Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26151 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 06/12/2011), n.26151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 668/2007 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato GRILLO CAMILLO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

VANDERMOORTELE ITALIA S.P.A., (già VAMIX ITALIA sede secondaria di

Vamix N.V. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OSTIA

16, presso lo studio dell’avvocato LAZZARI ANTONELLA, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUCASTRO MARCELLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6832/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/03/2006 R.G.N. 4169/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato LORENZO BIANCHI per delega GRILLO CAMILLO;

udito l’Avvocato GIUCASTRO MARCELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, depositato in data 18.12.2001, P.A., premesso di aver lavorato dal marzo 1988 con la Ambrosia s.r.l. in qualità di agente per la Regione Lazio, che tale rapporto era stato formalizzato con la sottoscrizione di contratto di agenzia in data 31.1.1996, e che subito dopo la sottoscrizione del detto contratto alla Ambrosia s.r.l. era subentrata la Vamix Italia successivamente divenuta Vandermoortele Italia s.p.a., esponeva che con lettera dell’11.9.1998 la Vamix Italia aveva unilateralmente variato la misura delle provvigioni per le vendite a grossisti portandola dal 5% originariamente pattuito al 3%; che con lettera del 30.5.2000 la società preponente aveva comunicato la cessazione del contratto di agenzia con un preavviso di sei mesi; che esso ricorrente, per effetto della mancata applicazione da parte della preponente della esatta misura convenuta delle provvigioni dirette, era rimasto creditore delle differenze provvisionali relative al periodo dal 1993 al 2001; che la società Vamix Italia non aveva corrisposto le provvigioni indirette relative ad alcuni affari, nonchè l’indennità di incasso e l’indennità di cui all’art. 1751 c.c.; che la società predetta aveva inoltre cagionato ad esso ricorrente danni di carattere patrimoniale per avere sistematicamente modificato il prezzo degli ordini relativi ai clienti grossisti, concordando direttamente con gli stessi prezzi speciali e sconti notevoli, sì da indurli a non concludere più affari con lo stesso. Chiedeva pertanto la condanna della società convenuta al pagamento, per le causali suddette, delle somme che espressamente indicava.

Con sentenza in data 12.6/16.6.2003 il Tribunale adito rigettava la domanda compensando le spese di giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello il P. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo; e proponeva appello incidentale la società preponente lamentando la disposta compensazione delle spese del giudizio di primo grado.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 17.10.2005/9.3.2006, rigettava l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava il ricorrente al pagamento delle spese del primo grado del giudizio, ponendo a carico dello stesso anche quelle relative al giudizio di appello.

In particolare la Corte territoriale rilevava che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova in ordine ai diritti vantati, e che correttamente il primo giudice aveva disatteso le richieste volte ad ottenere l’esibizione delle scritture contabili della società preponente e l’effettuazione di consulenza tecnica sulle stesse, trattandosi di richieste finalizzate alla ricerca dei fatti la cui prova doveva per contro essere fornita dalla parte, sulla quale incombeva il relativo onere probatorio.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione P. A. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto e degli accordi collettivi nazionali di lavoro, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la carenza di legittimazione passiva della Vamix Italia per il periodo antecedente al 31.1.1996 in cui il rapporto di agenzia era intercorso con la Ambrosia s.r.l.; e rileva che erroneamente aveva ritenuto il difetto di prova in ordine alle provvigioni non corrisposte ed aveva disatteso le richieste istruttorie volte ad ottenere l’esibizione delle scritture contabili e la effettuazione di consulenza tecnica d’ufficio: ed invero, non avendo la preponente mai adempiuto all’obbligo, posto dall’art. 1749 c.c., di fornire le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate, l’esibizione delle scritture e la CTU contabile erano l’unico modo attraverso cui il ricorrente, esercitando il proprio diritto di verifica, poteva venire a conoscenza degli esiti della sua attività di promozione.

Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva completamente omesso di esplicitare per quale motivo la Vamix non dovrebbe rispondere dei debiti provvisionali ed indennitari per il periodo antecedente al 31.1.1996, in cui la società preponente era la Ambrosia s.r.l.; e rileva la contraddittorietà della motivazione con cui la Corte di merito, pur avendo riconosciuto che l’esibizione delle scritture contabili e la consulenza tecnica potevano costituire fonte oggettiva di prova allorchè l’agente non avesse altro mezzo per accertare la conclusione degli affari trattati direttamente dalla preponente con soggetti che l’agente aveva in precedenza acquisiti come clienti, aveva rigettato la domanda proposta dal ricorrente assumendo che lo stesso non aveva fornito alcuna prova in proposito.

