Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26142 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 16/10/2019), n.26142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24752/2017 R.G. proposto da:

Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l., quale incorporante

Idroenergia s.cons.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio n. 43,

presso lo studio dell’avv. Paolo Puri e dell’avv. Alberto Mula, che

la rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 1266/09/17, depositata il 22/03/2017;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 aprile 2019

dal Cons. Nonno Giacomo Maria;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Renzis Luisa, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Udito l’avv. Alberto Mula per la ricorrente e l’avv. Francesca

Subrani per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1266/09/17 del 22/03/2017, la CTR della Lombardia (hinc CTR) accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 500/01/15 della CTP di Pavia (hinc CTP), che aveva, a sua volta, accolto l’impugnazione di Idroenergia s.cons.r.l. nei confronti dell’avviso di pagamento per accise non corrisposte per l’anno 2009.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) l’avviso di pagamento riguardava l’energia elettrica prodotta e ceduta alle società consorziate, energia andata esente da accise, con conseguente recupero di queste ultime; b) la CTP accoglieva il ricorso proposto da Idroenergia s.cons.r.l.; c) avverso la sentenza della CTP, l’Agenzia delle dogane proponeva appello.

1.2. La CTR motivava l’accoglimento dell’appello evidenziando che: a) la definizione di autoproduttore di cui al D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 2, comma 2 (cd. decreto Bersani), con cui è stata recepita la direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, fa riferimento ad una definizione di autoproduttore che non si applica ai fini del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA) e, dunque, ai soggetti di cui al TUA, art. 53, comma 3, lett. b), trattandosi quest’ultima di norma speciale; b) la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, si riferisce esclusivamente alle sanzioni e agli interessi, atteso che il cambio di interpretazione non fa venir meno l’originaria obbligazione tributaria; c) l’Ufficio non è decaduto dall’accertamento avendo notificato l’atto impositivo entro il 31/12/2014, a nulla rilevando che l’atto sia pervenuto al destinatario in data 02/01/2015.

2. Avverso la sentenza della CTR Idroenergia s.cons.r.l., poi incorporata in Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l. (hinc COVAT), proponeva ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.

3. L’Agenzia delle dogane resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso, appare utile una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA) conseguenti alla attuazione, con D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 01/06/2007, della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. I testi normativi che si vanno ad esaminare non hanno subito modifiche rilevanti in questa sede ad opera del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44.

1.1. Ai sensi del TUA, art. 52, comma 1, “l’energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio”.

1.2. Obbligati al pagamento dell’accisa sono, tra gli altri, anche “gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio” (TUA, art. 53, comma 1, lett. b)), purchè non esclusi dal pagamento dell’imposta ai sensi del TUA, art. 52, comma 2. E, per quanto interessa in questa sede, non è sottoposta ad accisa solo l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW” (TUA, art. 52, comma 2, lett. a)).

1.3. L’officina di produzione è “costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati di accumulazione, trasformazione e distribuzione sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi” (TUA, art. 54, comma 1).

1.4. I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, “hanno l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (…)” (TUA, art. 53, comma 4). A seguito della denuncia, l’Ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (TUA, art. 53, comma 7) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, “una dichiarazione di consumo annuale, contenente, (…), tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonchè l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione” (TUA, art. 53, commi 8 e 9).

1.5. Ai sensi del TUA, art. 55, comma 1, l’accertamento e la liquidazione dell’accisa sono effettuati proprio sulla base della menzionata dichiarazione di consumo annuale, mentre “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo”, salva la sussistenza di fatti illeciti (TUA, art. 57, comma 2).

1.6. Infine, ai sensi del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), è esentata da accise l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

1.7. La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 10, comma 6, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: “Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall’applicazione delle addizionali erariali (…)”. Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 28, comma 1, che, peraltro, estende all’imposta erariale di consumo di cui al TUA, art. 52, “tutte le agevolazioni previste, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, per l’addizionale erariale sull’energia elettrica” (L. n. 388 del 2000, art. 28, comma 3), con disposizione poi assorbita dalla nuova formulazione del TUA, art. 52, conseguente alla novella di cui al D.Lgs. n. 26 del 2007.

