Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26148 del 03/11/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 26148 Anno 2017
Presidente: CANZIO GIOVANNI
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al N.R.G. 13017 del 2017 proposto da:
FASANO Avv. Flavio, rappresentato e difeso dall’Avvocato Carlo Malinconico, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, n. 284;

– ricorrente contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE; CONSIGLIO DISTRETTUALE DI
DISCIPLINA DEGLI AVVOCATI DI LECCE; CONSIGLIO DELL’ORDINE
DEGLI AVVOCATI DI LECCE;

– intimati –

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Data pubblicazione: 03/11/2017

avverso la sentenza n. 23/2017 del Consiglio nazionale forense, depositata il 25 marzo 2017.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Riccardo

Fuzio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Carlo Malinconico.

FATTI DI CAUSA
1. – L’Avv. Flavio Fasano, iscritto presso il Consiglio dell’ordine
degli avvocati di Lecce, veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Lecce, con sentenza in data 21 maggio 2016, alla pena della
reclusione di tre anni e tre mesi, essendo stato, quale assessore ai
lavori pubblici della Provincia di Lecce, ritenuto responsabile di turbativa d’asta e rivelazione di segreti d’ufficio, induzione in falso ideologico e falso in atto pubblico in relazione ad una gara per l’affidamento
del servizio di rimozione dei cartelloni pubblicitari abusivi e gestione
della pubblicità stradale, nonché del reato di abuso d’ufficio in relazione all’assunzione di un soggetto da parte del Comune di Parabita.
Il Consiglio distrettuale di disciplina, in considerazione
dell’intervenuta condanna, riportata in un articolo di giornale, deliberava in data 7 giugno 2016 la sospensione cautelare dell’Avv. Fasano
dall’esercizio della professione per mesi sei, rilevando che lo stesso
aveva commesso reati oggettivamente gravi e soggettivamente connessi alla qualità pubblica (assessore provinciale) oltre che di iscritto
all’ordine forense, “ed in quanto tale destinatario di ancor maggiori
obblighi di carattere etico e comportamentale”.
2. – L’Avv. Fasano proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense, riferendo di avere appellato la sentenza penale del Tribunale di
Lecce e sostenendo il venir meno dei presupposti per l’adozione della

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misura: ciò in quanto per i medesimi fatti erano stati imputati anche
altri cinque soggetti (che avevano optato per il giudizio abbreviato a
differenza di quanto egli aveva fatto), alcuni dei quali, dopo essere
stati condannati in primo grado ed in appello, erano stati assolti dalla
Corte di cassazione (con sentenza 1° giugno 2016 – 1° agosto 2016,
n. 33698) perché il fatto non sussiste (così Leopizzi, Merico, Prete, Vi-

tali), mentre la condanna di un quinto coimputato (Zampino) era stata cassata con rinvio alla Corte di Lecce per una nuova valutazione,
essendo stati riconosciuti un travisamento della prova ed un vizio di
motivazione.
3. – Il CNF, con sentenza depositata il 25 marzo 2017, ha respinto il ricorso.
Secondo il Consiglio nazionale forense, la sospensione cautelare
non costituisce sanzione disciplinare e il legislatore del nuovo ordinamento professionale (art. 60 della legge n. 247 del 2012) ne ha tipizzato i presupposti applicativi, escludendo l’esistenza di un potere discrezionale di applicazione da parte degli organi competenti al di fuori
dei casi espressamente previsti. Tra questi casi rientra la condanna anche con sentenza di primo grado, non essendo necessaria una sentenza definitiva – a pena detentiva non inferiore a tre anni.
Il CNF ha escluso che l’applicazione della misura cautelare debba
conseguire con automatismo al verificarsi del presupposto richiesto
(sentenza di condanna), e ciò non essendo venuto meno l’ulteriore
requisito (lo

strepitus fori)

che la precedente configurazione

dell’istituto (art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933) imponeva come necessariamente concorrente con l’astratta gravità dei fatti. Lo dimostra – ha affermato il CNF – il verbo “può”, che compare
nell’art. 60 della legge n. 247 del 2012. Ne deriva che l’organo disciplinare ha il potere-dovere di valutare nel concreto la sussistenza di
quella dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione che costituisce presupposto necessariamente concorrente ai fini dell’adozione

