Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26117 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/11/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 17/11/2020), n.26117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23840-2013 proposto da:

A.N., IMMOBILPALACE DI M.C. & C. SAS,

M.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARIO DAPOR;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, AGENZIA

DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI (OMISSIS) UFFICIO CONTROLLI,

in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento n. 23/2011 della COMM. TRIBUTARIA II GRADO

di TRENTO, depositata il 18/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PIRARI.

Avverso la sentenza n. 23/01/13 della Commissione tributaria di

secondo grado di Trento, depositata il 18 marzo 2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Ufficio delle entrate di (OMISSIS) notificò, in data 25 ottobre 2001, alla società Immobilpalace di M.C. & C. s.a.s. e ai due soci A.N. e M.C. avvisi di rettifica e di recupero a tassazione del maggior reddito ai fini delle imposte dirette per il periodo di imposta 1996, derivante dalla plusvalenza conseguita con la cessione a terzi del ramo d’azienda avente ad oggetto l’attività di commercio al minuto di carni, avvenuta nel luglio 1996, la quale era stata ricalcolata in misura pari alla differenza tra il valore dell’avviamento definitivamente accertato dall’Ufficio del registro di (OMISSIS), che ne aveva operato la rettifica in aumento con avviso di accertamento e liquidazione n. (OMISSIS), non impugnato e richiamato in motivazione, e quello che era stato dichiarato dalle parti nell’atto di cessione.

Impugnati i predetti atti dai contribuenti, la Commissione tributaria provinciale di Trento accolse i ricorsi riuniti con sentenza che fu confermata in secondo grado, su appello dell’Ufficio, con sentenza n. 6/05 del 14 gennaio e 11 marzo 2005. In sede di legittimità, questa Corte, con sentenza n. 08205/11 del 3 febbraio 2011, depositata il 11 aprile 2011, dichiarò l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze e accolse, se, invece, quello proposto dall’Agenzia delle entrate, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria di secondo grado.

2. In seguito alla riassunzione della causa effettuata dalla Immobilpalace s.a.s. e da M.C. e A.N., la Commissione tributaria di secondo grado di Trento, quale giudice del rinvio, con sentenza n. 23/01/13 del 4 marzo 2013, depositata il 18 marzo 2013 e non notificata, accolse l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale n. 35/04/03 del 26 maggio 2003, compensando tra le parti le spese del giudizio.

3. Contro la sentenza emessa dal giudice del rinvio, la Immobilpalace s.a.s., M.C. e A.N. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. I ricorrenti hanno presentato memoria e. art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 24,111 e 113 Cost., (art. 350 c.p.c., nn. 3 e 4, artt. 384 e 394 c.p.c.)”, con riferimento all’erronea individuazione dell’oggetto del giudizio di rinvio e dei poteri attribuiti al giudice d’appello in tale sede. I ricorrenti, dopo avere evidenziato che questa Corte, con la cit. sentenza n. 08205/11 del 3 febbraio 2011, aveva ritenuto la sentenza impugnata viziata per non essersi attenute al principio di diritto secondo cui “l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda” sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziali) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore”, hanno lamentato come la Commissione tributaria di secondo grado di Trento avesse interpretato tale principio sostenendo che il valore di avviamento, determinato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro, assumesse carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria e avesse, invece, trascurato i profili dell’assenza di coincidenza tra “valore di mercato” e “prezzo di vendita”, rilevando ai fini IRPEF il secondo e non il primo, e, a fronte della presunzione di coincidenza tra l’uno e l’altro, della possibilità di fornire la prova contraria sulla base di dati presuntivi;

trattandosi di prova negativa, il giudice del rinvio avrebbe dovuto limitarsi a verificare puntualmente gli elementi indiziari già acquisiti, essendo i suoi poteri limitati a questo.

