Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26132 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. I, 17/11/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 17/11/2020), n.26132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17046/2019 proposto da:

D.Y.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Gianluca Vitale, in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Pubblico Ministero – Procuratore Generale Corte Cassazione;

– intimato –

e contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, D.Y.P., cittadino della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Torino, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS) nel sudovest della Costa d’Avorio; di essere di etnia (OMISSIS); di aver lavorato come mercante di libri, mentre il padre era commerciante di cacao; che la sua famiglia era composta anche dalla madre, da due fratelli e una sorella più piccoli; che gli scontri conseguenti alla lotta a fondamento anche etnico nel 2010 per la presidenza del Paese fra i sostenitori del Presidente uscente G., leader del partito (OMISSIS), appoggiato dalle etnie (OMISSIS) e guerè, e quelli di O.A., vincitore del ballottaggio, appoggiato dall’etnia djoula, avevano esposto la sua famiglia, di etnia (OMISSIS) che viveva però in una città a maggioranza (OMISSIS), a gravi problemi; di essere stato minacciato di morte con l’accusa di aver favorito l’attacco dei fedeli di G. ai (OMISSIS); che la situazione era degenerata a marzo del 2011, quando vi era stato un massacro, nel corso del quale il padre era stato ucciso, mentre lui era fuori, nascosto nella foresta; di essere stato soccorso dalle forze internazionali e portato in un campo di sfollati; di essersi quindi dato alla fuga, raggiungendo l’Italia.

Con ordinanza del 19/3/2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da D.Y.P. è stato rigettato dalla Corte di appello di Torino, con aggravio di spese e revoca del patrocinio statuale, con sentenza del 7/1/2019.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso D.Y.P., con atto notificato il 26/5/2019, svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 5/7/2019, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, art. 3 e art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 5, comma 6, all’art. 16 Dir. 2013/32/UE, in tema di violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente.

1.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva acriticamente aderito al contenuto della decisione di primo grado, violando i principi che governano la procedimentalizzazione legale della decisione sulla credibilità del racconto del richiedente asilo e lasciandosi trasportare in soggettivistiche considerazioni.

La Corte di appello non aveva tenuto conto del fatto che la stessa Commissione Territoriale aveva pur sempre ritenuto credibile la provenienza territoriale del richiedente e la sua presenza sul teatro degli scontri del 2011; inoltre non aveva verificato la situazione socio-politica del Paese di provenienza al momento della fuga e la specifica posizione dell’appellante in relazione al rischio di persecuzione o danno grave, con riferimento anche agli scontri del 2011 in Costa d’Avorio e nella città di (OMISSIS), alle suddivisioni etniche della popolazione e le loro ricadute politiche.

1.2. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha ritenuto che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.3. Nella specie qualsiasi censura del vizio motivazionale è preclusa ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, visto il conforme accertamento del fatto operato dai due giudici del merito.

Inoltre la censura è del tutto generica e riversata nel merito a fronte delle argomentazioni esposte dai Giudici torinesi alla pagina 4 del provvedimento impugnato, per giustificare il giudizio negativo sulla credibilità intrinseca del racconto del ricorrente (narrazione confusionaria e generica; mancata indicazione dell’identità e provenienza etnica dei ribelli; inverosimiglianza della fuga nella foresta e del ricovero nella chiesta cattolica; mancata indicazione della natura dei timori che avevano determinato l’abbandono del rifugio: genericità delle critiche mosse alla valutazione di non credibilità espressa dal Tribunale; carenza di specificazioni e chiarimenti ulteriori).

1.4. Le considerazioni ulteriori del ricorrente non colgono il segno: non rileva la credibilità della provenienza territoriale del richiedente e della sua presenza sul teatro degli scontri del 2011, visto che ciò che è stato ritenuto inattendibile è la narrazione della sua vicenda personale e le minacce e i timori solo per aver vissuto, pur essendo (OMISSIS) in una enclave (OMISSIS).

Del tutto inutile appare poi la sollecitata verifica della situazione socio-politica del Paese di provenienza al momento della fuga, con riferimento anche agli scontri del 2011 in Costa d’Avorio e nella città di (OMISSIS), alle suddivisioni etniche della popolazione e le loro ricadute politiche, visto che il racconto circa la vicenda personale era stato ritenuto intrinsecamente inattendibile.

La situazione generale della Costa d’Avorio è stata verificata e valutata come sicura alla luce dei graduali progressi verso la riconciliazione nazionale e la stabilità dopo la caduta del dittatore G..

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, poichè la valutazione ai fini della richiesta protezione umanitaria doveva essere formulata indipendentemente da quella relativa alle protezioni internazionali e poichè era stato omesso il necessario giudizio comparativo fra le condizioni di vita in Italia, ove era ben integrato, e in Costa d’Avorio, ove mancava da più di otto anni ed era privo di qualsivoglia legame familiare e prospettiva.

2.1. Secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, adesiva al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, al fine di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo non integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

Il Tribunale, sostanzialmente allineato a tale orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite, ha escluso la sussistenza di una condizione di specifica e personale vulnerabilità soggettiva del richiedente.

Le censure del ricorrente si mantengono a un livello del tutto generico, senza spingersi, come sarebbe stato necessario, a riferimenti puntuali e specifici alle condizioni personali e individuali del richiedente, senza allegare e dimostrare l’esistenza di un serio percorso di integrazione sociale e lavorativa sul territorio italiano e limitandosi ad evocare del tutto genericamente la pretesa instabilità politica del Gambia, in contrasto con gli accertamenti officiosi effettuati dal Tribunale.

2.3. La Corte torinese a pagina 6, 4 capoverso, ha formulato una considerazione finale, esposta “per completezza”, dopo aver esaminato e valutato la richiesta di per rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari alla stregua della previgente normativa (Sez. Un. 13/11/2019 n. 29459 e 29460), rilevando l’abolizione dell’istituto ad opera del D.L. 24 settembre 2018, n. 113: si tratta all’evidenza di un mero obiter dictum chiaramente scollegato rispetto all’impianto decisorio, che non esigeva impugnazione.

La reale ragione della decisione sulla richiesta di protezione umanitaria è invece basata sulla mancata prospettazione di situazioni di particolare vulnerabilità o esposizione a rischio personale, non risultando al riguardo rilevanti la formazione scolastica e l’inserimento sociale; ed ancora la mancanza di motivazioni umanitarie individualmente riferibili al ricorrente.

E’ del tutto ininfluente rispetto all’esposta ratio decidendi l’ulteriore affermazione, errata in diritto, del secondo periodo del primo capoverso di pagina 6, laddove la Corte di appello sostiene che la concessione della protezione umanitaria deve concernere situazioni riconducibili alla stessa matrice della protezione internazionale.

2.4. Il ricorrente non riesce a confutare la ratio così individuata, poichè, oltre a invocare il giudizio comparativo, sostanzialmente effettuato dalla Corte con esito negativo, non deduce quali sarebbero le specifiche condizioni di vita in Costa d’Avorio, che configurerebbero la complessiva intollerabile deprivazione dei diritti umani, limitandosi ad allegare la condizione generale del Paese, di per sè irrilevante, fra l’altro in contrasto con l’accertamento in fatto operato dal Giudice del merito, e del tutto genericamente l’assenza da otto anni e la mancanza di qualsivoglia legame familiare (cosa questa contraddetta dallo stesso racconto, ove era stata riferita l’esistenza della madre e di due fratelli minori).

3. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compendi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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