Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26157 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24818-1018 proposto da:

A.R., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE LIBIA 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

GALIENA, rappresentati e difesi dall’avvocato ALDO CAMPESAN;

– ricorrenti –

contro

CASINO’ DI VENEZIA GIOCO S.P.A., CMV S..A., in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE

G. MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentate e difese dall’avvocato ADALBERTO PERULLI;

– controricorrenti –

nonchè da: RICORSO SUCCESSIVO SENZA N. R.G.:

V.L., + ALTRI OMESSI tutti elettivamente domiciliati in

ROMA VIA MERULANA N. 247 presso lo studio dell’Avvocato DI GIOVANNI

FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

ACERBONI FRANCESCO;

– ricorrenti successivi –

e contro

B.G., D.L.R., T.L., F.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 946/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/03/2018 R.G.V. 48/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/39/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per rigetto ricorsi riuniti;

udito l’Avvocato ALDO CAMPESAN;

udito l’Avvocato ANDREA RECCHIA, per delega Avvocato FRANCESCO

ACERBONI;

udito l’Avvocato ADALBERTO PERULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nella gravata sentenza n. 946 del 2017 della Corte di appello di Venezia si legge che, con ricorso depositato nel gennaio del 2009 il Casinò Municipale di Venezia spa impugnò le pronunce n. 1067/07 e 941/08 del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede con le quali, previa riunione dei procedimenti, la società fu condannata al pagamento, in favore di diversi lavoratori, e nei limiti della prescrizione quinquennale, del trattamento economico minimo garantito, ai sensi dell’art. 48 CCAL dal 1990 al 1997 e art. 23 CCAL 1999, pari ad un minimo di Lire 2.790 pro quota per milione indiviso di mancia, nella misura stabilita per ciascun ricorrente a seguito di espletamento di consulenza contabile, come indicate nel dispositivo della sentenza definitiva.

2. Le pronunce di primo grado furono riformate, con la sentenza n. 364 del 2010 dalla Corte di appello di Venezia che, in parziale loro riforma, condannò la società a pagare le differenze “su quota CPA specificate nell’ultima colonna dell’elaborato peritale depositato il 14.7.2008”.

3. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21888 del 2016, dichiarò cessata la materia del contendere in relazione ad alcuni lavoratori, mentre accolse i ricorsi degli altri e cassò la sentenza impugnata rinviando alla Corte di merito in diversa composizione cui demandò di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

4. A seguito di riassunzione da parte dei lavoratori e del Casinò di Venezia Gioco spa “già Casino Municipale di Venezia spa” (come riportato nella intestazione della sentenza sopra citata), il giudice di rinvio, in parziale riforma delle pronunce di primo grado, dichiarò il diritto di credito, nella misura specificata nell’ultima colonna dell’elaborato peritale datata 11.7.2008, in favore dei lavoratori per i quali sussistevano differenze retributive sulla quota “Comunione Proventi Aleatori” (c.p.A.) e, per l’effetto, condannò il Casinò di Venezia Gioco spa e il Casinò Municipale di Venezia spa a corrispondere la somma capitale data da tali differenza in loro favore; condannò, altresì, le due società a corrispondere in favore di S.M. la differenza sulla quota “CPA” nella misura di Euro 7,33.