2. Con il secondo motivo di ricorso si sostiene: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”, in relazione al mancato esame, da parte del giudice del rinvio, degli elementi indiziari offerti, che erano stati liquidati con apodittica formula di stile che negava l’assolvimento dell’onere di fornire la prova contraria, posto a carico del contribuente, senza tener conto nè degli elementi, anche documentali, offerti (quali la contabilità della società), nè del fatto che, a mente della risoluzione ministeriale 1 luglio 1980 n. 9/1437, la determinazione del reddito di impresa andasse fatta mediante contrapposizione di costi e ricavi nella loro effettiva misura e che la definizione dell’accertamento ai fini dell’imposta di registro non potesse esplicare efficacia automatica ai fini delle imposte dirette, e, al contempo, scorrettamente valorizzando, invece, le ammissioni sul maggior valore dell’azienda ceduta rese dall’acquirente, in sede di adesione ai fini dell’imposta di registro, e attribuendone la plusvalenza al venditore ai fini delle imposte dirette in assenza di ulteriori elementi di prova e di sua esclusione dal contraddittorio.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1 Va innanzitutto considerato come il giudizio di rinvio costituisca un processo chiuso tendente ad una nuova statuizione (nell’ambito fissato dalla sentenza di cassazione) in sostituzione di quella cassata, nel quale oggetto e limiti sono delimitati dalla sentenza annullamento (ad es. da ultimo Cass. Sez. 5, 09/06/7020, n. 10953), e come i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio siano diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. Sez. L., 6/z1/2004, n. 6707; Cass. Sez. 1, 7/8/2014, n. 17790; conf. Cass. n. 137:1.9 del 2006; Cass. Sez. L., 24/10/2019, n. 27337; Cass. Sez. 2, 14/1;2010, n. 448).

Quest’ultima ipotesi è quella verificatasi nel caso di specie.

Questa Corte infatti, con la cit. sentenza n. 8205 del 2011, dopo avere affermato il principio di diritto che regola in astratto il riparto dell’onere della prova in tema di plusvalenza derivante da cessione di azienda, individuando la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, alla cui stregua trova peraltro fondamento la legittimazione dell’Ufficio di procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento, e attribuendo al contribuente l’onere della prova contraria, vertente sulla dimostrazione di avere in concreto venduto a un prezzo inferiore, ha demandato al giudice di precedere a nuovo esame della controversia, uniformandosi a detto principio.

Il giudice del rinvio perciò, “nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse” (Cass. Sez. L., 6/4/2004, n. 6707, cit.) e quindi con preclusione di ogni nuova attività assertiva di fatti non allegati ritualmente nella precedente fase del giudizio (v. Cass. Sez. 2, 9/12/1972, n. 3555), era tenuto a verificare ex novo i fatti già acquisiti o quelli ulteriori al fine di valutare la correttezza dell’operato dell’Amministrazione e l’idoneità della prova fornita dai contribuenti a superare la presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato e valore accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro e a dimostrare l’avvenuta vendita ad un prezzo inferiore.

Orbene, la doglianza espressa dai ricorrenti in merito all’asserita violazione del principio di diritto enunciato da questa Corte con la citata pronuncia in ordine al riparto dell’onere probatorio, non si confronta con le considerazioni espresse dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, la quale, diversamente da quanto lamentato dai ricorrenti, si è ad esso conformata, allorquando ha evidenziato la vincolatività, per l’Ufficio, anche ai fini Irpef del valore di avviamento determinato, in via definitiva, ai fini dell’imposta di registro in caso di cessione di azienda, in quanto, pur in esso non espressamente consacrata, costituiva, alla data della pronuncia, come si vedrà, la mera conseguenza del principio in essa esplicitato.

In ottemperanza al principio secondo cui “il ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di rinvio, diretto a denuncia e la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento, o il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione” (Cass. Sez. L, 8/4/1981, n. 2020; Cass. Sez. 1, 25/10/1982, n. 5567; Cass. Sez. 1, 30/9/2005, n. 19212; CEss. Sez” L., 21/4/2006, n. 9395; Cass. Sez. L., 24/10/2019, n. 27337), deve infatti chiarirsi come, all’epoca della pronuncia in esame, la sussistenza della cennata presunzione costituisse orientamento pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in quanto proiezione tributaria del principio contemplato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18, comma 2, (per il quale se fatti, stati e qualità sono attestati in documenti della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, si provvede d’ufficio all’acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi), che, esteso anche all’accertamento tributario e alla sua proiezione processuale, consentiva di affermare legittimamente la corrispondenza tra il prezzo reale e il valore accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, non supponendo necessariamente l’accertamento fiscale di valore una pronuncia giudiziaria sul punto, sì da essere vincolante per l’amministrazione finanziaria anche ai fini dell’imposizione sul reddito di impresa, sia in ragione del principio di uguaglianza, alla stregua del quale il valore dello stesso immobile, riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, non può essere diverso in caso di contribuente di altra imposta connessa e nello stesso contesto, in quanto riferito al trasferimento dello stesso bene, sia in ragione del principio di capacità contributiva, alla stregua del quale la medesima situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell’analogo prelievo fiscale, sia del dovere di imparzialità, alla cui stregua è richiesta uniformità di valutazione del bene colpito da diversi tributi (Cass. Sez. 5, 1/10/2015, n. 19622; Cass. Sez. 5, 21/12/2011, n. 27989; Cass. Sez. 5, 22/3/2002, n. 4117).

