Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26135 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. I, 17/11/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 17/11/2020), n.26135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14609/2019 proposto da:

S.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Emanuele Giudice, con

elezione di domicilio presso il suo studio legale in Roma, Viale

Manzoni, n. 81, giusta procura speciale in calce al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero degli Interni, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di TORINO n. 192/2019

pubblicata il 30 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

S.L., nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) ricorre in Cassazione, con atto affidato due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 30 gennaio 2019, che aveva rigettato l’appello proposto nei confronti del provvedimento del Tribunale di Torino che non aveva accolto la richiesta di protezione internazionale, affermando che: nessuna ragione per cui il primo giudice aveva ritenuto non credibili le dichiarazioni dell’appellante era stato oggetto di critica e che nell’atto di appello non era stato fatto alcun cenno ai rilievi del primo giudice sulla versione del racconto; il rischio di persecuzione non era attuale perchè legato al precedente regime riferibile al presidente J. e il racconto era generico con specifico riferimento alla fuga dal carcere di massima sicurezza e alle modalità di persecuzione subite per l’appartenenza al partito di opposizione di J.; dalle informazioni acquisite non vi erano le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria e quanto alla protezione umanitaria non sussistevano situazioni di vulnerabilità ostative al rientro nel paese d’origine, nè il lavoro a tempo parziale, l’asserita volontà del datore di lavoro di proseguire il rapporto, la frequenza di corsi di alfabetizzazione potevano rappresentare elementi fondanti il diritto a permanere sul territorio nazionale.

Il ricorrente ha dichiarato di avere lasciato il paese temendo di essere arrestato e perseguitato dal regime del Presidente J. in quanto membro dell’opposizione (partito (OMISSIS)), fatto che gli aveva arrecato delle discriminazioni riguardo il suo lavoro di vigile del fuoco, oltre che un arresto con conseguente fuga dal carcere dopo quattro mesi di prigionia.

L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte di appello ritenuto non credibile il ricorrente con motivazioni apparenti e affidate a mere opinioni, non svolgendo alcun ruolo attivo nell’istruzione della domanda.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che “il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).

1.3 Nel caso di specie, come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale, condividendo le motivazioni del primo Giudice, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente del tutto generica e non credibile, oltre che contraddittoria su specifiche circostanze (fuga dal carcere di massima sicurezza e persecuzioni legate all’appartenenza al partito di opposizione del Presidente J. non più al regime), evidenziando anche alle pagine 3 e 4 le criticità già rilevate dal Tribunale, non censurate specificamente dal ricorrente, nemmeno in questa sede.

La decisione censurata ha valutato, neppure in modo sintetico, le dichiarazioni rese dal ricorrente, rilevando la sussistenza di contraddizioni nel racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente.

Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

1.4 I giudici di appello, peraltro, hanno disconosciuto verosimiglianza alle dichiarazioni del richiedente per una valutazione inefficacemente contestata in ricorso e, ciò vale a precludere con l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi un accertamento sull’ascrivibilità delle vicende persecutorie dedotte nel racconto alle fattispecie di riconoscimento della protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a) e b).

La Corte di merito ha, inoltre, provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) valorizzando il mutato assetto politico-istituzionale del (OMISSIS).

Il ricorrente nel denunciare dell’impugnata sentenza la violazione della normativa sulla protezione sussidiaria muove dalla descrizione di una situazione politico-sociale del proprio Stato di provenienza, il (OMISSIS), riferita al passato dittatoriale del Paese, non attualizzato al suo nuovo corso politico e, come tale, manca di confrontarsi con l’impugnata decisione.

La Corte di appello valorizza, infatti, in contrario segno, l’insediamento del neo presidente A.B., dopo il giuramento avvenuto il 19 gennaio 2017 e la conseguente revoca dello stato di emergenza a cui era seguito, ancora, secondo concludente motivazione, la fine della dittatura ventennale e il venir meno delle ragioni di timore che sconsigliavano il rientro in Patria ai cittadini (OMISSIS).

L’apprezzamento di fatto, concludente, e sottratto al sindacato di legittimità, ha condotto la Corte di merito ad escludere la sussistenza di una situazione di grave danno in capo al ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 anche per il profilo di cui alla lett. c).

2. Con il secondo motivo il ricorrente del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Corte di appello valutato il percorso di integrazione socio lavorativo del richiedente e avendo ritenuto che, in ragione della fine della dittatura e dell’avvento della democrazia, non sussistevano serie controindicazioni al rimpatrio dello straniero richiedente.

2.1 Il motivo è inammissibile.

E’ utile, invero, premettere che, come ribadito anche di recente da questa Corte, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 19, comma 2 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32 – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

A tal fine, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio e non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con specifico riferimento, poi, al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

2.2 Nel caso concreto, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, oltre che della protezione sussidiaria, anche della invocata protezione umanitaria, considerando che il ricorrente non aveva indicato oggettive e gravi situazioni personali che non permettevano l’allontanamento dal territorio nazionale, evidenziando, come già detto, l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

2.3 Il profilo di inammissibilità rileva anche con specifico riferimento al giudizio di comparazione che, nel caso in esame, è stato operato sulla scorta delle circostanze allegate dal ricorrente, avendo la Corte di appello affermato che non erano indice di avvenuta integrazione il lavoro a tempo parziale, l’asserita volontà del datore di lavoro di proseguire il rapporto e la frequenza di corsi di alfabetizzazione.

3. E’ infondata anche la censura sulla affermata applicabilità al presente ricorso della previgente formulazione degli artt. 5 e 6 T.U. Immigrazione, oggetto di riforma con il D.L. n. 113 del 2018, dedotta a pag. 6 del ricorso per cassazione.

Giova ricordare che secondo la recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte del 13 novembre 2019, n. 29460, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, con il conseguente corollario che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge.

Tali domande saranno, pertanto, vagliate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto D.L..

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna S.L. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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