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della misura cautelare.
Tale aspetto – ha proseguito la sentenza impugnata – deve essere
valutato esclusivamente dal Consiglio distrettuale di disciplina che, in
quanto composto dai membri provenienti dalla medesima categoria
professionale dell’incolpato, è in grado di valutare la concretezza, la
rilevanza e l’attualità della lesione; laddove il sindacato del CNF può

riguardare il solo scrutinio di legittimità formale del provvedimento
dell’ente territoriale, rimanendo precluso ogni giudizio in ordine
all’opportunità ed ai presupposti fattuali della comminata sospensione.
Le considerazioni in punto di fatto del Consiglio distrettuale – osserva il CNF – “adempiono … all’obbligo motivazionale sul punto, essendosi valorizzato … il fatto che la carica (di assessore) ricoperta
dall’avvocato incidesse negativamente, essendo l’interessato notoriamente insignito di incarichi pubblici che non facevano venir meno
la visibilità e la riferibilità alla professione forense”.
4. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale forense l’Avv. Fasano ha proposto ricorso, con atto notificato il 24, il 25
e il 26 maggio 2017, sulla base di cinque motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria
illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso
proposto nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e
del Consiglio nazionale forense.
Infatti, nel giudizio di legittimità avverso le decisioni disciplinari
del Consiglio nazionale forense, come regolato dalla legge n. 247 del
2012, non assume la qualità di parte il Consiglio distrettuale di disciplina, trattandosi di soggetto che riveste una funzione amministrativa
di natura giustiziale, caratterizzata da elementi di terzietà, ma priva

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di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti all’Ordine, sicché, da
un lato, non può essere in lite con questi ultimi, pena la perdita della
sua imparzialità, e dall’altro, non è portatore di alcun interesse ad
agire o a resistere in giudizio; parimenti, il Consiglio nazionale forense, che è un giudice speciale, non può essere evocato dinanzi alle Sezioni Unite sui ricorsi avverso le sue sentenze (Cass., Sez. U., 10 lu-

glio 2017, n. 16993; Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984).
2. – Con il primo motivo (violazione dell’art. 51 del regio decretolegge n. 1578 del 1933) ci si duole che la sentenza impugnata non
abbia statuito in merito all’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare formulata dall’Avv. Fasano in sede di ricorso al CNF. Si osserva che i fatti contestati in sede penale all’Avv. Fasano che hanno dato
luogo anche all’apertura del procedimento disciplinare risalgono agli
anni 2008-2009, fino al 12 marzo 2009, laddove la delibera di apertura del procedimento disciplinare è stata adottata il 26 marzo 2014 e
notificata in data 13 maggio 2014.
2.1. – Il motivo è infondato.
Occorre premettere che la sospensione cautelare ai sensi dell’art.
60 della legge n. 247 del 2012 non è una sanzione disciplinare e la
sua applicazione nei casi previsti (e cioè quando vi sia: l’applicazione
di misure cautelari detentive o interdittive non impugnate o confermate in sede di riesame o di appello; la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione di cui all’art. 35 cod. pen., anche
se è stata disposta la sospensione condizionale della pena;
l’applicazione di misure di sicurezza detentive; la condanna in primo
grado per particolari reati; la condanna a pena detentiva non inferiore
a tre anni) prescinde dalla formale apertura del procedimento disciplinare (Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984, cit.). Ai sensi della
citata disposizione, la durata della disposta misura cautelare risente
peraltro del confronto con l’accertamento della responsabilità disciplinare, posto che la sospensione – che non può essere irrogata per un

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periodo superiore a un anno – perde efficacia qualora, nel termine di
sei mesi dalla sua applicazione, il Consiglio distrettuale di disciplina
non deliberi il provvedimento sanzionatorio, ovvero deliberi non esservi luogo a provvedimento disciplinare, ovvero disponga
l’irrogazione dell’avvertimento o della censura.

quale fa decorrere il termine quinquennale previsto dall’art. 51 del
regio decreto-legge n. 1578 del 1933 dalla commissione dei fatti penalmente rilevanti, con la conseguenza che, risalendo essi ad un periodo di tempo anteriore al 12 marzo 2009, al momento della delibera
di apertura del procedimento disciplinare, adottata soltanto in data 26
marzo 2014 e notificata il successivo 13 maggio, la prescrizione sarebbe maturata.
La censura non tiene conto, infatti, del rilievo che nella specie il
procedimento disciplinare a carico dell’Avv. Fasano riguarda fatti costituenti reato per i quali è stata esercitata azione penale.
Ora, agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare di cui
all’art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, occorre distinguere il caso, previsto dall’art. 38, in cui il procedimento disciplinare
tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino
esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’art. 44, in cui il procedimento disciplinare
abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare è collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto; nel secondo, invece, l’azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo
stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura
obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il