Da tali principi si era perciò dedotto che il valore di avviamento, da determinarsi a cura di diversi organi della stessa Amministrazione nello stesso contesto temporale e in relazione ad uno stesso atto economico (trasferimento di azienda), non consentisse l’adozione di speciali e divergenti criteri quando ciò non fosse previsto dalle singole leggi d’imposta.

E a questo orientamento il giudice di rinvio, in ottemperanza al principio di diritto espresso da questa Corte, si è effettivamente uniformato, così dimostrando di avere chiara la funzione ad esso demandata dal giudice di legittimità, ossia la rivalutazione degli atti di causa alla luce del criterio di corrispondenza tra valore indicato in atto e valore accertato in sede di imposta di registro e dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente.

3.2. Ciò detto, deve tuttavia evidenziarsi come detto principio di diritto ripercorra l’orientamento interpretativo della disciplina anteriore all’introduzione del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, a mente del quale “Gli artt. 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.P.R. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, nonche per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 13 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”, alla cui stregua questa Corte, mutando il precedente orientamento, ha stabilito che l’Amministrazione non possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale (Cass. n. 11543 del 2016 cit.), dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, allegati i quali spetterà a quest’ultimo, con prova contraria, contraddire alle risultanze probatorie offerte dall’Agenzia (Cass. Sez. 5, 8/5/2019, n. 12131; Cass. Sez. 5, 18/4/2018, n. 9513).

E tale pacifico orientamento, cui si intende dare continuità, è applicabile anche ai giudizi in corso, stante l’intento interpretativo espresso dal legislatore e il carattere retroattivo costituente elemento connaturale delle leggi interpretative (in tal senso, Cass. Sez. 5, 18l’4/2018, n. 9513; Cass. Sez. 5, 17/5/2017, n. 12265; Cass. Sez. 5, 6/6/2016, n. 11543).

3.3. Orbene, se è vero che il giudice di rinvio deve attenersi alla regula juris enunciata esplicitamente e implicitamente dalla Corte di cassazione a norma dell’art. 384 c.p.c., e destinata alla concreta soluzione della controversia, senza che possa derogarvi (Cass. Sez. 2, 8/6/1998, n. 538, Cass. Sez. L., 19/6/1998, n. 6126), è altresì vero che tale principio può venir meno in caso di jus supervenieqs, il quale è ravvisabile quando sopravvenga una nuova disciplina normativa della materia (tra le molte Cass. Sez. L., 20/6/2001, n. 8403, Cass. Sez. L., 9/10/1998, n. 10035, Cass. Sez. 1, 6/5/1997, n. 3941), anche se avente natura interpretativa ed efficacia retroattiva (Cass. Sez. 1, 27/9/2002, n. 14022), come nella specie, oppure una sentenza della Corte Cost. o della Corte di giustizia, dichiarativa dell’illegittimità delle norme da cui il principio affermato è stato desunto, in quanto l’efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio presuppone il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato espresso l’enunciato principio di diritto (Cass. Sez. 1, 27/10/2006, n. 23169). In tal uso, è lo jus superveniens a dover essere applicato, tanto in sede di rinvio, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, quanto, come in questo caso, in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, 20/12/2019, n. 34209), travalicando questo il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione.

Ne consegue che, nella fase di cassazione, la disapplicazione della normativa precedente e l’applicazione dello ius superveniens, imposta in tale evenienza, comporta che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in fase di merito, al qual fine deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello (cit. Cass. 34209 del 2019).

Questa situazione non si ritiene però conferente al caso di specie, posto che la Commissione tributaria di secondo grado, dopo avere affermato il mancato assolvimento dell’onere della prova contraria da parte dei contribuenti, ha proseguito sostenerlo che l’Amministrazione finanziaria avesse dato conto dei criteri di valutazione adottati, non soltanto facendo riferimento al valore presuntivo dell’accertamento effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, valevole sulla base della disciplina previgente all’intervento normativo del 2015 e in sè sufficiente, all’epoca, a dimostrare la plusvalenza ai fini dell’imposta sui redditi, ma richiamando anche ulteriori dati di fatto, elencati in motivazione e valutati come indici presuntivi del carattere speculativo dell’operazione e del maggior prezzo corrisposto dall’acquirente, già conduttore, al fine di non perdere l’attività, idonei a soddisfare quelle ulteriori esigenze probatorie che l’intervento legislativo del 2015 ha ritenuto di porre a carico dell’Amministrazione. E ciò appare in linea con l’attuale orientamento di questa Corte che, nel prendere atto della modifica normativa del 2015, ha evidenziato come la base imponibile ai fini IRPEF sia “data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”, atteso che il riferimento, contenuto nella norma, all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo) (vedi Cass. Sez. 5, 2/8/2017, n. 19227, Cass. Sez. 5, 17/5/2017, n. 12265, Cass. Sez. 5, 9/6/2020, n. 10978).