5. La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, ha ritenuto che: a) essendo stato il ricorso in riassunzione proposto da Casinò di Venezia Gioco spa quale successore a seguito di cessione di ramo di azienda comprendente i lavoratori di cui è processo, le ragioni di credito di questi nei confronti della società cedente (Casinò Municipale di Venezia spa) dovevano ritenersi estese in via solidale anche alla società cessionaria; b) la domanda di V.M. non era considerarsi rinunciata perchè, se era vero che alcuna istanza era stata riproposta in sede di riassunzione, tuttavia tutto il contesto dell’atto, da cui risultava il nominativo del lavoratore nella intestazione, induceva a ritenere che le conclusioni ivi rassegnate si riferissero anche a lui; per V.M., invece, il passaggio in giudicato della statuizione sulla inammissibilità della domanda formulata con l’appello incidentale precludeva qualsivoglia ulteriore deduzione e istanza istruttoria; c) nel merito, in ordine alla corretta lettura e portata applicativa delle clausole di cui agli artt. 48 del contratto collettivo aziendale vigente dal 1990 e 23 del contratto collettivo aziendale del 1999 (Art. 48: “Per tutta la durata del presente contratto le mance ai tavoli da gioco sono ripartite tra l’Azienda e il personale nella misura percentuale in atto e cioè: roulette, 30/40, craps e black jack: 50% all’Azienda e 50% al personale; comunque agli aventi diritto del reparto roulette sarà assicurato, da parte dell’Azienda, un minimo garantito di Lire 2.790 = pro quota per ogni milione indiviso di mancia, secondo la ripartizione vigente al 31/12/1990, garantendo il rispetto dell’istituto previsto dall’art. 3 del presente contratto; b) chemin de fer: 54% all’Azienda e 46% al personale”; per l’art. 23, l’unica differenza letterale consisteva nella mancata indicazione del valore fisso di Lire 2.790) e avendo riguardo ai rilievi della sentenza di cassazione, andava rilevato che, sebbene fosse stata usata l’espressione “un minimo garantito…per ogni milione indiviso di mancia”, la garanzia del trattamento minimo non operasse con riguardo al totale degli incassi, ma alla metà di essi, perchè la clausola, letta nella sua interezza, teneva fermo il principio della ripartizione delle mance nella misura percentuale in atto e l’uso dell’avverbio “comunque” non imponeva che il minimo garantito fosse calcolato sulla totalità dell’incasso delle mance ma ben poteva limitarsi ad introdurre una deroga del tutto limitata al principio della divisione a metà; tale interpretazione era logica perchè in tal modo era posto a carico del datore di lavoro solo un obbligo di integrazione in via eventuale, al quale il datore di lavoro avrebbe fatto fronte attingendo alla propria metà ed avvalorata dalle dichiarazioni del teste M. e dal meccanismo operativo riportato dal teste S.. Inoltre, secondo la Corte di merito, doveva considerarsi che il ricorso ai criteri sussidiari trovava giustificazione nella ambiguità letterale della clausola e, in particolare, sul significato da dare all’avverbio “comunque”. Infine, con riferimento alla coerenza logica della interpretazione, andava reputato che, essendo stato l’accordo concluso in un contesto in cui potevano avverarsi situazioni che avrebbero inciso negativamente sulla misura delle mance percepite dagli addetti al tavolo di gioco (per l’aumento del personale o per la riduzione delle mance a causa della diffusione dei giochi per i quali non era prevista la loro riscossione) la comune intenzione delle parti era quella di individuare un importo minimo, al di sotto del quale non si corresse il rischio di scendere, perchè questa intenzione delle parti si era espressa nei riferimenti al divisore “179” costituente l’importo complessivo dei punti mancia del personale concorrente alla ripartizione delle mance nel dicembre 1990, e al dividendo della quota della metà di spettanza dei dipendenti sul milione di mance introitato, sulla base delle quali era individuato il valore di Lire 2.790 per punto mancia; d) tale meccanismo trovava un avallo nel documento n. 9, richiamato dalla società, acquisibile in ogni caso nel processo dal giudice di appello a prescindere dalla problematica se la formazione del documento stesso fosse stata estranea all’ambito di controllo e gestione della società, perchè esso, datato 11.11.1995, riguardante la vigenza del precedente contratto aziendale, era una comunicazione degli addetti al conteggio dei proventi aleatori in cui venivano evidenziate le differenze – seppure minime nel caso del periodo esaminato – rispetto alla sola quota del 50% delle mance; e) alcun rilievo rivestiva l’argomento secondo cui, in forza dell’accordo del 5.4.2007, l’azienda si era disponibile a variare la percentuale di divisione delle mance, assegnando agli impiegati il 60,5% delle stesse che, anzi, confermava il principio della divisione delle mance tra le parti; f) gli scarti minimi, scaturiti dal conteggio del consulente, secondo l’ipotesi del Casinò, lungi da costituire un indice di una implausibilità della tesi propugnata dalla società, si giustificavano, invece, perchè la clausola del minimo garantito non aveva dovuto operare.