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D’altra parte, è errata la premessa da cui muove il ricorrente, il

presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno
alla condotta (Cass., Sez. U., 9 maggio 2011, n. 10071). In altri termini, qualora il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato ri-

l’azione penale, la prescrizione dell’azione disciplinare decorre soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza penale, anche se il giudizio disciplinare non sia stato nel frattempo sospeso, ciò potendo incidere sulla validità dei suoi atti, ma non sul termine iniziale della prescrizione (Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11367).
3. – Con il secondo mezzo (violazione degli artt. 11, primo comma, delle preleggi, e 65 della legge n. 247 del 2012, nonché erronea
applicazione dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012 anziché della
norma di cui all’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933) il ricorrente censura che la sentenza impugnata abbia applicato retroattivamente all’incolpato la disposizione meno favorevole di cui all’art. 60
della legge n. 247 del 2012, che ha inserito l’ipotesi della sospensione
nel caso di sopravvenuta condanna a pena detentiva non inferiore a
tre anni (norma entrata in vigore in epoca successiva all’apertura del
procedimento disciplinare, avvenuta il 26 marzo 2014) al posto della
precedente disposizione di cui all’art. 43 del regio decreto-legge n.
1578 del 1933, che ancorava la misura al presupposto dello strepitus

fori, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento cautelare.
3.1. – La censura è infondata.
La nuova legge professionale è entrata in vigore, con riguardo alla
sospensione cautelare, il 10 gennaio 2015, allorquando è divenuto vigente il regolamento del CNF 21 febbraio 2014, n. 2, secondo la previsione contenuta nell’art. 39 di esso (Cass., Sez. U., 26 settembre
2017, n. 22358).

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guardi un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata

E poiché nella specie la sospensione cautelare è stata disposta dal

Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce in data 7 giugno 2016, correttamente è stata fatta applicazione dell’art. 60 della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, di cui alla legge n. 247
del 2012.

secondo cui si sarebbe avuta una applicazione retroattiva della nuova
disciplina ad un’ipotesi invece regolata dall’art. 43 del regio decretolegge n. 1578 del 1933.
4. – Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 38 e 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, difetto di presupposto per
l’adozione della misura cautelare, mancanza di collegamento del presunto illecito con l’attività professionale e mancanza dello strepitus

fori; omesso esame circa un fatto decisivo. Avrebbe errato la decisione impugnata a non considerare che la lesione all’immagine
dell’Avvocatura leccese e il clamore nnediatico connesso, di fatto, non
esistevano più al momento della deliberazione della misura sospensiva: ciò in quanto la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio o
con rinvio la sentenza di condanna a carico dei coimputati dell’Avv.
Fasano (giudicati separatamente avendo optato per la definizione con
il rito abbreviato) e la stampa locale ha commentato la notizia prefigurando un esito favorevole anche per l’impugnazione proposta
dall’Avv. Fasano.
4.1. – La doglianza è priva di fondamento.
Il CNF ha confermato la delibera del Consiglio distrettuale di disciplina, mettendo in rilievo che la sospensione cautelare è stata applicata – con deliberazione del 7 giugno 2016 a fronte di una sentenza
di condanna alla pena della reclusione per tre anni e tre mesi pronunciata dal Tribunale di Lecce il 21 maggio 2016 – al ricorrere di
un’ipotesi espressamente prevista dal legislatore (la condanna a pena
detentiva non inferiore a tre anni) e in presenza dell’ulteriore presup-

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Non è pertanto condivisibile l’assunto dal quale muove la censura,

posto dello strepitus fori, quale effetto concreto ed attuale della condanna penale del professionista, motivato dal Consiglio distrettuale di
disciplina in considerazione dell’oggettiva gravità dei reati commessi
nell’esercizio della carica pubblica di assessore provinciale, ma con ricadute sull’immagine di avvocato iscritto all’ordine professionale e
sull’intero ceto forense.