E parimenti insufficiente e contraddittoria si appalesava la motivazione dell’impugnata sentenza in relazione al rigetto della domanda volta a conseguire l’indennità di incasso sotto il profilo della mancata prova di siffatta attività, avendo per contro esso ricorrente, sin dal ricorso introduttivo del giudizio, fornito il riepilogo (per importi e nominativi) degli incassi. Analoghi rilievi sollevava in relazione al capo della sentenza che aveva rigettato la domanda di pagamento dell’indennità ex art. 1751 c.c. sotto il profilo della mancanza della prova, evidenziando che tale prova non poteva essere fornita se non attraverso l’esibizione dei libri contabili e l’effettuazione di consulenza tecnica d’ufficio, atteso che l’agente non poteva dimostrare di aver procurato nuovi clienti non essendo in possesso di alcun documento relativo al periodo precedente a quello di collaborazione.

I suddetti motivi di ricorso, che il Collegio ritiene di dover trattare unitariamente essendo tra loro strettamente connessi, non sono fondati.

Ed invero, in ordine al subentro della Vamix nel contratto di agenzia inizialmente stipulato con la Ambrosia s.r.l. la Corte territoriale, nel rilevare che, nei rapporti ad esecuzione continuata o periodica, la cessione del contratto era possibile solo per il periodo non ancora eseguito, ha evidenziato che la deduzione relativa alla ipotizzata cessione di azienda costituiva deduzione nuova proposta per la prima volta in sede di appello, giungendo alla conclusione che tale prospettazione, implicando un nuovo tema di indagine, non era ammissibile in appello.

Orbene, è principio consolidato in giurisprudenza che, stante il carattere devolutivo del gravame, è preclusa la proposizione nel giudizio di impugnazione di domande nuove ovvero di eccezioni nuove (che non siano rilevabili anche d’ufficio).

E pertanto nel caso di specie parte ricorrente, nei rilevare la erroneità sul punto dell’impugnata sentenza, avrebbe dovuto riportare il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio e fare per di più riferimento a tutti quegli elementi di fatto e di diritto sui quali le eccezioni ed i rilievi proposti trovavano fondamento, evidenziandone anche la ritualità e tempestività, onde consentire a questa Corte di valutare l’effettività del vizio denunciato riscontrando preliminarmente l’effettiva proposizione della questione sin dal ricorso introduttivo. A siffatti principi non si è attenuto il ricorrente che si limitato a rilevare che “sin dal primo grado (v.

pag. 1 del ricorso e il doc. 2 allegato) ha sostenuto e provato la sostituzione contrattuale della Vamix”, senza in alcun modo specificare le argomentazioni nonchè gli elementi di fatto e di diritto su cui siffatta affermazione si basava, e soprattutto senza in alcun modo evidenziare di aver già introdotto, ed in quali specifici termini, nel giudizio di primo grado la questione relativa alla cessione di azienda ai sensi degli artt. 2558 e 2560 c.c.. Tale omissione ha comportato una palese violazione del canone di autosufficienza del ricorso, che risulta fondato sull’esigenza, particolare nel giudizio di legittimità, di consentire al giudice dello stesso di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Il ricorso sul punto non può pertanto trovare accoglimento.

In ordine alla richiesta di effettuazione di consulenza tecnica contabile e di esibizione dei libri contabili, osserva innanzi tutto il Collegio che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poichè ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi già acquisiti al processo, e quindi costituisce un mezzo di controllo dei fatti costituenti la prova, che deve essere fornita dalla parte a sostegno della propria posizione giuridica. Ne consegue che la consulenza non rientra nella disponibilità delle parti ma è rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale esattamente decide di escluderla ogni qual volta si avveda che la richiesta della parte tende a supplire con la consulenza la deficienza della prova o a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provate (Cass., 2.1.2002 n. 10).

E’ pur vero che il giudice di merito può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti accertati (cosiddetto consulente deducente) ma anche quello di accertare i fatti stessi (cosiddetto consulente percipiente), ma ciò si verifica solo allorchè si tratta di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (Cass., 19.1.2006 n. 1020), non potendo in nessun caso la consulenza d’ufficio avere funzione sostitutiva dell’onere probatorio delle parti.