6. Avverso la decisione del giudice di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione A.R. (e i suoi 60 litisconsorti), difesi dall’Avv. Campesan, affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso Casino di Venezia Gioco spa e Casinò Municipale Venezia spa.

7. Hanno, altresì, proposto altro ricorso per cassazione V.L. (e i suoi 43 litisconsorti), difesi dagli Avvocati Francesco Acerboni e Francesco Di Giovanni, affidato a 11 motivi, cui hanno resistito, anche in questo caso, Casino di Venezia Gioco spa e Casinò Municipale Venezia spa.

8. B.G., T.L., F.B. e D.L.R. non hanno svolto attività difensiva.

9. V.L., unitamente ai suoi litisconsorti e le società controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

RICORSO DI A.R. + 60 LITISCONSORTI (Avv. Campesan).

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, per l’errata e/o omessa dichiarazione di contumacia della società Casinò di Venezia: in particolare, la violazione degli artt. 290,291,347 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostengono che il giudizio era stato radicato nei confronti della Società Casino Municipale di Venezia spa, unica parte convenuta nel primo giudizio di cassazione; nell’ottobre del 2012 era stata costituita la società Casinò di Venezia Gioco spa a cui era stato conferito il ramo di azienda “gioco” dalla CMV spa, con transito di tutti i dipendenti presso la nuova società; la sentenza della Corte di cassazione n. 21888/2016 era stata pronunciata nei confronti della Casinò Municipale di Venezia spa; il giudizio di riassunzione era stato, però, radicato dalla Casinò di Venezia Gioco spa mentre in quello promosso dai lavoratori era stata evocata in giudizio l’originaria datrice di lavoro (Casinò Municipale. Essendo stata la sentenza, oggi gravata, intestata nei soli confronti della Casinò di Venezia Gioco spa (qualificata come “già Casino Municipale di Venezia spa”), erroneamente non era stata dichiarata dai giudici di merito la contumacia della originaria datrice di lavoro in relazione al giudizio riassunto dai lavoratori, non essendo stata mai estromessa dal processo; analogamente, sempre in modo erroneo, non era stata dichiarata l’inammissibilità dell’atto di riassunzione della cessionaria, non avendo quest’ultima spiegato la propria relazione con la cedente, con ogni conseguenza in relazione alla produzione documentale su cui aveva fondato la sua difesa.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, delle norme di ermeneutica del contratto di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Deducono che i giudici di rinvio, chiamati a pronunciarsi sulla corretta interpretazione della clausola del minimo garantito, individuando la comune volontà delle parti da ricostruirsi secondo il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, non avevano indagato sul significato letterale e concreto della locuzione “milione indiviso” che coincideva con il milione di mance introitato dal Casinò e non con quello di spettanza dei croupier e, interpretando, in modo non corretto, unitariamente la clausola, avevano snaturato completamente la stessa “comune intenzione delle parti” che avevano individuato una clausola di minimo garantito che avesse tenuto conto del 100% degli incassi.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, delle norme di ermeneutica del contratto di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. e dell’art. 115,166,437,345 e 394 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di appello ricostruito la “comune volontà delle parti” e, dunque, posto a base della propria decisione, un documento prodotto dalla casa di gioco sulla cui tardività si era già pronunciata la stessa Corte di appello e che non era caratterizzato dal requisito della indispensabilità.

RICORSO DI V.L. + 43 LITISCONSORTI (Avv.ti Acerboni e Di Giovanni).

5. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di norme di diritto: tra cui gli artt. 1362 c.c. e ss e art. 383 c.p.c. e ss., sotto il profilo dell’omessa considerazione dello schema logico enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio rispetto al concetto di “milione indiviso” e al criterio della “ratio” della disposizione dell’accordo.

6. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di norme di diritto: tra cui gli artt. 1362 c.c. e ss. e art. 383 c.p.c. e ss., sotto il profilo dell’omessa considerazione dello schema logico enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio rispetto alla “ragione stessa che aveva determinato la stipulazione”.

7. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sull’interpretazione dei contratti: artt. 1362 e ss., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: in particolare la comune intenzione delle parti, nella stipulazione della clausola, e il criterio di calcolo, come indicati da tutti i testi escussi.

8. Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: artt. 1362 c.c. e ss. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: in particolare, la comune intenzione delle parti nella stipulazione della clausola emersa in corso di causa.

9. Con il quinto motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: artt. 1362 c.c. e ss. sulla errata applicazione del criterio letterale di interpretazione, perchè, da un lato, la Corte territoriale aveva ritenuto il significato letterale della clausola contrattuale incerta e dubbia e, dall’altro, si era soffermata a ricostruire la comune intenzione delle parti proprio sulla base di una interpretazione letterale del testo.

10. Con il sesto motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: art. 1362 e ss., sulla errata applicazione di criteri di interpretazione letterale, per avere la Corte territoriale collegato il significato dell’avverbio “comunque” della clausola contrattuale ad una “deroga del tutto limitata al principio della divisione a metà”, quando invece era chiaro che il termine andasse svincolato da qualsivoglia limite e la garanzia del minimo garantito, da calcolarsi sull’importo di tutte le mance erogate, andasse applicata a prescindere da tutto.

11. Con il settimo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: art. 1362 e ss., sulla errata applicazione di criteri di interpretazione letterale, per non avere la Corte territoriale rilevato che l’espressione ripartizione vigente al 31.12.1990″ non si correlava con la ripartizione al 50% tra Azienda e lavoratori, bensì alla ripartizione interna tra i vari croupier.

12. Con l’ottavo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: art. 1362 e ss. e, in particolare art. 1362 e 1367 c.c., sotto il profilo dell’errata applicazione della norma sull’obbligo di interpretare le singole clausole del contratto nel senso che queste possono avere qualche effetto piuttosto che nel senso in cui non ne avrebbero alcuno.

13. Con il nono motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti, in particolare degli artt. 1362 e 1369 c.c., sotto il profilo dell’errata applicazione della norma dell’obbligo di interpretare il contratto nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.

14. Con il decimo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione delle norme di diritto sulla interpretazione dei contratti: in particolare dell’art. 1362 c.c. sotto il profilo dell’esame del comportamento successivo delle parti.

15. Con l’undicesimo motivo i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento all’art. 345 c.p.c., all’art. 394 c.p.c., per l’acquisizione di documenti nuovi nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, in quanto era stato ritenuto che il documento del 5.11.1995 avvalorasse il criterio di calcolo del minio garantito sostenuto dalla società; in subordine, avanzano istanza di revocazione della sentenza di appello ai sensi e per gli effetti dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per falsa rappresentazione della realtà, in quanto dal suddetto documento si rilevava che il minimo garantito andasse invece calcolato sul totale delle mance.

QUESTIONI PRELIMINARI.

16. Preliminarmente deve essere dichiarata cessata la materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il difetto di interesse a proseguire il processo di B.I. e I.V., in qualità di eredi di B.E., e le società controricorrenti, con compensazione delle spese. Infatti, è stato prodotto un verbale di conciliazione (sottoscritto avanti la Direzione Provinciale del Lavoro di Venezia in data 28.3.2012) in cui si dava atto, da parte del dante causa, della rinuncia al presunto diritto alla corresponsione del minimo garantito mance ex art. 23 del CCAL 1.1.1999 (cd. “2790”), con ogni conseguenza anche in ordine al computo del TFR.

17. Nulla, invece, va pronunciato in ordine alle richieste di avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di appello con cui era stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello incidentale promosso dal ricorrente V.M. nè delle statuizioni contenute nella sentenza oggetto del presente gravame, con riferimento alle posizioni di B.G., D.L.R. e T.L., in quanto la declaratoria del passaggio in giudicato delle suddette pronunce si verifica, se del caso, “ipso facto”, senza necessità di una apposita declaratoria a tali fini e, in mancanza di uno specifico motivo di ricorso (da proporsi ritualmente con il rispetto dei principi di ritualità e di autosufficienza), non costituisce oggetto della sentenza di legittimità accertare e dichiarare l’intervenuto passaggio in giudicato delle pronunce in relazione a particolari posizioni giuridiche, se non rilevanti sotto il profilo dell’interesse ad agire degli eventuali ricorrenti.

