Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26139 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 16/10/2019), n.26139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18392-2014 proposto da:

RICOM SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA NOMENTANA 263, presso lo

studio dell’avvocato MATTIA MICHELANGELO, rappresentato e difeso

dall’avvocato TADDEO LUIGI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio

dell’avvocato LAURENTI NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FERRARI FABIO MARIA giusta delega in calce;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1385/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 11/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2019 dal Consigliere Dott. D’OVIDIO PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli la RICOM s.r.l. si opponeva all’avviso di accertamento prot. n. 2619/21 notificatole dal Comune di Napoli per le annualità dal 2005 al 2009 dell’ICI dovuta e non versata in relazione ad un immobile di proprietà del Demanio, sito in (OMISSIS).

La società ricorrente, nella qualità di concessionaria, si opponeva anche alla categoria catastale ed alla rendita attribuita alla suddetta unità immobiliare, sostenendo di esserne venuta a conoscenza solo a seguito della notifica dell’opposto avviso di accertamento ICI. In proposito deduceva che l’unità immobiliare de qua, per le sue caratteristiche, era da qualificarsi in categoria E/1, esente dal pagamento dell’ICI, e non nella categoria D/7, come invece qualificata dall’Ufficio.

Si costituiva il Comune di Napoli chiedendo il rigetto del ricorso, sul presupposto che la società era tenuta dal pagamento dell’ICI perchè concessionaria dell’area demaniale in questione, la quale era iscritta in catasto alla categoria D/7.

Si costituiva altresì l’Agenzia del Territorio eccependo che la società ricorrente non era legittimata a presentare il ricorso avverso il classamento catastale, perchè intestatario della partita catastale era il Demanio Pubblico dello Stato.

2. La Commissione adita, con sentenza n. 504/6/12, depositata il 20.12.2012, rigettava il ricorso relativamente all’ICI e lo dichiarava inammissibile relativamente all’impugnata categoria catastale.

3. Avvero tale decisione proponeva appello la RICOM s.r.l. deducendo, in via preliminare, la nullità dell’opposta sentenza per carenza di motivazione, ed insistendo, nel merito, per il riconoscimento della categoria E/1 e la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento.

Il Comune di Napoli e l’Agenzia del territorio si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello e la conseguente conferma della decisione di primo grado.

4. Con sentenza n. 1385/46/14, depositata l’11/2/2014 e non notificata, la CTR di Napoli rigettava l’appello e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

5. Avverso tale sentenza RICOM s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Napoli; la ricorrente ha depositato a sua volta controdeduzioni al controricorso avversario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la “violazione D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1 e art. 10”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “va confermata la decisione di primo grado che ha riconosciuto la carena di legittimazione in capo al concessionario per la contestazione della categoria catastale. E’ noto infatti che la contestazione di una categoria catastale assegnata ad un immobile spetta solo all’intestatario”.

Ad avviso della contribuente, in quanto obbligata per legge a pagare l’imposta ICI sull’immobile oggetto di causa, dovrebbe esserle riconosciuto anche l’interesse ad agire per contestare la categoria e la rendita catastale relativa al medesimo immobile.

1.1. Il motivo è infondato.

Invero, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati hanno rilievo giuridico nei soli confronti dei soggetti intestatari della relativa partita, come desumibile dalla L. n. 342 del 2000, art. 74, che prevede la notificazione dei summenzionati atti esclusivamente nei confronti di tali soggetti ai fini della decorrenza della relativa efficacia.

Conseguentemente, la legittimazione all’impugnazione del provvedimento di attribuzione della rendita catastale ad un immobile spetta esclusivamente all’intestatario della partita.

Nè a diversa conclusione può condurre la considerazione che in determinate circostanze, espressamente previste dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, l’intestatario non coincida con il soggetto passivo dell’imposta, atteso che quest’ultimo ha un interesse temporaneo e di mero fatto a contestare il classamento e l’attribuzione della rendita sulla cui base viene calcolata l’ICI.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “violazione del giudicato interno”.

In particolare, la ricorrente si duole della sentenza impugnata con riferimento al punto della motivazione, già censurato con il primo motivo sotto diverso profilo, in cui si afferma che “va confermata la decisione di primo grado” nella parte in cui “ha riconosciuto la carena di legittimazione in capo al concessionario per la contestazione della categoria catastale”.

Sostiene in proposito la RICOM s.r.l. che in nessuna parte della sentenza di primo grado sarebbe rinvenibile una tale statuizione, ancorchè la questione della legittimazione era stata eccepita dall’Agenzia del territorio e di ciò se ne dava atto nel corpo della sentenza: invero, prosegue la ricorrente, la sentenza di primo grado aveva deciso sulla domanda relativa alla contestazione della categoria catastale ritenendola inammissibile per una ben diversa ragione, ossia per tardività del ricorso in quanto presentato oltre il termine previsto.

La eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di legittimazione attiva, peraltro, non era stata oggetto di appello incidentale da parte dell’Agenzia del Territorio, sicchè sulla relativa questione doveva ritenersi formato il giudicato interno.