1.8. Va, infine, ricordato che, il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

2. Dalla lettura coordinata delle superiori disposizioni si evince che, ai fini della presente controversia, tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo.

2.1. Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dal D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al settanta per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

2.2. Invero, sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.

2.3. Ciò premesso, appare opportuno esaminare preliminarmente i motivi primo, secondo e settimo, che presuppongono l’applicazione delle disposizioni sopra menzionate.

3. Con il primo motivo di ricorso COVAT deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che la sentenza della CTR sarebbe a tal punto illogica ed incomprensibile da non lasciare trasparire una valutazione dei termini essenziali della controversia, soprattutto con riferimento alla negata applicabilità della definizione di autoproduttore di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, anche alla disciplina delle accise.

4. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e degli artt. 2602 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la nozione di autoproduttore va correttamente ricavata dal cd. decreto Bersani, non facendovi il Testo unico accise alcun riferimento.

5. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

5.1. Secondo la CTR, che ha previamente passato in rassegna il contenuto delle disposizioni applicabili, il decreto Bersani ha lo scopo di conseguire un mercato dell’energia elettrica concorrenziale in linea con la direttiva n. 96/92/CE, che dallo stesso viene recepita. Nel testo di legge non viene fatto alcun riferimento alla disciplina tributaria delle accise, sicchè deve ritenersi che il concetto di autoproduttore di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, “non si riferisce ad un soggetto di cui al TUA, art. 2, comma 3, lett. b), perchè quest’ultima è una norma speciale e quindi una norma generale quale il decreto Bersani deve intervenire in modo diretto e preciso”.

5.2. Trattasi di motivazione sicuramente concisa, ma niente affatto apparente o intrinsecamente contraddittoria, atteso che la sentenza, seguendo un percorso motivazione logico, chiarisce che: a) il decreto Bersani è stato emesso per il perseguimento degli scopi, propri della direttiva n. 96/92/CE, di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica; b) tali scopi non si intersecano con quelli tributari che vengono in considerazione con il Testo unico accise; c) il TUA, art. 52, comma 3, lett. b), è una norma speciale che si applica indipendentemente dalla disposizioni generali contenute nel decreto Bersani.

5.2.1. Di qui la palese infondatezza del primo motivo di ricorso.

5.3. Per il resto, la decisione della CTR si rivela corretta, anche se il percorso motivazionale seguito va corretto ed integrato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

5.4. Come già anticipato ai p.p. 2 ss., la nozione di autoproduzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione. Valgano le seguenti considerazioni:

a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale;

b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la direttiva n. 96/92/CE sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica mentre il Testo unico accise, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del Testo unico accise;

c) l’esenzione prevista dal TUA, art. 52, comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, Cass. n. 8293 del 09/04/2014; Cass. n. 23529 del 12/09/2008), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa;

d) la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni IVA spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. n. 24320 del 04/10/2018; Cass. n. 3166 del 09/02/2018; Cass. n. 18437 del 26/07/2017) segue uno schema differente, in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio; nel caso dell’autoproduzione, invece, è la società consortile a svolgere, legittimamente (cfr. Cass. S.U. n. 12190 del 14/06/2016), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: laddove lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma quello di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.

5.5. A ciò si, aggiunge che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, applicabile solo con riferimento all’anno d’imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che “il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

5.5.1. La menzionata disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte del decreto Bersani, art. 2, comma 2, includendo, pertanto, nell’esenzione i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

5.5.2. Tale innovazione offre un ulteriore spunto argomentativo per confermare la tesi più sopra sostenuta: la estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui al D.L. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.

5.6. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati”.

5.7. Poichè, nella fattispecie, non è in contestazione che si chieda l’esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta da COVAT in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all’energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto non può che essere rigettato.

6. Con il settimo motivo di ricorso, da esaminare in via preliminare, la ricorrente deduce la violazione del TUA, artt. 15 e 57 e dell’art. 2943 c.c., comma 1, n. 3, evidenziando che il diritto di credito per accise si prescrive in cinque anni dal consumo e che l’atto impositivo è stato ricevuto dalla incorporata di COVAT solo in data 02/01/2015 e, dunque, tardivamente con riferimento all’anno d’imposta 2009.

