non ha voluto anche porre, quale base di computo, l’intero coacervo delle mance. E l’avverbio “comunque” si limitava ad introdurre, sempre secondo i giudici di rinvio, una deroga del tutto limitata al principio della divisione a metà.

22. Detta lettura della clausola, oltre che consentita dalla dizione letterale della disposizione, trova un ulteriore avallo nel fatto che il riferimento testuale alla locuzione “per milione indiviso di mance” è preceduta da quella “Euro 2.790= pro quota” (nella prima versione) e “minimo garantito pro-quota” (nella seconda versione) per cui non sussiste alcun elemento testuale che non consenta di leggere la frase nel senso di assicurare un “minimo garantito”, “pro-quota per milione indiviso di mancia”, e perciò con il significato che il minimo debba essere nel concreto conteggiato con limitato riferimento alla quota dell’importo complessivo di spettanza dei dipendenti.

23. Con riguardo agli altri punti della sentenza di cassazione, la Corte territoriale ha argomentato che il meccanismo, che teneva fermo il principio della spettanza a metà delle mance tra datore di lavoro e dipendenti, aveva una sua logica sia nella operazione di calcolo (500.000 pari alla quota destinata ai lavoratori sul milione di mance erogate; 179 = cifra convenzionale corrispondente alla quota di personale in organico al momento dell’accordo; 2790 = punto mancia ottenuto a seguito di arrotondamento) sia nella ratio che era quella di porre a carico del datore di lavoro un obbligo di integrazione in via eventuale, attingendo alla propria metà.

24. Ha, infine, giustificato il ricorso ai criteri sussidiari di interpretazione per l’ambiguità letterale della clausola e dalla necessità di una sua lettura completa, che richiedeva come premessa la ripartizione del coacervo delle mance tra azienda e lavoratori, e ha sottolineato la coerenza logica della interpretazione perchè, contestualizzato l’accordo in un possibile futuro scenario in cui si sarebbero potuto avverare situazioni che avrebbero potuto incidere negativamente sulla misura delle mance percepite, la comune intenzione delle parti era quella di individuare un importo minimo, al di sotto del quale comunque non si corresse il rischio di scendere, perchè questa intenzione delle parti si era espressa nei riferimento al divisore “179”, costituente l’importo complessivo dei punti mancia del personale concorrente alla ripartizione delle mance nel dicembre 1990, e al dividendo della quota della metà di spettanza dei dipendenti sul milione di mance introitato, sulla base dei quali era individuato il valore di Lire 2.790 per punto mancia, che andava considerato in una prospettiva conservativa e non in quella migliorativa adombrata nell’accordo del 1999.

25. Da ultimo la Corte territoriale ha ritenuto che l’accordo del 5.4.2007, con decorrenza 5.7.2007, con cui l’azienda si era resa disponibile a versare la percentuale di divisione delle mance, assegnando agli impiegati il 60,5% di esse, costituiva ulteriore conferma che, con la pattuizione, le parti avevano tenuto fermo il principio della divisione a metà delle mance, apportandovi soltanto una deroga del tutto limitata.

26. Alla stregua di quanto sopra riportato osserva questo Collegio che la Corte territoriale, quale giudice di rinvio, ha fornito, sotto il profilo formale, le chieste spiegazioni ai rilievi mossi in sede di legittimità. Nel merito, poi, le censure di cui ai due motivi del ricorso principale risultano essere infondate perchè, essendo stati rispettati i criteri ermeneutici previsti dalla legge ed essendo stati valutati tutti gli elementi, ivi compreso l’accordo dell’aprile del 2007, per ricostruire la comune volontà delle parti, esse si risolvono unicamente nella inammissibile prospettazione di una interpretazione diversa da quella adottata.

27. Va precisato che le violazioni di legge, nel giudizio di legittimità, sono insussistenti in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

28. Inoltre, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo di cui al D.L. n. 93 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012 applicabile in questa sede ratione temporis in considerazione della data di pubblicazione della gravata sentenza (e ciò a prescindere dal fatto che si tratti di pronuncia emessa a seguito di pronuncia emessa a seguito di giudizio di rinvio – cfr. Cass. n. 26654 del 2014), non consente più un sindacato sul vizio di contraddittorietà o illogicità della motivazione, se non nei limitati casi di violazione del cd. minimo costituzionale (cfr. per tutte Cass. n. 8053/2014), chiaramente non ravvisabile nel caso in esame. Il vizio di cui alla norma suddetta, infatti, attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti (ex plurimis Cass. n. 13928/2015) per cui, anche sotto questo aspetto, qualora si volessero rimodulare in tale prospettiva, le doglianze di cui ai motivi, in presenza di una motivazione congrua, comunque logica e rispettosa dei canoni interpretativi legali, non sono meritevoli di accoglimento. Altro sindacato, in questa sede, non è più possibile.

29. In conclusione, quindi, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

30. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

31. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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