Per questi motivi, ritiene il Collegio che il motivo sia infondato.

4. La seconda censura è parimenti infondata.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la fattispecie astratta regolata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’ultima formulazione applicabile ratione temporis, è incentrata Sull’individuazione di un “fatto”, da intendere in senso storico – naturalistico (vedi Cass. Sez. 5, 8 ottobre 2014, n. 21152), quale circostanza rilevante sia in via diretta, perchè costitutiva, modificativa a impeditiva rispetto alla fattispecie legale, sia in via indiretta, quale fatto secondario, dedotto in funzione di prova (Cass. Sez. 1, 8/9/2016, n. 17761), il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito e che, per la sua decisività, da intendere come elevato grado logico di pregnanza, se considerato, potrebbe in sè sovvertire l’esito della pronuncia impugnata, sì da imporre la rivisitazione del giudizio tenendo conto anche della circostanza pretermessa, risolvendosi dunque l’inadeguatezza della motivazione nel sole caso in cui essa ometta l’esame di uno o più fatti decisivi (da ultimo, Cass. Sez. L., 21/10/2019, n. 26764).

E questo nuovo assetto processuale si caratterizza per la “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione”, sicchè è denunciabile in cassazione, nelle forme di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè”, che si determina, quale vizio processuale (art. 360 c.p.c., n. 4), allorquando l’anomalia si manifesti come ” “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, mentre l’aggressione della motivazione nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, presuppone una specifica modalità della critica, rigorosamente articolata attraverso l’indicazione del “”fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”” (Cass. Sez. U., 7/4/2014, n. 8053).

A questo proposito” il carattere della “decisività”, che il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è tenuto ad indicare, è configurabile quando il fatto storico omesso; se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (in tal senso, Cass. Sez. U., 8053/2014, cit.; Cass. Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415).

4.1 Orbene, i ricorrenti, nell’argomentare sul motivo in esame, non si sono attenuti a questi principi.

Essi, infatti, hanno fatto generico riferimento a non meglio precisati “molteplici elementi indiziari offerti” sia in fase procedimentale che processuale, senza alcuna ulteriore specificazione se non il richiamo alla prodotta “contabilità della società”, definita con mere valutazioni come quelle sulla assenza in essa di indizi di “evasione” o la sua ritenuta regolarità, o a lamentare la valorizzazione, ad opera della Commissione tributaria di secondo grado, delle dichiarazioni di maggior valore dell’azienda ceduta rese dall’acquirente in sede di adesione ai fini dell’imposta di registro, dal cui contraddittorio l’alienante era rimasto escluso, senza precisare o dar conto dei documenti da cui questi fatti sono stati tratti e dei relativi contenuti e tantomeno la rilevanza ai fini voluti, o l’errore in cui era incorso l’Ufficio del registro di (OMISSIS), laddove aveva individuato la sede dell’attività in (OMISSIS) in luogo di quella corretta in (OMISSIS)” evidenziando, con argomenti contenenti meri giudizi o apprezzamenti, asseriti “macroscopici errori di valutazione” dovuti alla “vocazione turistica” di quest’ultimo Comune e alla stagionalità delle attività ivi svolte.

Ed è evidente come tali elementi, oltrechè generici e implicanti valutazioni, siano privi del carattere della decisività di cui si è detto, peraltro neppure illustrato nel ricorso, ove si consideri che la prova contrar a che il contribuente era chiamato nella specie ad onorare avrebbe dovuto vertere non già sul valore del bene, bensì esclusivamente sulla “differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo” e, in ultima analisi, sull’entità del corrispettivo realmente ricevuto, come sopra chiarito.

Per questo motivo, la censura deve essere rigettata in quanto infondata.

5. Le spese di causa, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti e in favore dell’Agenzia delle entrate, senza che assuma rilevanza la duplice costituzione in giudizio dell’Ufficio centrale e di quello periferico, derivante dalla notifica eseguita nei confronti di entrambi, essendo l’Agenzia fiscale un unitario soggetto di diritto (per tutte, Cass., sez. 6-5, 4/10/2016, n. 19828).

Inoltre, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto lart. 13 t.u., comma 1-quater, spese giust. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per ii ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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