7. Il motivo è infondato.

7.1. Secondo un recente arresto della S.C., cui in questa sede si intende dare continuità, “il termine quinquennale di prescrizione che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 57, comma 3, decorre dalla “data in cui è avvenuto il consumo”, va riferito alla data di presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente-fabbricante, responsabile dell’attuazione del tributo, assumendo rilievo il momento in cui l’Ufficio è posto nelle condizioni di verificare l’adempimento degli obblighi di cui al cit. D.Lgs., art. 55, comma 1″.

7.2. Il superiore principio di diritto, sebbene faccia riferimento a disposizioni del Testo unico accise nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, è sicuramente applicabile anche a seguito della novella, non essendo sostanzialmente mutato il contesto normativo.

7.3. Il TUA, art. 57, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, ricollega il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta, determinato in cinque anni, alla data in cui è avvenuto il consumo, salva la presenza di illeciti penali o amministrativi. Tuttavia, il credito per accisa implica specifici adempimenti del contribuente, obbligatori per legge, rispetto ai quali l’intervento dell’Amministrazione doganale risulta solo eventuale: le attività di accertamento necessarie, anche sul piano cronologico, sono, in realtà, demandate al contribuente-produttore, che assume la responsabilità dell’attuazione del tributo.

7.3.1. Ne deriva che l’azione successiva dell’Amministrazione si caratterizza come controllo di quanto il contribuente ha realizzato: l’atto di accertamento ha ad oggetto i fatti imponibili non direttamente ma attraverso una attività secondaria, propria del contribuente-produttore, che ha, in concreto, quale obbiettivo gli atti posti in essere (od omessi) dal contribuente medesimo.

7.3.2. In questo contesto, la “data in cui è avvenuto il consumo” si identifica, in termini univoci, in quella in cui è possibile verificare che il contribuente-produttore abbia adempiuto agli obblighi di legge e, dunque, coincide con quella di presentazione della dichiarazione annuale di cui al TUA, art. 55, comma 1, da effettuare entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui il consumo si riferisce.

7.4. Nel caso di specie, pertanto, in assenza di precisazione della data in cui è stata presentata la dichiarazione annuale, è solo dalla data fissata per la presentazione di detta dichiarazione (e, dunque, dal 31/03/2010) che decorre il termine di prescrizione; con la conseguenza che la notificazione dell’avviso di accertamento, pacificamente intervenuta per la società contribuente in data 02/01/2015, deve ritenersi comunque tempestiva, indipendentemente da ogni questione che coinvolga la cd. scissione soggettiva degli effetti della notificazione (in proposito, si rimanda a Cass. S.U. n. 24822 del 09/12/2015), con conseguente infondatezza della censura.

8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che l’Amministrazione doganale ha cambiato il proprio orientamento, avendo già riconosciuto in passato alla società contribuente la qualifica di autoproduttore e il relativo regime di esenzione, con conseguente buona fede di COVAT nel ritenere dovuta l’esenzione; pertanto, una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata del principio dell’affidamento, deve condurre ad un annullamento della pretesa e non solo delle sanzioni e degli interessi, se del caso previa remissione della questione alla Corte costituzionale o rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

9. Il motivo è infondato.

9.1. Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).

9.1.1. E’ stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2” (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).

9.1.2. Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione).

9.1.3. E’ vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni).

9.1.4. Tuttavia, come chiarito da Cass. n. 25299 del 20/11/2013, dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10, sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”. Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Cass. n. 17576 del 2002, citata anche dalla difesa di COVAT).

9.1.5. Situazioni siffatte, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. sempre Cass. n. 25299 del 2013, cit.).

9.2. Venendo, in particolare, al caso di specie, la società contribuente afferma che in svariati atti dell’Amministrazione finanziaria è stata riconosciuta a COVAT la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall’obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione.