In proposito deve altresì rilevarsi che la questione relativa alla effettuazione o meno di una consulenza d’ufficio comporta una valutazione di fatto, non consentita in sede di giudizio di legittimità. Devesi sul punto evidenziare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell’iter logico – argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n. 18214;

Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).

E ad analoghe conclusioni ritiene il Collegio di dover pervenire per quel che riguarda la questione relativa alla istanza di esibizione dei libri contabili, avendo sul punto (a giurisprudenza a più riprese evidenziato che l’ordine di esibizione è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e richiede, quale requisito di ammissibilità, che la prova del fatto che si intende dimostrare non è acquisibile aliunde, non potendo avere l’iniziativa finalità meramente esplorative o sostitutive dell’onere probatorio posto a carico della parte. La valutazione circa il carattere residuale è rimessa al giudice di merito ed il mancato esercizio da parte dello stesso del relativo potere discrezionale non è censurabile in sede di legittimità, ove sia congruamente motivato (Cass. sez. lav., 19.9.2002 n. 13721).

Orbene nel caso di specie la Corte territoriale, nel rilevare che l’appellante non aveva fornito la prova dei fatti costitutivi delle pretese azionate, ha evidenziato che lo stesso non aveva “indicato esattamente le provvigioni effettivamente percepite, nè tanto meno il tipo delle vendite da lui concluse”, ponendo in rilievo la necessità di siffatta indicazione in considerazione del fatto che le misure provvisionali erano stabilite in maniera diversa a seconda che si trattasse di “vendite industriali”, o di “vendite a grossisti”, oppure di “vendite effettuate nella zona Lazio” o ancora di “vendite a prezzi speciali”. Ed ha altresì rilevato che l’appellante non aveva provato che la Vamix avesse concluso affari direttamente nella zona ove esso operava, nè che la stessa non gli avesse comunicato il buon fine degli affari promossi, essendosi limitato a dedurre genericamente l’esistenza di notevole confusione nei documenti contabili consegnatigli dalla società medesima. Ed ha infine rilevato che non potevano essere esaminati in sede di appello i documenti prodotti dall’appellante unitamente all’atto di impugnazione (Cass. SS.UU., 20.4.2005 n. 8202). Pertanto la Corte di merito sul punto ha correttamente posto in rilievo, dando adeguatamente contezza delle proprie determinazioni con valutazione non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, l’esistenza di una evidente carenza dell’onere di allegazione posto a carico della parte, alla quale la stessa non poteva supplire con la richiesta di effettuazione di consulenza contabile d’ufficio e di esibizione di documenti.

Per quel che riguarda la censura relativa al mancato riconoscimento dell’indennità di incasso, la Corte territoriale – dopo aver evidenziato che il primo giudice aveva disatteso la relativa richiesta rilevando, tra l’altro, che l’agente non aveva provato il carattere continuativo della suddetta attività di incasso – ha correttamente precisato che la documentazione a suffragio dell’assunto circa il carattere continuativo dell’attività svolta era stata prodotta solo con l’atto di impugnazione, di talchè tale documentazione doveva ritenersi inammissibile.

Il rilievo della Corte territoriale è corretto ove si osservi che le Sezioni unite di questa Corte, ricucendo finalmente un vulnus processuale emerso in ordine alla producibilità in appello dei documenti precostituiti, hanno statuito, con le sentenze nn. 8202 e 8203 del 20 aprile 2005, il generale divieto di una produzione tardiva di documenti, rispetto all’atto introduttivo del giudizio, salvo i casi eccezionali dovuti al tempo della loro formazione o all’evolversi della vicenda processuale, che ne giustifichi l’introduzione (Cass. sez. lav., 7.6.2005 n. 11786).

Infine, per quel che riguarda il mancato accoglimento della richiesta di indennità ex art. 1751 c.c., la Corte territoriale ha rilevato che il ricorrente si era limitato a mere formule di stile, senza fornire alcun riscontro documentale atto a verificare l’adeguatezza della somma richiesta.

Anche tale rilievo appare corretto, avuto riguardo alla circostanza che parte ricorrente si è limitata ad evidenziare il mancato esercizio, da parte della Corte di merito, del potere di ordinare l’esibizione della documentazione contabile della preponente, di talchè deve ribadirsi quanto già osservato circa l’inammissibilità della richiesta avente finalità meramente esplorative o sostitutive dell’onere probatorio posto a carico della parte.

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento.

Segue a tale pronuncia la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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