ESAME DEI MOTIVI.

18. Il primo motivo del ricorrente A.R. e dei suoi litisconsorti è infondato.

19. E’ opportuno precisare che i giudizi di primo grado, iniziati negli anni 2005-2007, instaurati nei confronti del Casinò Municipale di Venezia spa, si sono conclusi con sentenza definitiva del 2008.

20. Anche i giudizi di appello e dinanzi alla Corte di Cassazione, incardinato nel 2009 e nel 2011, avevano come contraddittore e destinatario delle pretese dei lavoratori, la società Casinò Municipale di Venezia spa.

21. Il giudizio di riassunzione, a seguito della cassazione della prima sentenza di appello, è stato promosso sia dai lavoratori nei confronti della società Casino Municipale di Venezia spa, sia dal Casinò di Venezia Gioco spa nei confronti dei lavoratori, con riunione dei giudizi.

22. Con la sentenza oggi gravata, la Corte territoriale ha ritenuto ammissibile il ricorso per riassunzione della Casinò di Venezia Gioco spa perchè, dalla visura prodotta dalla società, si evinceva che era stato indicato l’evento relativo alla cessione del ramo di azienda e alla consistenza numerica dei dipendenti passati alla nuova società, e ciò determinava la piena titolarità dei rapporti patrimoniali, pur se relativi ad un periodo in cui il rapporto lavorativo con i lavoratori era intrattenuto dalla cedente, per cui le pretese dovevano ritenersi estese in via solidale alla società cessionaria.

23. I ricorrenti si dolgono di due circostanze: la prima riguarda l’omessa declaratoria di contumacia della Casinò Municipale di Venezia spa che, erroneamente, nella intestazione della decisione veniva riportata “Casinò di Venezia Gioco spa già Casinò Municipale di Venezia spa”; la seconda concerne il fatto che la Casinò di Venezia di Gioco spa non aveva spiegato la propria relazione con l’originario datore di lavoro.

24. Osserva il Collegio che la Corte di merito, attraverso i documenti richiamati, ha dato atto che nell’ottobre del 2012 era avvenuta una cessione di ramo di azienda, tra le due società, con la quale peraltro tutti i rapporti di lavoro in essere con i dipendenti adibiti all’esercizio delle attività di gioco erano stati trasferiti alla nuova società Casinò di Venezia Gioco spa.

25. Orbene, il trasferimento di azienda o di un ramo di azienda configura una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti il che, sul piano processuale, determina, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o la possibilità di chiamata in causa dello stesso, atteso che detto trasferimento non determina l’estinzione del cedente, che conserva, per espressa disposizione di legge, con l’interesse ad agire e la veste di sostituto processuale dell’acquirente, il potere di esercitare nel processo i diritti di quest’ultimo, fino a quando l’avente causa non abbia esercitato il suo potere di intervento, e il potere di impugnazione, fino a quando tale potere non sia stato esercitato dallo stesso avente causa (Cass. n. 23936 del 2007; Cass. n. 23937 del 2007).

26. E’ stato anche affermato, in sede di legittimità, che il trasferimento di azienda attribuisce al cessionario autonoma legittimazione all’impugnazione della sentenza sfavorevole al cedente, stante l’opponibilità del giudicato nei suoi confronti, quale successore a titolo particolare; a ciò si aggiunge un’autonoma ragione di legittimazione processuale alla impugnazione, nel caso in cui la sentenza risulti emessa nei confronti del cessionario, che non abbia partecipato al giudizio e sia stato erroneamente identificato con il cedente (Cass. n. 22918 del 2013; Cass. n. 25952 del 2005).

27. Alla luce dei principi sopra esposti e della documentazione prodotta, attestante la cessione del ramo di azienda, il ricorso in riassunzione della Casinò di Venezia Gioco spa correttamente è stato ritenuto ammissibile.

28. Quanto alla altra censura, va osservato che l’erronea dichiarazione di contumacia di una delle parti non incide sulla regolarità del processo e non determina un vizio della sentenza, deducibile in sede di impugnazione, se non abbia provocato, in concreto, alcun pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva (Cass. n. 5408 del 2012).

