Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26134 del 21/11/2013
Civile Sent. Sez. 1 Num. 26134 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA
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SENTENZA
arbitrato.
sul ricorso 15857-2008 proposto da:
FIORANO S.R.L.
(c.f.
dell’amministratore
00759980584),
pro
tempore,
R.G.N. 15857/2008
in persona
elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA IGNAZIO GUIDI 75, presso
l’avvocato RIZZO MASSIMO, che la rappresenta e
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Rep. c(3e9 (7
Ud. 16/10/2013
Data pubblicazione: 21/11/2013
PU
difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
2013
1515
contro
COMUNE DI SANT’ANGELO ROMANO, in
persona del
Commissario Prefettizio pro tempore,
elettivamente
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domiciliato in ROMA, PIAllA MONTE GENNARO 24,
presso l’avvocato BERGAMINI DOMENICO, che lo
rappresenta e difende, giusta procura in calce al
controricorso;
–
–
703/2008 della CORTE
avverso la sentenza n.
controricorrente
D’APPELLO di ROMA;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/10/2013 dal Consigliere
Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato RIZZO MASSIMO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito,
per
il
controricorrente,
l’Avvocato
BERGAMINI DOMENICO che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del primo motivo, assorbimento del
secondo.
1
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Svolgimento del processo
La società Fiorano s.r.l. agiva nei confronti del Comune
di S.Angelo Romano, per ottenere la condanna al pagamento
della
somma
di
lire
144.739.000,
quale
residuo
corrispettivo per i lavori di realizzazione della rete
fognaria, di spostamento dell’impianto di depurazione e di
sistemazione del cimitero, oltre alle relative varianti.
Il Comune si costituiva, si opponeva alla domanda della
Fiorano ed in riconvenzionale chiedeva la condanna della
società al pagamento in proprio favore della somma di lire
27.049.
Il Tribunale dichiarava l’improponibilità della domanda,
ritenendo sussistente clausola di compromissione in
arbitrato tra le parti.
Con sentenza 17/1/2008, la Corte d’appello di Roma,
decidendo sull’appello principale della Fiorano ed
incidentale del Comune di S. Angelo Romano, in parziale
riforma della sentenza impugnata, ha condannato il Comune
al pagamento a favore della Fiorano della somma di euro
3684,61, oltre interessi come precisati in motivazione, in
relazione ai lavori di ampliamento del cimitero.
La Corte del merito, per quanto rileva ai fini del
giudizio di legittimità, ha confermato la sentenza del
Tribunale in relazione alla pronuncia di improponibilità
della domanda per effetto della clausola compromissoria
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prevista all’art.39 del capitolato speciale relativo ai
contratti per i lavori di esecuzione della rete fognante e
successive varianti, rilevando che la facoltà riconosciuta
all’appaltatore, in forza della sentenza della Corte
costituzionale, 152/1996, di derogare alla “competenza”
arbitrale scegliendo la competenza ordinaria, non era
stata esercitata dalla Fiorano in modo espresso ed
inequivoco, né poteva ritenersi tardiva, per essere stata
sollevata solo in sede di precisazione delle conclusioni,
l’eccezione di “incompetenza funzionale” ex art.38 c.p.c.,
nel testo applicabile alle cause pendenti alla data del 30
aprile 1995, né preclusa dalla spiegata domanda
riconvenzionale e dall’accettato contraddittorio
sulla
richiesta di C.T.U., trattandosi di un’autonoma scelta
difensiva,
ricollegata
alla
facoltà
di
sollevare
eccezioni, compatibile con il rito all’epoca vigente.
Avverso detta pronuncia ricorre la società Fiorano, con
ricorso affidato a due motivi.
Si difende con controricorso il Comune.
Ambedue le parti hanno depositato memoria ex art.378
c.p.c.
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione dell’art.38 c.p.c. nel
testo
applicabile,
anteriore
alle modifiche
della
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1.353/1990, sostenendo che l’eccezione di incompetenza per
il deferimento della controversia agli arbitri rituali,
essendo derogabile, andava proposta in limine litis, nella
prima difesa.
1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia il
d.p.r.
vizio di violazione e falsa applicazione dell’art.47 del
1063/1962 e dell’art.16 della 1.741/1981, con
riferimento alla sentenza della Corte cost. 152/96.
La parte deduce che il capitolato speciale fa riferimento
al capitolato generale dello Stato di cui al d.p.r.
1063/1962,
in
particolare,
agli
artt.
