Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2614 del 03/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 03/02/2011), n.2614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 254-2008 proposto da:

MARVECSPHARMA SERVICES S.R.L., già MARVECSPHARMA SERVICES S.R.L., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio

dell’avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SIMONETTI GIORGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BETTINO

RICASOLI,7, presso lo studio dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

PFIZER ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, giusta

procura speciale atto Notar NAPOLEONE GIANLUCA di ROMA del 06/06/2

008, rep. n. 3 5445, (MEMORIA DI COSTITUZIONE del 20/06/2008);

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 594/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/06/2007 R.G.N. 1565/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA ARTURO;

udito l’Avvocato MUGGIA STEFANO per delega MUGGIA ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2005/06 il Tribunale di Milano ha respinto la domanda proposta in data 22.9.2006 da V.G., dipendente della Marvecspharma Services srl con mansioni di informatore scientifico del farmaco, volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatogli per motivi disciplinari in data 12.5.2005, con condanna della società alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Il licenziamento faceva seguito ad una contestazione disciplinare concernente, da un lato, il ritardo nell’invio di alcuni rapporti settimanali e, dall’altro, la trasmissione di due rapporti contenenti dati discordanti relativamente all’indicazione dei medici visitati nella prima settimana del mese di marzo 2005.

La sentenza del Tribunale è stata riformata dalla Corte d’Appello di Milano, che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento ordinando la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro sul rilievo del difetto di proporzionalità della sanzione irrogata dal datore di lavoro rispetto all’effettiva gravità degli addebiti contestati al lavoratore.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Marvecspharma Services srl affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso il V..

Si è costituita la Pfizer Italia srl – società che aveva ceduto alla Marvecspharma il ramo d’azienda presso il quale era occupato il V. e che era stata parte nei precedenti gradi di giudizio – depositando memoria e procura speciale.

Il V. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. in relazione all’art. 2119 c.c., nonchè omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, sull’assunto che la Corte d’Appello, nel valutare l’esistenza o meno della giusta causa di licenziamento, non avrebbe tenuto adeguatamente conto del contesto storico nel quale si erano verificati i fatti contestati al lavoratore, delle caratteristiche della funzione di informatore scientifico del farmaco, dell’entità della condotta e dell’intensità dell’elemento psicologico.

2.- Con il secondo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, sul rilievo che i giudici di appello non avrebbero valutato i diversi episodi contestati al lavoratore nella loro globalità, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva fosse tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente.

3.- I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, devono ritenersi infondati.

4.- Va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente – cfr. ex plurimis Cass. 3865/2008, Cass. 19270/2006, Cass. 7543/2006, Cass. 13883/2004, Cass. 9299/2004, Cass. 4061/2004 – che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione infinta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. E’ stato altresì precisato (Cass. 25743/2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).

5.- Tale giudizio è rimesso al giudice di merito la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass. 21965/2007) al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. altresì sul punto, ex plurimis, Cass. 6823/2004, Cass. 5013/2004, Cass. 4061/2004, Cass. 1144/2000, Cass. 13299/99, Cass. 6216/98).

6.- In tema di ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. 8254/2004) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cd.

clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. A sua volta, Cass. 9266/2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica) compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.

7.- Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore, valutati sia nella loro portata oggettiva che sotto il profilo soggettivo e intenzionale, non fossero di gravità tale da giustificare l’applicazione della massima sanzione espulsiva, osservando in fatto che, per quanto riguarda il ritardo nella trasmissione di alcuni rapporti settimanali – successivo, peraltro, all’introduzione da parte della società di un nuovo sistema di trasmissione dei rapporti – il ricorrente “non era l’unico ad accumulare i ritardi, al cui verificarsi non risulta che la società abbia reagito irrogando adeguate sanzioni disciplinari”, e che, anche con riguardo all’addebito relativo alla trasmissione di due rapporti contenenti dati fra loro contrastanti, non era provato, anzitutto, l’intento doloso o la inala fede del lavoratore, che si era giustificato invocando a sua scusante un errore nella ricostruzione delle visite effettuate e, subito dopo il fatto, aveva precisato quale dei due rapporti dovesse ritenersi esatto, indicando che il primo rapporto era sbagliato “per errata lettura e stesura”.

8.- Il giudizio operato dai giudici di appello non è stato sottoposto a specifiche censure, idonee ad evidenziare la non coerenza del predetto giudizio agli “standards” di valutazione esistenti nella realtà sociale, limitandosi, in realtà, il ricorrente a ripercorrere la valutazione di merito ed a contrapporre ad essa la propria diversa valutazione (facendo in sostanza propria la motivazione della sentenza di primo grado, che viene riportata quasi per esteso nel ricorso, e richiamando anche alcuni precedenti giurisprudenziali in tema di definizione della giusta causa di licenziamento e di immutabilità della contestazione). Quanto all’apprezzamento circa la concreta ricorrenza degli elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento e in ordine alla proporzionalità della sanzione, va ribadito che si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè non viene riportato per esteso il contenuto della lettera di contestazione, nè quello della giustificazione data dal lavoratore.

Le censure espresse rimangono, dunque, confinate ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’Appello, inidonea, in quanto tale, a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.

9.- Il ricorso va quindi rigettato.

10.- Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società ricorrente, e non anche della Pfizer Italia srl, che si è limitata a ribadire il proprio difetto di legittimazione passiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali. Nulla sulle spese nei confronti della Pfizer Italia srl.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011

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