Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26119 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. III, 27/09/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 27/09/2021), n.26119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11640/2019 proposto da:

D.L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 268/A, presso lo studio dell’avvocato VALERIO CIONI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., E N.V.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato FABIO FOGLIA,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO ASCENZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato SERENA PAOLINI;

– controricorrente –

nonché

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA, e C.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 152/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 30/1/2019, la Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello proposto dalla UnipolSai Assicurazioni s.p.a., e in parziale riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha accertato l’inoperatività della polizza assicurativa stipulata dalla UnipolSai Assicurazioni s.p.a. con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, con la conseguente revoca della condanna, pronunciata dal giudice di primo grado a carico della compagnia assicurativa, di tenere indenne l’Azienda Sanitaria e il Dottor D.L.R. dalle conseguenze dell’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni originariamente proposta, nei relativi confronti, da N.V.V. e S.A. a seguito dell’accertata responsabilità del D.L. e della struttura sanitaria convenuta per il decesso del piccolo N.V.L., figlio degli attori.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come la polizza assicurativa stipulata dalla UnipolSai Assicurazioni s.p.a. con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza fosse stata convenuta con la previsione della clausola claims made, in forza della quale la compagnia si impegnava al pagamento delle indennità connesse alle richieste risarcitorie pervenute nel periodo di vigenza del contratto, financo riferite a fatti verificatisi prima della conclusione della polizza, purché non prima del (OMISSIS).

3. Nel caso di specie, la prima richiesta risarcitoria dei genitori del piccolo N.V. era stata inoltrata all’assicurato, quantomeno, all’atto della costituzione degli stessi (in data 5/12/2006) nel processo penale instaurato nei confronti del D.L. prima della conclusione della polizza (in vigore dal 30/6/2009) (tenuto conto della qualificabilità di “assicurato” rivestita dal D.L., in quanto dipendente della struttura sanitaria, alla stregua delle declaratorie contrattuali), e, in ogni caso, all’epoca della notificazione del pignoramento presso la medesima Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza promosso dai coniugi N.V. a seguito della condanna del D.L. al pagamento di una provvisionale nel corso del 2008.

4. Ciò posto, riferendosi la pretesa manleva assicurativa invocata dall’azienda sanitaria e dal D.L. a una richiesta risarcitoria pervenuta all’assicurato prima della conclusione della polizza, la compagnia assicuratrice doveva ritenersi svincolata da ogni obbligazione indennitaria.

5. Con la medesima decisione, la corte d’appello ha altresì disatteso la domanda proposta dal D.L. per la condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza a tenerlo indenne dalle pretese risarcitorie rivendicate dal N.V. e dalla S., poiché l’inadempimento contestato a carico dell’azienda sanitaria (individuato nella mancata stipulazione, da parte di quest’ultima, di un valido contratto di assicurazione riferito all’attività prestata in proprio favore dal D.L., in conformità agli obblighi assunti in sede di contrattazione collettiva), doveva ritenersi superato dalla circostanza dell’avvenuta esclusione, da parte della contrattazione collettiva, della copertura assicurativa dei comportamenti connotati da dolo o colpa grave, come nella specie avvenuto, essendo stato il D.L. condannato in sede penale per l’omicidio colposo del piccolo N.V. sulla base dell’accertamento di un comportamento professionale caratterizzato da colpa grave.

6. Avverso la sentenza d’appello, D.L.R. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione, cui ha fatto seguito il deposito di ulteriore memoria.

7. N.V.V. e S.A., da un lato, e la UnipolSai Assicurazioni s.p.a., dall’altro, resistono con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.

8. Nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede.

9. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per iscritto, instando per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,342 e 324 c.p.c., nonché degli artt. 2909,1322,1375,1325 e il 1894 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’operatività della polizza assicurativa oggetto d’esame sulla base di argomentazioni mai precedentemente dedotte in giudizio e allegate dalla compagnia interessata e, in ogni caso, in relazione a una clausola di delimitazione dell’oggetto della copertura assicurativa avente un contenuto irrispettoso dei limiti imposti dalla legge all’autonomia contrattuale dei privati.

2. In particolare, il ricorrente denuncia la violazione, da parte della corte territoriale, del principio tra chiesto e pronunciato imposto dall’art. 112 c.p.c., avendo la corte d’appello erroneamente affermato che l’inoperatività del contratto di assicurazione fosse dipeso, nel caso di specie, dalla circostanza dell’avvenuta prima richiesta risarcitoria (da parte dei coniugi N.V.) nei confronti del D.L. all’epoca della relativa costituzione di parte civile nel processo penale instaurato a suo carico, essendo il D.L. identificabile quale “assicurato” alla stregua delle declaratorie di polizza, senza tuttavia tener conto che detta specifica qualificazione del D.L. non era mai stata precedentemente dedotta in giudizio dalla compagnia assicuratrice, con la conseguente sopravvenuta indiscutibilità di tale punto per effetto del giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione, sul punto, della decisione di primo grado.

