Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26145 del 21/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26145 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 20248-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2909

contro

TIRABASSI MARISA C.F. TRBNRS59R63A462C, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 21/11/2013

difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

8089/2006

D’APPELLO di ROMA, depositata

della CORTE

il 23/07/2007

R.G.N.

3255/2005;

udienza del 17/10/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

20248.08

Udienza 17 ottobre 2013

Pres. P. Stile
Rei. V. Di Cerbo

Sentenza

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro — protrattosi dal 14 marzo
2000 al 30 giugno 2000 – stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Marisa Tirabassi.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la
lavoratrice ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte di merito ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto di
lavoro in esame avendo attribuito rilievo decisivo alla considerazione che tale
contratto è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l.
26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 -, in
data successiva al 30 aprile 1998.

5.

Con i primi due motivi la società ricorrente censura (denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod. civ. in
relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre norme collettive, nonché
vizio di motivazione) la statuizione concernente l’illegittimità del termine.

6.

Le suddette censure sono infondate e devono essere pertanto rigettate. Ed infatti,
sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle
parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed
efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive
di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006
n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi,
una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne

3

La Corte

della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato
(cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale
quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle
parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le
altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio
2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e
come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali,
con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di
attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione
degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge
18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28
novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.).
7.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

8.

Prima di esaminare il terzo (e ultimo) motivo di ricorso, concernente la statuizione sul
risarcimento del danno, occorre premettere che, per quanto concerne le conseguenze
economiche derivanti dalla dichiarazione di illegittimità della clausola appositiva del
termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in
vigore dal 24 novembre 2010.

9.

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547,
Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di
ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina
sua propria. Ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la
necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione
presuppone che vi siano motivi di ricorso che investano specificatamente le
conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano
ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato proposto
avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del
d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della

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sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano

legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di

10. Con il citato terzo motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217
e 1233 cod. civ., lamenta, in buona sostanza, la violazione dei principi in tema di mora
accipiendi e l’omessa valutazione dell’aliunde perceptum anche con riferimento
all’onere della prova. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366
bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis alla fattispecie: per il principio della
corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale
dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha diritto al pagamento delle
retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito
in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.
11. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007
n. 36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente
riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito
generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come
nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
12. Il ricorso deve essere in definitiva respinto.
13. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013.

assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto
pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali
conseguenze.

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