Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26142 del 21/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26142 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 4398-2009 proposto da:
SALVIULO

GIUSEPPE

SLVGPP52E28B173N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA AURELIA 190, presso lo studio
dell’avvocato TESTA CESARE, rappresentato e difeso
dall’avvocato SANTANGELO VINCENZO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
2737

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i

Data pubblicazione: 21/11/2013

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,
12;

– controricorrente
avverso la sentenza n.

1129/2008 della CORTE D’APPELLO

di POTENZA, depositata il 18/11/2008,

R.G.N. 812/2007;

udienza del

01/10/2013

dal Consigliere Dott. UMBERTO

BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con sentenza del 30/10 — 18/11/2008 la Corte d’appello di Potenza ha accolto
l’impugnazione proposta dall’Università degli studi della Basilicata avverso la
sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Potenza, che l’aveva condannata

rigettato la domanda di quest’ultimo, compensando le spese del doppio grado del
giudizio.
Nel pervenire a tale decisione la Corte territoriale ha spiegato che il compenso
vantato dal Salviulo per gli adempimenti di tipo contabile e fiscale attuati a
corollario della prestazione di cui alle convenzioni di ricerca stipulate
dall’Università lucana con enti pubblici e privati non era riconducibile alla
previsione legale di collaborazione di cui all’art. 66, ultimo comma, del d.p.r. n.
382/1980, in quanto i relativi proventi costituivano delle entrate per il bilancio
dell’ateneo e la loro contabilizzazione era ricompresa nelle attività istituzionali
svolte dal lavoratore quale responsabile dell’ufficio fiscale dello stesso, per cui la
prestazione indicata da quest’ultimo a supporto della domanda non poteva
considerarsi come ulteriore attività svolta in esecuzione di un diverso contratto.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Salviulo Giuseppe, il quale
affida l’impugnazione a tre motivi di censura.
Resiste con controricorso l’Università intimata.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 66 del
d.p.r n. 382/80 e dell’art. 12 delle disposizioni di legge in generale, il ricorrente
sostiene che la Corte d’appello ha eseguito un’interpretazione restrittiva della
norma in esame, il cui significato letterale non può ingenerare dubbi sul fatto che il
personale che collabora alle prestazioni di ricerca e consulenza oggetto di
contratto o convenzione con enti pubblici e privati ha diritto al relativo compenso a
prescindere dal tipo di collaborazione svolta, essendo sufficiente che l’attività sia
resa in nesso di causalità coi fini della convenzione.

al pagamento in favore di Salviulo Giuseppe della somma di € 26.202,86, ed ha

2. Col secondo motivo, proposto per omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente ritiene
che dalla prova testimoniale era emerso, contrariamente a quanto affermato dai
giudici d’appello, che le attività indicate in sentenza come quelle da lui svolte in via

qualifica.
3. Col terzo motivo, formulato per vizio della motivazione e per violazione dell’art.
1362 cod. civ., il ricorrente sostiene che costituisce solo una deduzione erronea
della Corte quella di affermare che l’attività da compensare ai sensi della citata
norma debba essere diversa per natura, impegno e fonte rispetto a quella oggetto
del contratto di lavoro subordinato, laddove tali precetti non sono contenuti nel
Regolamento dell’Ateneo.
Osserva la Corte che i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente per
ragioni di connessione in quanto investono la stessa questione del riconoscimento
del diritto alla remunerazione per l’attività di cui trattasi.
Ebbene tali motivi sono infondati.
Si osserva, infatti, che l’interpretazione della norma di cui all’art. 66 del d.p.r. n.
382 del 1980, così come eseguita dalla Corte territoriale, non presta il fianco a
particolari rilievi essendo chiaro il significato letterale delle disposizioni adoperate
dal legislatore ben recepito dai giudici del merito, mentre la vera questione,
esattamente affrontata dalla Corte d’appello, è quella che sorge dalla necessità di
verificare se l’attività per la quale il ricorrente aveva chiesto il relativo compenso
rientrava o meno nella collaborazione alla convenzione ai fini dell’accertamento
della sua remunerazione ai sensi della citata norma.
In effetti, la norma richiamata di cui all’art. 66 del d.p.r. n. 382/1980, dopo aver
previsto che le Università possono eseguire attività di ricerca e consulenza
mediante contratti e convenzioni con enti pubblici, stabilisce che i proventi delle
relative prestazioni sono ripartiti secondo un regolamento approvato dal Consiglio

istituzionale non entravano, invece, a far parte delle mansioni tipiche della sua

di amministrazione dell’Università e che il personale docente e non docente che
collabora a tali prestazioni può essere ricompensato fino ad una somma annua
totale non superiore al 30 per cento della retribuzione complessiva, senza che la
somma così erogata possa superare il 50 per cento dei proventi globali delle

costituiscono entrate del bilancio dell’Università.
Tuttavia, nella fattispecie in esame la Corte di merito, attraverso un’indagine di
fatto congruamente motivata ed immune da rilievi di tipo logico-giuridico, è
pervenuta al convincimento che l’attività in questione era stata svolta durante
l’orario di lavoro e, pur essendo nuova, non era ultronea rispetto alle competenze
maturate per il servizio espletato dal Salviulo.
A tal riguardo la Corte ha, infatti spiegato che dalla deposizione del teste Calace si
era appreso che per l’attività in conto terzi veniva impiegata in media ogni giorno
circa un’ora e mezzo di lavoro da ognuno degli addetti all’ufficio, per cui ciò
confermava che l’attività in esame confluiva nell’esecuzione dei compiti affidati, dai
quali non era, perciò, separabile. In sostanza, secondo i giudici d’appello le attività
contabili e fiscali svolte dal Salviulo costituivano un adempimento collegato ad
un’entrata di bilancio di fonte privata, cioè la convenzione di cui trattasi, ma la
diversa natura dell’entrata, inserita nel bilancio universitario, non mutava quella
dell’adempimento amministrativo, per cui il ricorrente non partecipava all’attività
convenzionata ma contabilizzava i proventi della stessa, svolgendo, in tal modo, la
sua attività istituzionale di responsabile dell’ufficio fiscale dell’Università.
Ne discende che non è condivisibile, sul piano logico, la tesi sostenuta dalla difesa
del ricorrente a sostegno della domanda, dal momento che correttamente la Corte
di merito ha ritenuto che il Salviulo non poteva essere compensato nuovamente
per il compito da lui svolto per il solo fatto che i proventi da lui contabilizzati
afferivano ad una attività oggetto di una convenzione esterna ma che, comunque,
entravano a far parte del bilancio dell’ateneo.

3
41,

prestazioni, precisando, infine, che i proventi derivati dalla suddetta attività

Né, tanto meno, può condividersi la mera contrapposizione della tesi difensiva del
ricorrente alla motivazione dell’impugnata sentenza in ordine all’interpretazione
giudiziale del materiale istruttorio raccolto in giudizio.
Infatti, si è già avuto modo di statuire che “in tema di giudizio di cassazione, la

giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le
prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il
vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario
un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione
giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se
fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza.
Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a
fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto
decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare,
con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle
altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi”
venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il
motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie
tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee
ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o

deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al

vizi logici determinanti).” (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v.
anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04)
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 1° ottobre 2013
Il Consigliere estensore

liquidate come da dispositivo.

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