3. Sotto altro profilo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1322 c.c., da parte della corte territoriale, avendo quest’ultima fatto propria un’interpretazione del contratto di assicurazione dedotto in giudizio (caratterizzato dalla previsione di una clausola claims made retroattiva) suscettibile di esorbitare dai limiti posti all’autonomia negoziale dei privati, segnatamente nella parte in cui estenderebbe gli obblighi di informazione precontrattuale imposti all’azienda sanitaria contraente a ogni eventuale fatto rischioso eventualmente occorso a ciascuno dei soggetti nell’interesse dei quali il contratto di assicurazione era stato stipulato, per di più in relazione al lungo periodo pluriennale antecedente la conclusione del contratto, con la conseguente prospettazione interpretativa di un modello contrattuale privo di un valido profilo causale, gravemente squilibrato sotto il profilo della corrispettiva posizione delle parti, e comunque in contrasto con il principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., senza neppure valutare l’eventuale profilo di inoperatività di un simile contratto di assicurazione, concluso senza la previsione di alcun limite di decadenza, della compagnia assicurativa, dalla facoltà di far valere eventuali difetti di informazione concernenti il rischio contrattuale dovuti alla reticenza della controparte.

4. La cesura è inammissibile.

5. Occorre sul punto evidenziare come la corte d’appello abbia motivato l’inoperatività della polizza in esame (in ragione dell’avvenuta richiesta di risarcimento del danno, da parte dei coniugi N.V., in epoca anteriore alla conclusione della polizza claims made) sulla base di un duplice presupposto (e dunque di una duplice motivazione), avendo a tal fine richiamato, tanto la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti del D.L. mediante la costituzione di parte civile dei danneggiati nel processo penale instaurato nei relativi confronti (rilievo contestato dal D.L. con il motivo in esame, in ragione della mai dedotta qualità dello stesso quale parte legittimata a ricevere richieste risarcitorie con effetti sul rapporto assicurativo stipulato dall’azienda sanitaria), quanto la circostanza dell’avvenuta notificazione, all’azienda sanitaria, dell’atto di pignoramento presso terzi in relazione ai crediti vantati dal D.L. nei confronti della stessa: circostanza, quest’ultima, non contestata in questa sede dall’odierno ricorrente e, come tale, pienamente idonea a sostenere la giustificazione dell’avvenuto ricevimento, da parte della Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, della richiesta risarcitoria avanzata dai genitori del piccolo N.V. prima della conclusione del contratto di assicurazione (premessa idonea a giustificare l’inoperatività della polizza).

6. Ciò posto, escluso l’interesse del ricorrente alla proposizione della prima parte del motivo concernente la contestata violazione dell’art. 112 c.p.c. (con la conseguente relativa inammissibilità), deve ritenersi inoltre inammissibile la seconda parte del motivo, dedotto in relazione alla pretesa carenza del profilo causale della polizza o della prospettabile violazione dell’art. 1375 c.c., trattandosi di un motivo critico fondato sulla valutazione della struttura contrattuale in esame condotta alla luce di un’interpretazione (quella che il ricorrente attribuisce alla lettura della corte d’appello) che tuttavia non contempla il dato (decisivo) dell’acquisita conoscenza della richiesta risarcitoria direttamente dall’azienda sanitaria provinciale (circostanza che appare pienamente ragionevole in relazione alla struttura contrattuale in esame).

Quanto alla prospettabile violazione dell’art. 1375 c.c., si tratta della deduzione di un motivo del tutto nuovo, di cui non vi è adeguata allegazione circa la relativa sollevazione in occasione di precedenti contestazioni e, in ogni caso, inteso a rivendicare una rivalutazione nel merito dei fatti di causa, come tale non consentita in sede di legittimità.

7. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,342 e 324 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’obbligo dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza di tenere indenne il D.L. dalle pretese risarcitorie rivendicate dai coniugi N.V. sul presupposto del mancato rispetto, da parte della struttura sanitaria, dell’art. 21 del CCNL applicabile al caso di specie, comportante l’obbligo, per detta struttura, di stipulare un valido contratto di assicurazione per l’attività del personale appartenente all’area della dirigenza medica.

8. In particolare, il ricorrente evidenzia la violazione, da parte del giudice d’appello, del principio che impone la corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la corte territoriale illegittimamente valorizzato una circostanza (quella relativa alla previsione, nel richiamato CCNL, dell’esclusione dall’eventuale copertura assicurativa dei fatti connotati da dolo o colpa grave) mai dedotta in giudizio, né invocata dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, e dunque non più suscettibile di contestazione per l’intervenuto giudicato interno, non avendo alcuna parte processuale mai fatto questione del grado della colpa ascrivibile al D.L. nell’esercizio dell’attività spesa nel caso di specie.

9. Il motivo è infondato.

10. Osserva il Collegio come la questione concernente la limitazione della polizza, che l’azienda sanitaria si era impegnata a concludere per l’attività dei propri dipendenti, ai soli comportamenti connotati da colpa lieve, non attiene alla ripartizione degli oneri probatori predicabili all’ambito delle eccezioni riservate all’iniziativa processuale delle parti in relazione all’adempimento/inadempimento delle obbligazioni assunte dall’azienda, riguardando piuttosto l’identificazione della qualità del bene giuridico rivendicato dal D.L., ossia, propriamente, la stipulazione, da parte dell’azienda sanitaria, di una polizza assicurativa avente determinate caratteristiche e un determinato contenuto, ossia una polizza assicurativa destinata a coprire i comportamenti dannosi dei propri dipendenti caratterizzati dalla sola colpa lieve.