29. Inoltre, la mancata indicazione della parte contumace nell’epigrafe della sentenza e la mancata dichiarazione di contumacia della stessa non incidono sulla regolarità del contraddittorio e non comportano, quindi, alcuna nullità, ove risulti che la parte sia stata regolarmente citata in giudizio, configurandosi un mero errore materiale, emendabile con il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c..

30. Nel caso in esame, i lavoratori hanno riassunto il giudizio nei confronti della Casinò Municipale di Venezia spa che, nella intestazione non risulta autonomamente riportata e individuata e non è stata neanche dichiarata contumace: invero, si legge, tra le parti costituite, solo il Casinò di Venezia Gioco spa, già Casinò Municipale di Venezia spa”.

31. Nel contesto della decisione, però, da un lato si rileva che la Corte territoriale ha ritenuto che tra le due società fosse intercorso un fenomeno di cessione di ramo di azienda, avvalorando quindi la loro autonomia giuridica e, dall’altro, in sede di dispositivo ha condannato entrambe le società distintamente.

32. Considerando, quindi, la situazione effettivamente emergente dagli atti del processo, l’omissione della declaratoria di contumacia della CMV spa deve considerarsi irrilevante e non incidente sui diritti degli odierni ricorrenti.

33. Vanno ora esaminati, per pregiudizialità logico-giuridica in quanto le statuizioni sulla ammissibilità delle prove incide sulla connessa attività decisionale di merito, il terzo motivo dei ricorrenti A.R. (+ 60 litisconsorti) e l’undicesimo dei ricorrenti V.L. (+ 43 litisconsorti), riguardanti entrambi il documento del 9.11.1995 da cui la Corte di merito ha desunto un argomento a supporto della interpretazione della disposizione collettiva aziendale sostenuto dalla società.

34. Il suddetto documento (doc. 9) era stato prodotto dalla società per la prima volta nel giudizio di appello e la Corte territoriale aveva ritenuto la sua produzione tardiva e non indispensabile ai fini della decisione.

35. I giudici di rinvio, invece, hanno ritenuto di acquisirlo, e valorizzarlo ai fini della decisione, ai sensi degli artt. 345 e 437 c.p.c., reputandolo idoneo a superare una situazione di incertezza probatoria di talchè, in relazione ad esso, erano esercitabili i poteri istruttori di ufficio del giudice di appello.

36. Va osservato che la giurisprudenza di legittimità è, però, consolidata nel ritenere che, nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, e segnatamente la produzione di nuovi documenti, anche se consistenti in una perizia di ufficio disposta in altro giudizio, salvo che la loro produzione sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di Cassazione o dalla impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore (Cass. n. 26108 del 2018; Cass. n. 19424 del 2015; Cass. n. 21587 del 2009).

37. Nella fattispecie in esame non ricorreva alcuna delle suddette ipotesi ed anzi, come sopra precisato, la Corte di merito ha fatto riferimento alle disposizioni in tema di giudizio di appello senza però rapportarle alle peculiarità del giudizio di rinvio in cui era chiamata a pronunciarsi. Nè l’originario provvedimento, con cui era stata dichiarata l’inammissibilità della produzione, risulta essere stato censurato nel primo giudizio di cassazione, per cui in relazione ad esso si era formato un giudicato interno.

38. Le censure, in ordine alle prospettate violazioni di legge in tema di prove, sono, pertanto, fondate.

39. Alla stregua di quanto esposto la sentenza deve, pertanto, essere cassata in relazione ai motivi accolti, assorbiti gli altri e rigettato il primo del ricorrente A.R. e dei suoi litisconsorti. La causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati in materia probatoria nell’ambito del giudizio di rinvio e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara cessata la materia del contendere tra B.I. e J.V., in qualità di eredi di B.E., e le società controricorrenti, compensando le relative spese; accoglie il terzo motivo del ricorrente A.R. e dei suoi litisconsorti, rigettato il primo ed assorbito il secondo, e l’undicesimo motivo del ricorrente V.L. e dei suoi litisconsorti, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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