Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26129 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 18/10/2018), n.26129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24849/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 951/18/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il

16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO DELLI

PRISCOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

La Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso, proposta della L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 17, relativa al 90% dell’IRPEF relativo agli anni d’imposta 1990, 1991, 1992.

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia respingeva l’appello, ritenendo che secondo la L. n. 190 del 2004, art. 1, comma 665, è previsto il diritto al rimborso di quanto indebitamente versato a condizione che la relativa istanza sia presentata non oltre due anni dall’entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31 (e nella specie l’istanza è stata presentata in data 26 febbraio 2009, ossia in data anteriore e quindi utile per ottenere il rimborso), il contribuente inoltre risulta essere un lavoratore dipendente, come risulta dalla documentazione da lui prodotta in primo grado.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi; la parte contribuente non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 (che esclude dal beneficio coloro che svolgono attività d’impresa) nonchè della 6^ direttiva n. 77/388/CEE come interpretata dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea con sentenza del 17 luglio 2008 in causa C-132/06, dell’ordinanza della sesta sezione della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 15 luglio 2015 in causa C-82/14 nonchè della Decisione della Commissione Europea C/2015 5549 Final del 14 agosto 2015, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i titolari di una impresa non hanno diritto a tale beneficio perchè il riconoscimento di tale beneficio costituirebbe una violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza;

con il secondo motivo d’impugnazione l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 (che esclude dal beneficio coloro che svolgono attività d’impresa) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i titolari di una impresa non hanno diritto a tale beneficio e il contribuente oltre ad essere un lavoratore dipendente e anche un lavoratore autonomo titolare di partita IVA, e la nozione di impresa comunitaria comprende anche quella di lavoratore autonomo;

A prescindere dalla circostanza che la CTR ha ritenuto che il contribuente sia un lavoratore dipendente e quindi non potrebbe essere ricondotto alla nozione di impresa tracciata dall’Unione Europea, i motivi di censura, che per la loro stretta connessione logica e giuridica possono essere affrontati congiuntamente, sono comunque inammissibili in quanto la questione sollevata non risulta essere stata esaminata in appello, nè risulta documentato in altro modo che sia stata prospettata e, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).

Ritenuto pertanto che il ricorso va dichiarato inammissibile e che nulla va disposto in ordine alle spese in quanto il contribuente non si è costituito.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre2018

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