11. Ciò posto, a fronte della corrispondente domanda di inadempimento avanzata dal D.L., del tutto correttamente la corte territoriale ha rilevato come, dall’esame degli atti acquisiti al giudizio, fosse emersa l’agevole riconoscibilità, nel comportamento professionale del D.L., di evidenti profili di colpa grave, tali da escludere la stessa configurabilità di un interesse dello stesso professionista al conseguimento di una pronuncia giudiziale a lui favorevole, atteso che l’eventuale adempimento tempestivo, da parte dell’azienda debitrice, dell’obbligo di stipulare una polizza assicurativa di quello specifico contenuto, non avrebbe in ogni caso determinato alcun vantaggio pratico in favore del medico, attesa la non riconducibilità del suo comportamento professionale alle previsioni di copertura dell’eventuale polizza (o, comunque, tenuto conto del diritto di rivalsa riconosciuto, in caso di colpa grave, in favore dell’azienda sanitaria).

12. Si tratta, dunque, del rilievo ufficioso di una carenza di interesse ad agire, come tale correttamente rilevata dal giudice di merito indipendentemente dalla corrispondente eccezione di parte, trovando nella specie applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza della corte di legittimità, ai sensi del quale l’assenza di interesse ad agire, richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 c.p.c., è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, salva la formazione di un giudicato sul punto, poiché l’esistenza di un’utilità concreta al giudizio costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (Sez. 2, Sentenza n. 24442 del 23/11/2007, Rv. 600768 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 15084 del 30/06/2006, Rv. 590864 – 01).

13. E’ appena il caso di rilevare l’insussistenza dell’avvenuta formazione di alcun giudicato interno sul grado della colpa del D.L. nel corso del giudizio, avendo il giudice di primo grado ritenuta assorbita ogni questione sulla domanda di manleva avanzata dal D.L. nei confronti dell’azienda sanitaria, a seguito dell’accoglimento della domanda di manleva assicurativa, con la conseguente piena disponibilità, in capo alla corte d’appello (una volta disattesa, in riforma della decisione di primo grado, la domanda di manleva assicurativa), del potere di valutare l’interesse ad agire del D.L. sulla base degli elementi acquisiti agli atti del giudizio.

14. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., nonché dell’art. 654 c.p.p., per avere il giudice d’appello erroneamente affermato la sussistenza di una responsabilità per “colpa grave” del D.L., al fine di negare la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di manleva nei confronti dell’azienda sanitaria (con riguardo alla prospettata violazione del richiamato art. 21 CCNL), essendosi la corte territoriale sul punto limitata al richiamo di quanto asseritamente affermato dal giudice penale nel corso del processo instaurato a carico del D.L. per il decesso del piccolo N.L., senza che, tuttavia, in detta decisione del giudice penale, fosse mai emersa l’attestazione di un simile grado della responsabilità colposa del medico, e dovendo in ogni caso escludersi, nella specie, il ricorso di alcuna colpa grave a carico del D.L. nell’adempimento della prestazione resa.

15. Il motivo è manifestamente infondato.

16. Osserva il Collegio come la corte territoriale abbia testualmente riprodotto i passaggi della sentenza penale (confermata in appello e successivamente divenuta definitiva) nella quale si è riconosciuta “la sussistenza di una colpa particolarmente grave, concretizzatasi in un approccio terapeutico per un verso errato e per l’altro carente” (pag. 18 della sentenza impugnata).

Si tratta – pur al di là dei vincoli del giudicato penale imposti dall’art. 654 c.p.c. – dell’utilizzazione, parte del giudice civile, di documentazione processuale in ogni caso rilevante sotto il profilo probatorio, e del tutto idonea a sostenere la valutazione di merito espressa dalla corte d’appello in ordine alla “gravità” della colpa ascritta al comportamento del sanitario; valutazione di merito che, in quanto fondata sulla lettura e l’esame degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio, non consente alcuna censura intesa a riformularne i termini in sede di legittimità, avendone il giudice d’appello correttamente condotto i relativi passaggi, nel pieno rispetto dei canoni logico-giuridici imposti dalla legge.

17. Con il quarto motivo, il ricorrente impugna le statuizioni della sentenza impugnata nella parte in cui provvedono alla regolazione delle spese del grado d’appello, essendo, dette statuizioni, destinate ad essere riformate in termini più favorevoli all’odierno ricorrente a seguito dell’accoglimento dei motivi di impugnazione proposti in questa sede di legittimità.

18. La riconosciuta infondatezza dei primi tre motivi d’impugnazione impone di ritenere assorbita la rilevanza dell’indagine in ordine al motivo in esame, espressamente formulato, dal ricorrente, in termini condizionali rispetto all’eventuale accoglimento delle precedenti censure.

19. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna delle due parti, in Euro 12.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

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