Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26115 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 05/04/2018, dep. 18/10/2018), n.26115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13437/2017 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO

FALBO n. 22, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI FRANCHI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE – C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2324/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2005, G.A. conveniva in giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della contrazione del virus dell’epatite c, a seguito di una terapia trasfusionale effettuata presso la clinica ostetrica e ginecologica degli Ospedali riuniti di (OMISSIS) nel (OMISSIS), eseguita in ragione di una emorragia post partum. Costituitosi in giudizio, il Ministero della Salute eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, nonchè l’intervenuta prescrizione del diritto dedotto.

Con sentenza n. 2197/2008, il Tribunale di Bologna rigettava la domanda attorea.

2. Parte soccombente proponeva, dunque, appello avverso la statuizione di primo grado.

La Corte territoriale di Bologna, con sentenza 2324 del 20 dicembre 2016, respingeva il gravame, ritenendo maturato il termine di prescrizione quinquennale della responsabilità aquiliana, iniziato a decorrere nel settembre 1996, ossia quando l’appellante ebbe contezza dell’ingiustizia del danno, così come desunto dalle dichiarazioni rese in sede istruttoria di primo grado. Anche laddove si fosse voluto tener conto della data in cui l’appellante propose domanda amministrativa alla CMO, il 1/02/2002, il termine comunque risultava interamente decorso.

3. G.A. propone ricorso per cassazione, per un motivo. Il Ministero della salute resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di manifesta fondatezza del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo errato il giudice d’appello nel non ricondurre il dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale al 1/02/2002, data a cui risale la richiesta di indennizzo, secondo quanto statuito da Cass. 20934/2015. Si rileva altresì che la prescrizione era stata interrotta con la notifica della citazione, avuta luogo in data 21/11/2005.

7. Il motivo è fondato.

Ha errato la Corte d’Appello di Bologna là dove ha affermato che nulla è dato censurare all’operato del Tribunale, il quale, in ottemperanza al principio di legittimità ha correttamente escluso che la prescrizione iniziasse a decorrere dalla data del 31 luglio 2003, ossia dal giorno in cui pervenne all’odierno appellante il responso del C.M.O., ritenendo a tal fine idoneo il periodo, desumibile dagli atti e dalle dichiarazioni dello stesso danneggiato, in cui la G. ebbe contezza dell’ingiustizia del danno allorquando venne accertata la positività nel (OMISSIS).

Orbene premesso che sono principi consolidati di questa Corte che: a) il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia (nel caso, epatite HCV cronica) per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze (Cass. 27757/2017; Cass. 4996/2017; Cass. 22045/2017); b) la presentazione della domanda di indennizzo, di cui alla L. n. 210 del 1992, attesta l’esistenza, in capo al malato e ai familiari, della consapevolezza che queste siano da collegare causalmente con le trasfusioni e, pertanto, segna il limite ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, ma ciò non esclude che il giudice di merito individui in un momento precedente l’avvenuta consapevolezza del suddetto collegamento sulla base di un accertamento in fatto adeguatamente motivato.

Principi riconosciuti anche dalla sentenza impugnata che, però, dopo averli citati li disattende.

Difatti, non ha motivato l’assunto relativo alla individuazione del momento in cui la ricorrente avrebbe avuto la consapevolezza di aver subito un ingiustizia, ovvero il momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Si è limitata ad affermare, in modo assertivo, che la G. avrebbe avuto tale percezione nel 1996, data in cui ha scoperto di essere positiva al virus. E da tale data conseguentemente inizierebbe a decorrere la prescrizione.

Invece, non essendo stato provato che la G. abbia avuto prima della domanda dell’indennizzo la percezione dell’illecito, il dies a quo per la decorrenza della prescrizione doveva essere individuato nella data del 1 febbraio 2002, ovvero da quando, come emerge dalla documentazione in atti, la G. ha presentato la richiesta di indennizzo secondo le prescrizioni della L. n. 210 del 1992. Conseguentemente la notifica della citazione che reca la data del 21 novembre 2005 era tempestiva ed idonea ad interrompere la prescrizione.

8. Pertanto, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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