Il motivo di ricorso, ancorché formalmente prospetti la violazione
e la falsa applicazione di norme di legge, in realtà sollecita un rinnovato scrutinio di merito in ordine ai presupposti di fatto della disposta
sospensione cautelare, pretendendo, anche in questa sede, di far derivare automaticamente da sentenze penali rese nei confronti degli altri coimputati ora un giudizio prognostico a sé favorevole in ordine alla sorte del giudizio di appello pendente contro la sentenza di condanna, ora un ridimensionamento dell’effetto mediatico negativo
dell’immagine del ricorrente.
D’altra parte, correttamente il CNF, nell’escludere la attuale rilevanza delle vicende riguardanti i coimputati, ha evidenziato che
l’esito dell’appello proposto dall’Avv. Fasano in sede penale – ove favorevole all’interessato – sarebbe da apprezzare come circostanza
sopravvenuta suscettibile di determinare, non l’illegittimità ab origine
della sospensione cautelare, ma la revoca della misura o la modifica
della sua durata: posto che, ai sensi dell’art. 60, comma 5, della legge n. 247 del 2012, la sospensione cautelare può essere revocata o
modificata nella sua durata, d’ufficio o su istanza di parte, qualora,
anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti
commessi.
A ciò deve aggiungersi che l’ipotizzata attenuazione – già al momento dell’adozione dell’impugnata delibera – del clamore mediatico
in relazione alla specifica posizione dell’Avv. Fasano (per effetto
dell’annullamento, in cassazione, della sentenza di condanna emessa
nei confronti degli altri coimputati), è prospettata dal ricorrente gene-

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L

ricamente, senza l’osservanza della prescrizione dell’art. 366, n. 6,
cod. proc. civ. Infatti, nel motivo di ricorso si richiama l’ampia copertura mediatica data alla … sentenza di assoluzione”, ma non si indicano, con la necessaria puntualità richiesta dalla citata disposizione del
codice di rito, quali sarebbero gli elementi di fatto, assuntivamente

revoli prefigurate dai media locali con riguardo alla posizione dell’Avv.
Fasano. Il ricorrente asserisce che “il dispositivo [della sentenza della
Corte di cassazione] era già stato ampiamente commentato nei media
locali, ed era stato anche preventivato un esito necessariamente favorevole anche per l’Avv. Fasano”, ma non indica specificamente le
risultanze processuali dalle quali emergerebbe, agli effetti
dell’attenuazione dello strepitus fori, siffatta prognosi, né, tanto meno, riporta il relativo contenuto.
5. – Il quarto motivo (violazione dell’art. 60 della legge n. 247 del
2012; violazione del principio ne bis in idem) censura che il CNF abbia
ritenuto che una condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni,
anche quando non ancora definitiva, legittimi l’applicazione della sospensione cautelare. In ogni caso, l’applicazione della misura sarebbe
illegittima, non essendo ammissibile la ripetizione di una nuova misura cautelare dopo che quella precedentemente disposta (il 26 giugno
2010) era stata revocata (il 21 luglio 2010) a seguito della revoca (il
19 luglio 2010) della misura cautelare disposta dal GIP.
5.1. – Il motivo è infondato.
Sotto il primo profilo, l’interpretazione sistematica e la

ratio

dell’art. 60, comma 1, della legge n. 247 del 2012 inducono a ritenere che la «condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni» che
giustifica l’applicazione della sospensione cautelare è la condanna in
primo grado, non essendo richiesta l’irrevocabilità della sentenza.
Per un verso, infatti, il citato art. 60, comma 1, indica, tra i casi
nei quali la misura può essere deliberata dal consiglio distrettuale di

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trascurati dal Consiglio nazionale forense, relativi alle ricadute favo-

disciplina competente per il procedimento, la «condanna in primo
grado per i reati previsti negli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640 e
646 del codice penale, se commessi nell’ambito dell’esercizio della
professione, 244, 648-bis e 648-ter del medesimo codice» e
l’irrogazione, «con la sentenza penale di primo grado», della «pena

