Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26149 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 06/12/2011), n.26149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30259-2007 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 186/2007 della corte D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 28/06/2007 R.G.N. 177/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

Udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di prime cure, ha rigettato la domanda, proposta da M.L. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra il lavoratore e la società convenuta in primo grado;

2. per la cassazione di tale sentenza M.L. ha proposto ricorso; Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.;

3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

4. il lavoratore è stato assunto con un contratto a termine stipulato in data 29 ottobre 1998 e scaduto il 1 dicembre 1998; il suddetto contratto è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane;

5. alla base della decisione della Corte territoriale è la ritenuta fondatezza dell’eccezione, proposta da Poste Italiane e rigettata dal giudice di primo grado, dell’avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso; secondo la sentenza impugnata, alla stregua di una complessiva valutazione dei fatti, doveva ritenersi dimostrata la sussistenza degli estremi della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, avendo il lavoratore posto in essere, per un considerevole arco di tempo, una condotta incompatibile con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro;

6. con l’unico motivo di ricorso tale statuizione è stata censurata ed è stata dedotta la violazione degli artt. 1321, 1362 e 2697 cod. civ., nonchè vizio di motivazione; ad avviso del ricorrente il tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e la messa in mora del datore di lavoro non è idoneo a configurare la risoluzione del rapporto;

7. il ricorso è infondato;

secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 24 giugno 2008 n. 17150), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto;

nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto che la risoluzione del rapporto per mutuo consenso emergesse oltre che dal notevolissimo lasso di tempo trascorso tra la cessazione dell’impugnato contratto (1 dicembre 1998) – peraltro protrattosi per un solo mese – e la prima contestazione formulata dal lavoratore solo con la notificazione della diffida a Poste Italiane in data 16 gennaio 2004, anche, e principalmente, dall’accettata conclusione, da parte del lavoratore, a far data dal 1 giugno 2000, di altro rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in qualità di impiegato d’ordine di 5^ livello alle dipendenze di una società privata, rapporto ancora in essere alla data della decisione; sulla base di tali circostanze la Corte territoriale ha affermato che la complessiva condotta posta in essere dal lavoratore integra la fattispecie del mutuo consenso alla risoluzione del rapporto con Poste Italiane, essendosi estrinsecata in una attività, procrastinata per un arco di tempo considerevole, obiettivamente incompatibile non solo con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro, ma anche con l’esistenza, sotto il profilo psicologico di uno specifico interesse a tale ripresa;

si tratta di una valutazione di merito che, in quanto coerente con il principio di diritto sopra richiamato, ed esente da vizi logici (la deduzione, in ricorso, della circostanza che il periodo di inerzia del lavoratore sarebbe inferiore – quattro anni e mezzo invece di cinque, in relazione all’assunto che vi sarebbero stati due successivi contratti a termine, l’ultimo dei quali cessato il 31 maggio 1999 – appare comunque priva di decisività nell’economia del sopra riferito percorso motivazionale della sentenza impugnata), non è censurabile in questa sede di legittimità;

il ricorso deve essere in definitiva rigettato;

in applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2500 (duemilacinquecento) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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