2.1. Il motivo è infondato.

Il giudicato interno preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra “questioni di merito” e “questioni pregiudiziali” o “preliminari di rito o merito” sulle quali il giudice non abbia pronunziato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione logico-giuridica (Cass., sez. 5, 31/10/2017, n. 25906, Rv. 646160 – 01).

Ne consegue che, ove il giudice, come nella specie, decida esplicitamente su una questione, risolvendone in modo implicito un’altra, rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza, e la decisione venga impugnata sulla questione risolta espressamente, non è possibile sostenere che sulla questione risolta implicitamente si sia formato un giudicato implicito, in quanto l’impugnazione sulla questione dipendente preclude la formazione di tale giudicato, perchè il giudicato implicito suppone il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente espressamente decisa. (Cass., sez. 3, 07/11/2005, n. 21490, Rv. 586043 – 01).

3. Con il terzo motivo si prospetta la “violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7”.

Nell’illustrazione del motivo la ricorrente – richiamata la Risoluzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 3/DF del 10/8/09 nella parte in cui descrive l’area demaniale che deve ritenersi esente da ICI ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b), ed essere conseguentemente censita in catasto nella categoria E/1 – afferma che l’immobile di cui è causa risponderebbe a tutte le caratteristiche descritte dalle norme, dalla prassi e dai chiarimenti ministeriali per essere inquadrato nella predetta categoria E/1 e, quindi, esente da imposta ICI.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Pur articolata come violazione di legge, la censura in realtà ripropone la valutazione nel merito della correttezza del classamento, questione che si sottrae al sindacato di legittimità e che, peraltro, nella specie è comunque preclusa dalla statuizione, confermata in questa sede, di inammissibilità dell’impugnazione della categoria catastale per difetto di legittimazione attiva in capo al soggetto concessionario dell’immobile.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la “violazione D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, così come modificato dalla L. n. 338 del 200, art. 18, comma 3 (Legge Finanziaria 2001). Mancanza di legittimazione passiva”.

Sostiene la ricorrente che essa società non ha mai avuto la concessione di un’area demaniale, nè ha costruito su un’area demaniale, per cui non sarebbe soggetto passivo dell’imposta e l’accertamento avrebbe dovuto essere diretto nei confronti del Demanio, unico proprietario del manufatto in concessione.

4.1 Il motivo è inammissibile per novità della questione proposta.

Il motivo, che contesta un presupposto di fatto (qualità di concessionario dell’area demaniale) assunto a fondamento della decisione nella sentenza impugnata, attiene ad una questione che non risulta essere mai stata sollevata nel corso dei giudizi di merito, nè la ricorrente indica in quali atti ed in che termini tale circostanza sia stata contestata.

Invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass., sez. 3, 31/01/2006, n. 2140, Rv. 588057 – 01). Più di recente, inoltre, questa Corte, con statuizione alla quale il Collegio intende dare continuità, ha altresì ulteriormente precisato che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., sez. 1, 25/10/2017, n. 25319, Rv. 645791 – 01; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20712, Rv. 649963 – 01).

5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”.

Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe affetta da mancanza di adeguata e valida motivazione, fortemente illogica e meramente apparente. Inoltre, la stessa sentenza avrebbe operato il travisamento di un fatto decisivo: la sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso relativamente all’impugnata categoria catastale, per cui risulterebbe illegittima ed immotivata l’affermazione, già censurata con il primo ed il secondo motivo sotto diversi profili, secondo la quale “va confermata la decisione di primo grado” nella parte in cui “ha riconosciuto la carena di legittimazione in capo al concessionario per la contestazione della categoria catastale”, questione peraltro coperta, secondo la ricorrente, da giudicato interno, come osservato con il secondo motivo.

5.1. Il motivo è inammissibile perchè propone un vizio di motivazione non riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis.

Invero, il vizio previsto dal riformulato art. 360 c.p.c., n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Questo vizio non può pertanto dipendere dalla valutazione ed interpretazione compiuta dal giudice del merito delle deduzioni delle parti e della portata dei contenuti della sentenza di primo grado, sicchè la circostanza che, nel caso di specie, la CTR abbia ritenuto di “confermare” una statuizione non esplicitata nella sentenza di prime cure e non abbia ritenuto di rilevare la formazione di un giudicato interno su una determinata questione, non è idonea ad integrare il vizio denunciato.

6. Con il sesto motivo, proposto in via subordinata, si deduce la “violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5.”.

Ad avviso della ricorrente l’imposta pretesa dal Comune di Napoli andrebbe ridimensionata sulla base della determinazione catastale (riducendo la rendita da Euro 17.969,90 ad Euro 9.688,00, pur confermando la categoria D/7) come rivista dall’Agenzia del Territorio dopo la proposizione del ricorso innanzi alla CTP e la presentazione di un’istanza di revisione di stima (DOCFA). Tale rettifica, infatti, avrebbe effetto retroattivo.

6.1. Il motivo è inammissibile per novità della questione e, comunque per mancata indicazione degli atti in cui sarebbe stata proposta, in applicazione dei principi sopra richiamati in relazione al quarto motivo.

7. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza come per legge.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a tutolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.000,00, oltre rimb. forf. ed oneri fiscali e previdenziali di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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