Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26119 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20945-2018 proposto da:

D.S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FUSCO

104, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO ANTIGNANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA COSTANTINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8019/19/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il

22/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 22 dicembre 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, rigettava l’appello proposto D.S.D. avverso la decisione della Commissione tributaria di Frosinone che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale, in relazione all’anno d’imposta 2008, veniva recuperato a tassazione il maggior reddito del contribuente derivante dalla partecipazione in quattro società, a loro volte destinatarie di autonomi avvisi di accertamento. Rilevava, in particolare, la CTR che era legittima la presunzione di distribuzione al socio degli utili non contabilizzati, accertati in capo società di capitali a ristretta base sociale, presunzione che non era stata vinta da prova contraria del contribuente.

Avverso la suddetta pronuncia, con atto del 21 giugno 2018, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla dedotta violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale.

Il motivo è inammissibile o, comunque, infondato.

Il ricorrente, difatti, deduce inammissibilmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame non di un “fatto” bensì di una questione giuridica, concernente la necessità di attivare nella specie il contraddittorio endoprocedimentale.

In ogni caso, la doglianza è infondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno chiarito che l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste.

Orbene, nella specie, il ricorrente non ha neppure dedotto che l’accertamento sia conseguente ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, sicchè deve escludersi l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la CTR preso in considerazione la questione relativa alla mancata allegazione all’avviso di accertamento notificato al socio degli avvisi di accertamento notificati alle società, il che avrebbe determinato la violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto impugnato.

Il motivo, oltre a presentare profili di inammissibilità in relazione alla prospettazione della questione in primo grado, è infondato, in considerazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 L. n. 212 del 2000, e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato, giacchè il socio, ex art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (Cass. n. 14275 del 2018; in senso conforme, Cass. n. 5645 e n. 25296 del 2014).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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