sposta la sospensione condizionale della pena».
Da tale disposizione si ricava quindi che il legislatore mostra di
considerare la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado
in tutti i casi condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione della misura: per taluni reati a prescindere dall’entità della pena, e per
tutti gli altri solo quando è stata irrogata la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione (art. 35 cod. pen.), anche se
vi sia la sospensione condizionale della pena, ovvero in presenza di
una condanna non inferiore a tre anni. La mancanza, nella ipotesi che
qui viene in considerazione della condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, della espressa specificazione «in primo grado» o «di
primo grado», non esprime, dunque, un significato nel senso della
necessità del passaggio in giudicato della pronuncia.
Questa interpretazione è l’unica coerente con la ratio della norma,
che è quella di prevedere l’applicazione di una misura cautelare con
un provvedimento amministrativo non giurisdizionale a carattere
provvisorio ed urgente in ipotesi tipiche di accertata rilevante gravità.
Ove dovesse essere applicata solo in esito ad un accertamento definitivo e irretrattabile della responsabilità penale, la sospensione cautelare sarebbe priva di qualsiasi effetto concreto, divenendo un’inutile
duplicazione della sanzione disciplinare, e non assolverebbe alla funzione di tutela dell’immagine della categoria professionale degli avvocati proprio nel momento dello strepitus fori, e quindi all’atto del verificarsi della lesione.
Quanto poi al censurato ricorso ripetuto alla misura cautelare, non

accessoria di cui all’articolo 35 del codice penale, anche se è stata di-

è fondata l’invocazione del principio del ne bis in idem.
Infatti, la pronuncia di sentenza di condanna a pena detentiva
non inferiore a tre anni all’esito del vaglio dibattimentale garantito dal
pieno contraddittorio delle parti integra non solo ipotesi tipica che
giustifica, ai sensi dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012,
l’applicazione della misura, ma costituisce di per se stessa fatto nuo-

vo, idoneo a giustificare la nuova emissione del provvedimento cautelare, una volta che la precedente sospensione cautelare, disposta ai
sensi dell’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 a seguito
dell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale
dell’Avv. Fasano nella forma degli arresti domiciliari, era stata revocata, dopo qualche settimana, in conseguenza della revoca della misura
cautelare.
Né nella specie – sia detto per completezza – si pone, per effetto
della consecuzione delle misure, un problema di superamento della
durata massima della sospensione cautelare, introdotta dalla nuova
legge professionale. La nuova misura è stata infatti deliberata per la
durata di sei mesi, i quali, cumulati con i ventisei giorni del precedente periodo di sospensione (dal 26 giugno 2010 al 21 luglio 2010),
rientrano ampiamente nel tetto massimo di un anno, previsto dall’art.
60, comma 2, della legge n. 247 del 2012.
6. – Con il quinto mezzo (violazione dell’art. 653, comma

1-bis,

cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 97 del 2001, in combinato disposto con l’art. 295 cod. proc. civ.; applicazione irretroattiva
dell’art. 54 della legge n. 247 del 2012; illegittima riapertura del procedimento disciplinare su fatti identici a quelli oggetto di accertamento penale; mancata pronuncia sull’inammissibilità/improcedibilità della riapertura del procedimento disciplinare a carico del ricorrente) il
ricorrente rileva che sarebbe inammissibile o improcedibile la riapertura del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, in quanto il
Consiglio distrettuale di disciplina, vertendo il procedimento discipli-

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L.

nare sugli stessi fatti posti a carico del procedimento penale, avrebbe
dovuto sospendere il procedimento disciplinare, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza resa in ambito penale.
6.1. – La censura è inammissibile.
Va ribadito che la sospensione cautelare non è né un provvedi-

le suscettibile di applicazione soltanto dopo il procedimento disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare di natura
amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio, che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare
(Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984, cit.).
Le disposizioni la cui violazione è denunciata non sono pertinenti
rispetto al thema decidendum. Esse, infatti, riguardano l’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare, il rapporto del procedimento disciplinare con il processo penale, la sospensione necessaria
del processo per pregiudizialità-dipendenza, laddove la vicenda
all’esame delle Sezioni Unite concerne esclusivamente il diverso tema
della legittimità o meno dell’adozione della misura della sospensione
cautelare, tema, quest’ultimo destinato a non essere influenzato da
questioni relative alla ammissibilità della riapertura del procedimento
disciplinare o alla necessità della sua sospensione fino al passaggio in
giudicato della sentenza penale.
7. – Il ricorso, inammissibile nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense, è rigettato
nei confronti degli altri intimati.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo nessuno degli
intimati svolto attività difensiva in questa sede.
8. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile e rigettato, sussistono le
condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge
n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del te-

– 13 –

mento giurisdizionale, né una forma di sanzione disciplinare, come ta-

sto unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione.
P.Q.M.

glio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense
e lo rigetta nei confronti degli altri contraddittori; dichiara – ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 – la sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 24 ottobre
2017.
Il Consigliere estensore

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Consi-

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