Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26148 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 18/10/2018), n.26148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23881/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 66,

presso lo studio dell’avvocato DANIELA CUTARELLI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LEONARDO LAVIOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 167/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di POTENZA, depositata il 07/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

l’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente S.F., per l’anno d’imposta 2005, un avviso di accertamento ai fini IRPEF con il quale determinava sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, il reddito complessivo netto nella misura di Euro 23.252 a fronte di quello dichiarato di Euro 5.845, assumendo alla base del calcolo sintetico la quota per incrementi patrimoniali di Euro 17.263 relativo ad un immobile acquistato dalla contribuente per l’esercizio della sua impresa.

La Commissione Tributaria Provinciale, in accoglimento del ricorso della contribuente, annullava l’atto impugnato.

La Commissione Tributaria Regionale della Basilicata respingeva l’appello, ritenendo che l’Ufficio, nel caso di specie, ha proceduto all’accertamento sintetico ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e del D.M. 10 settembre 1992, art. 2, senza considerare che tale normativa è riferibile esclusivamente al reddito delle persone fisiche, con l’espressa esclusione di beni e servizi riconducibili all’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Di conseguenza non può assumere alcuna rilevanza, ai fini della determinazione della capacità contributiva della contribuente, l’acquisto di un fabbricato strumentale all’attività d’impresa.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo; la contribuente ne chiedeva il rigetto costituendosi con controricorso. In prossimità dell’udienza la contribuente depositava memoria con la quale insisteva per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con l’unico motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, D.M. 10 settembre 1992, artt. 1, 2 e 3, nonchè degli artt. 2728 e 2697 c.c. e degli artt. 113 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il D.M. 10 settembre 1992, non include tra gli indici dai quali dedurre una maggior capacità contributiva del singolo gli acquisti effettuati in vista dell’esercizio di un’impresa;

ritenuto che tale motivo di ricorso è fondato in quanto questa Corte (Cass. 19 luglio 2017, n. 17806) ha già affermato che “Nell’accertamento sintetico il maggior reddito viene desunto da una spesa sostenuta, la cui rettifica si fonda su un procedimento logico a ritroso incentrato sulla presunzione secondo cui il costo è sopportato, salvo prova contraria, con il reddito del periodo d’imposta o di quelli immediatamente precedenti. Pertanto, anche in caso di incremento patrimoniale (nella specie, investimento immobiliare), la presunzione di una maggiore capacità contributiva deriva non dalla titolarità del nuovo bene, ma piuttosto dall’esborso effettuato, come confermato dal D.M. 10 settembre 1992, art. 2, comma 1, ai sensi del quale i beni e servizi rilevanti si considerano nella disponibilità della persona fisica che a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni o riceve o fa ricevere i servizi ovvero “sopporta in tutto o in parte i relativi costi”…. A tal fine non rileva la partecipazione all’atto e/o la formale intestazione dello stesso, bensì la provenienza delle somme usate per il pagamento del corrispettivo”.

Sussiste pertanto la violazione dell’art. 38 cit. denunciata laddove la CTR ha escluso la rilevanza ai fini di tale norma dell’acquisto dell’immobile in questione in quanto “bene strumentale all’attività di impresa” soltanto in considerazione della circostanza che la S. sarebbe intervenuta nel rogito stipulato per la compravendita “nella sua qualità di titolare dell’impresa individuale”, senza alcun accertamento circa la strumentalità dell’acquisto del bene nella dinamica gestionale ed economica dell’impresa.

Ritenuto pertanto che il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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