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e
47,
quest’ultimo, modificato dall’art.16 della 1.741/1981,
dichiarato incostituzionale dalla Corte cost. con la
pronuncia 152/1996, con effetto retroattivo, per cui va
attribuito valore normativo vincolante all’art.47 del
d.p.r. 1062 cit., da cui la derogabilità della clausola
compromissoria; e la volontà di non avvalersi della
clausola compromissoria va riscontrata nella proposizione
della domanda avanti al Giudice ordinario, tanto più che
il Comune, oltre ad avere accettato il contraddittorio
partecipando anche alle operazioni di C.T.U., aveva
persino avanzato domanda riconvenzionale.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
Come ritenuto nella pronuncia resa dalle sezioni unite,
n.527/2000, anche in riferimento alla normativa anteriore
5
alla
riforma
del
d.lgs.40/2006
(
e
conformi,
le
successive, sempre delle sezioni unite, 1251/2000 e
15936/2001, e delle sezioni semplici, 17646/2002,
2501/2003), posto che anche nell’arbitrato rituale, la
pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata
e correlativamente il compromesso si configura quale
deroga alla giurisdizione, pertanto, il contrasto sulla
non deferibilità agli arbitri di una controversia per
essere questa devoluta, per legge, alla giurisdizione di
legittimità o esclusiva del giudice amministrativo
costituisce questione, non già di giurisdizione in senso
tecnico, ma di merito, in quanto inerente alla validità
del compromesso o della clausola compromissoria.
Da ciò consegue che la questione della compromissione in
arbitrato ben poteva essere sollevata in sede di
precisazione delle conclusioni, trattandosi di giudizio
pendente alla data del 30/4/1995, al quale si applicava
l’art. 184 c.p.c. nella formulazione
ratione temporis
vigente, anteriore alla riforma di cui alla 1. 353/1990,
che consentiva la proposizione di nuove eccezioni non
precluse da specifiche disposizioni di legge, salvo
applicazione, se del caso dell’art. 92 c.p.c. in ordine
alle spese.
2.2.- Il secondo motivo va respinto.
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6
Nel caso di specie, nel quale il capitolato speciale
d’appalto tra il Comune e la Fiorano all’art.39 demandava
tutte le controversie tra l’Amministrazione e
l’appaltatore alla risoluzione dei collegi arbitrali
composti e funzionanti secondo le norme e procedure
stabilite nel capitolato generale d’appalto, trovano
applicazione i principi espressi nella sentenza 23670/2006
(e conforme, la successiva pronuncia 2749/2011), secondo
cui, in tema di appalto di opere pubbliche, ciò che
rileva, ai fini dell’applicabilità del capitolato generale
d’appalto di cui al d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 ad enti
pubblici diversi dallo Stato, dotati di distinta
personalità giuridica e di propria autonomia, è
l’esistenza di una specifica disposizione di legge che
sottoponga i contratti stipulati da detti enti alla
disciplina del predetto capitolato, non assumendo alcun
rilievo la circostanza che i fondi impiegati per la
realizzazione dell’opera provengano in tutto o in parte
dallo Stato; in mancanza di una siffatta disposizione, ove
le parti abbiano richiamato il capitolato per disciplinare
il rapporto contrattuale, come avviene nel caso in cui
abbiano testualmente pattuito che esso costituisca parte
integrante del contratto, le norme del capitolato, ivi
comprese quelle che prevedono il deferimento delle
controversie nascenti dal contratto ad un collegio
i
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arbitrale, assumono la stessa natura e portata negoziale
dell’atto che le richiama, perdendo qualsiasi collegamento
con la fonte normativa di provenienza, e conservando
efficacia indipendentemente dalle successive modifiche
della stessa; in tal caso, avendo l’arbitrato la sua fonte
non già nella legge, ma in una convenzione compromissoria
intercorsa tra le parti, che trova fondamento nella loro
concorde volontà, non assume alcun rilievo la questione
relativa alla facoltatività dell’arbitrato, prevista
dall’art. 47 del d.P.R. n. 1063 cit. e ripristinata a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 152
del 1996, con cui è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 16 della legge 10 dicembre 1981,
n. 741.
La statuizione resa dalla corte del merito è pertanto
corretta nel dispositivo, pur dovendo essere corretta
nella motivazione ex art. 384 ultimo comma c.p.c., nei
sensi di cui sopra.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.
Le
spese
del
giudizio,
liquidate
come
in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio,
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liquidate per compenso in euro 8000,00, oltre euro 200,00
per esborsi; oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 16 ottobre 2013
Il Pres4ldent