9.2.1. Si tratta, peraltro, di valutazioni che l’Amministrazione doganale ha assunto in conseguenza della determinazione del deposito cauzionale (Ufficio tecnico di finanza di Torino del 02/06/2000; Ufficio delle dogane di Aosta del 17/04/2009) ovvero in sede di accertamento ispettivo (Ufficio delle dogane di Aosta del 02/11/2004), atti che già rientrano a pieno regime nella formulazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.

9.2.2. Nè può darsi specifica rilevanza ad altri provvedimenti che nulla dicono in relazione alla questione di cui si discute (Direzione Regionale per il Veneto del 31/08/2004) ovvero si limitano a riconoscere a COVAT la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell’imposta erariale sul consumo (Ufficio delle dogane di Como del 08/11/2004; Direzione Centrale, Area Gestione Tributi del 04/10/2005; Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 21/06/2005), senza specificare se, ai fini dell’esenzione, l’energia autoprodotta deve essere autoconsumata ovvero può anche essere ceduta ai soci consorziati (questione dirimente, come più sopra evidenziato).

9.3. Le conclusioni della CTR sono, dunque, conformi a diritto, spettando alla società contribuente, in ragione del legittimo affidamento specificamente tutelato dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, unicamente l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, puntualmente riconosciuta.

9.4. La norma così interpretata non è incostituzionale, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

9.5. Nè sembra possibile dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).

9.5.1. Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. E, in proposito, la valutazione della CTR, che ha fatto rientrare la tutela di COVAT nell’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, è pienamente coerente con il formante giurisprudenziale interno, a sua volta rispettoso dei principi evincibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE.

9.6. Ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di sanzioni ed interessi.

10. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR omesso di pronunciarsi sull’applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 11.

10.1. In buona sostanza, si sostiene che l’Amministrazione finanziaria, rispondendo a istanze della società incorporata in COVAT integranti, di diritto o di fatto, gli estremi dell’interpello avrebbe riconosciuto l’esenzione dall’accisa in capo alla ricorrente, con il conseguente effetto preclusivo previsto dalla richiamata disposizione dello Statuto dei diritti del contribuente.

11. Con il quinto ed il sesto motivo si deduce sostanzialmente la medesima questione sotto il profilo dell’omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

12. I motivi, complessivamente esaminati, sono infondati.

12.1. E’ vero che la CTR non ha pronunciato in ordine al motivo di gravame proposto da COVAT, tuttavia è noto che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (così Cass. n. 21968 del 28/10/2015; conf. Cass. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 21257 del 08/10/2014).

12.2. Orbene, va evidenziato che nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che hanno riconosciuto all’allora Idroenergia s.cons.r.l. la qualifica di soggetto esente da accisa, sono stati resi all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dalla L. n. 212 del 2000, art. 11.

12.2.1. Invero, l’interpello del 21/06/2005 è stato ritenuto inammissibile dall’Amministrazione doganale, sicchè ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’Amministrazione medesima. Gli altri atti, invece, non sono stati emessi a seguito di regolare procedura di interpello, procedura che sola può determinare l’effetto vincolante previsto dalla citata disposizione di legge.

12.2.2. Del resto, l’efficacia della risoluzione o della circolare che segue l’interpello “vincola l’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 3, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza o, al più, con riguardo ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello” (Cass.’n. 735 del 13/01/2017).

12.2.3. Nel caso di specie, si tratta di accise (e non di addizionali provinciali) relative all’anno 2009, successivo, pertanto, all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 26 del 2007, che ha comportato una integrale rivisitazione della materia; con riferimento a tale anno nessuna istanza di interpello risulta presentata all’Amministrazione doganale; nè il provvedimento del 17/04/2009, che ha esentato Idroenergia s.cons.r.l. dall’obbligo di cauzione, è qualificabile come risposta ad un interpello.

12.3. E vale da ultimo evidenziare che non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dalla L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11. Infatti, l’ipotesi prevista da quest’ultima disposizione, che comporta la gravi conseguenza della nullità dell’atto impositivo, riguarda una situazione in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica ad un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell’Ufficio.

13. In conclusione, il ricorso va rigettato. La novità di alcune delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

13.1. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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