Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26115 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20233-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

G.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1967/13/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata

il 26/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 26 maggio 2017 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione della Commissione tributaria di Ragusa che aveva accolto il ricorso proposto da G.V. contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IVA avanzata dal contribuente con contestuale richiesta di revoca della sospensione del rimborso in precedenza disposta dall’Ufficio. Osservava la CTR che la sospensione del rimborso IVA era stata adottata dall’Ufficio in presenza di carichi pendenti costituiti da avvisi di accertamento che erano stati annullati in primo ed in secondo grado, di modo che non ricorrevano i presupposti di applicabilità del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 potendo operare la sospensione solo nei limiti delle somme risultanti dalla decisione della commissione tributaria.

Avverso la suddetta pronuncia, con atto del 26 giugno 2018, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. Considerato che:

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 per avere la CTR erroneamente attribuito rilievo ad una circostanza – l’annullamento in primo ed in secondo grado dell’avviso di accertamento – che contrasta con il disposto normativo, il quale richiede, ai fini della sospensione del rimborso, soltanto che vi sia stato un provvedimento di accertamento di maggiori tributi ancorchè non definitivo. Nella specie, la decisione della CTR di conferma dell’annullamento degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente non era ancora passata in giudicato essendo stato proposto ricorso per cassazione.

La censura è infondata.

Come chiarito dalla recente pronuncia di questa Corte n. 2893 del 2019, “L’Amministrazione finanziaria, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1, (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 16) può sospendere il pagamento del rimborso del credito IVA richiesto dal contribuente, qualora vanti un controcredito derivante da contestazione o da irrogazione di sanzioni, nei limiti della somma risultante dall’atto impositivo, ovvero, in caso di contenzioso, dell’importo accertato in sede giurisdizionale, pur in assenza di giudicato, sicchè, ove l’atto impositivo venga annullato in sede giurisdizionale, anche mediante una pronuncia non definitiva, dovranno ritenersi caducate le ragioni per il permanere della sospensione”.

La sentenza impugnata si pone in linea con tale principio di diritto, avendo la CTR correttamente deciso la controversia sulla base del disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 applicabile ratione temporis nella sua formulazione originaria, la quale non prevedeva il riferimento a “provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorchè non definitivi”, inciso sul quale si fonda, invece, il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.

In conclusione, diversamente dalla proposta del relatore, il ricorso deve essere rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimato, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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