Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26111 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. III, 27/09/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 27/09/2021), n.26111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 11325/2018 proposto da:

C.S., domiciliato in Roma, presso la cancelleria

civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gianfranco Spinelli;

– ricorrente –

contro

B.C., M.T., S.M.F.,

S.O., e S.R., elettivamente domiciliati in

Roma, alla via del Babuino, n. 48, presso lo studio dell’avvocato

Paola Francesco, rappresentati e difesi dall’avvocato Mascaro Paolo;

– controricorrenti –

e contro

Italfondiario S.p.a., quale procuratrice di Sestino Securitisation

S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, al viale Giulio Cesare n. 2,

presso lo studio dell’avvocato Grillo Giuseppe, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

S.S.A.R., V.S.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 753/2017 della CORTE d’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2021 dal Consigliere relatore Dott. Cristiano Valle;

Ritenute le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, osserva quanto segue.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) La Cassa di risparmio di Calabria e Lucania, in data 21/12/1990, procedette a pignoramento immobiliare, trascritto al n. (OMISSIS) gen. e (OMISSIS) part., di un fondo sito nel comune di (OMISSIS), in catasto al foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS), nei confronti di C.S. esecutato in una con la Inerti Savuto S.r.l..

2) Nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 94 del 1990 alla quale detto pignoramento diede inizio, S.M.F., S.R., S.S.A.R., S.O., M.T. e B.C. proposero, con ricorso del 16/10/2008, opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., assumendo di essere proprietari, in forza di un titolo di acquisto per rogito notarile del 22 gennaio 1979 ritualmente trascritto il 15 febbraio 1979, e deducevano l’inefficacia del titolo proprietario del C., che si assumeva proprietario in forza di atto di compravendita del 20 marzo 1987, da V.G. che in detto atto pubblico aveva dichiarato di avere acquistato per usucapione.

3) Nel giudizio di opposizione di terzo si costituì la Monte dei Paschi di Siena Gestione Crediti S.p.a. (d’ora innanzi MPS Gestione Crediti S.p.a.), quale mandataria della Ulisse 2 S.p.a., creditrice intervenuta nella detta procedura esecutiva, che dedusse che il bene immobile era di proprietà del C. in forza del valido atto di compravendita con il V. e in ogni caso ribadì l’intervenuta usucapione decennale in favore del C. in forza dell’art. 1159 c.c. e comunque della sussistenza del possesso ad immagine del proprietario, per più di venti anni e chiese il rigetto dell’opposizione.

3.1) Nello stesso giudizio si costituì C.S. che dedusse di avere validamente acquistato il bene immobile da V.G. con atto del 20 marzo 1987 e di averlo usucapito in forza di possesso esercitato per oltre un ventennio alla data della costituzione in giudizio in detto processo.

4) Il Tribunale di Lamezia Terme, con sentenza n. 950 del 16/09/2010, depositata il 05/10/2010, rigettò l’opposizione di terzo all’esecuzione e accolse la domanda riconvenzionale del C. e lo dichiarò “pieno ed esclusivo proprietario, per compiuta prescrizione acquisitiva ventennale dell’appezzamento di terreno sito in (OMISSIS) e riportato nel relativo catasto al foglio (OMISSIS) part. (OMISSIS)”.

4.1) Avverso la sentenza del Tribunale proposero appello S.M.F., S.R., S.O., M.T. e B.C..

Si costituirono in giudizio C.S. e MPS Gestione crediti S.p.a., che chiesero entrambe il rigetto dell’impugnazione.

V.S. e Mu.Ca., eredi di V.G., rimasero contumaci.

A seguito della dichiarazione di decesso di V.G. da parte del difensore degli appellanti, venne concesso termine dalla Corte d’Appello, per la notifica dell’impugnazione a V.S., quale erede di V.G. e a Mu.Ca., pure erede.

Successivamente si costituiva in giudizio l’Italfondiario S.p.a., quale procuratrice di Sestino Securitisation S.r.l., cessionaria del credito dalla MPS Gestione Crediti S.p.a..

Era, quindi, ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.S.A.R..

Questa non si costituiva in giudizio nonostante la rituale notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, come pure non si erano costituite in giudizio V.S. e Mu.Ca..

4.2) La Corte di appello decideva, quindi, la causa, accogliendo l’opposizione di terzo.

5) La sentenza d’appello è impugnata con due motivi di ricorso, contenenti plurime censure, da C.S..

6) Resistono con controricorso S.M.F., S.R., S.O., M.T. e B.C..

Italfondiario S.p.a. ha proposto controricorso.

S.S.A.R. e V.S. sono rimaste intimate.

Il ricorrente ha depositato memoria nel termine di legge.

All’esito dell’udienza pubblica del 24 marzo 2021, svoltasi nella modalità disciplinata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, sulle conclusioni scritte del Pubblico Ministero il Collegio, non avendo alcuna delle parti né lo stesso P.G. chiesto la discussione orale, ha trattenuto il ricorso in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7) I due motivi del ricorso di C.S. sono articolati da pag. 12 in poi e fino a pag. 52 e sono preceduti da un’esauriente esposizione in fatto.

7.1) I motivi non appaiono numerati, ma sono contrassegnati da lettere e quindi da ulteriori lettere e numeri e in ordine di proposizione pongono le seguenti questioni: (A.I.a) violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., commi 1 e 2 e art. 1158 c.c., nonché degli artt. 65,559 e 560 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dei principi di elaborazione giurisprudenziale in materia di custodia giudiziaria del bene pignorato e di possesso ad usucapionem con riferimento alla regola di “netta differenziazione tra debitore-custode e debitore-esecutato”. Il mezzo sviluppa la censura ulteriormente (A.I.b) a pag. 21 e segg., e viene dedotta l’illegittimità della sentenza in punto di valutazione della continuazione del possesso per l’usucapione del bene pignorato, ove correttamente indirizzata nei confronti del debitore-esecutato.

7.2) Il mezzo di cui alla lett. A prosegue (A.I.b.1) deducendo, quindi, violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli artt. 832, 1140, 1158, 2740 e 2910 c.c. e violazione dei principi di formazione giurisprudenziale che sanciscono la continuazione del possesso in capo al debitore pignorato.

8) L’ulteriore mezzo (B) deduce: (B.I) illegittimità della pronuncia per non avere dichiarato inammissibile l’appello per inefficace contestazione della divisata durata ventennale del possesso, come reputata in prime cure e quindi per violazione degli artt. 100, 342, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

8.1) Nel prosieguo (B.II) il motivo deduce: illegittima datazione dell’inizio del possesso del C. utile all’usucapione solo dagli ultimi mesi dell’anno 1989 e non anche alternativamente a marzo 1987 come in prime cure; nullità della sentenza per difetto di motivazione (violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

8.2) Il motivo propone quindi (B.III) censura relativa all’illegittima considerazione, al fine della verifica del compimento del ventennio ritenuto indispensabile all’usucapione, della sola situazione possessoria maturata sino alla data della proposizione della domanda riconvenzionale del C. in giudizio (effettuata in data 3 marzo 1989), con esclusione della considerazione dell’ulteriore protrazione del medesimo possesso nel corso del giudizio e quindi (B.III.i) nullità della sentenza per difetto di motivazione, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e prosegue (B.III.ii) affermando nullità della sentenza (violazione degli artt. 112 e 161 nonché art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, ancora (B.III.iii) violazione del divieto della cd. terza via, nella duplice prospettiva: (B.III.iv) a) violazione degli artt. 832,1140 e 1158 c.c., nonché degli artt. 112,167,183,189 c.p.c. e violazione dei principi di elaborazione giurisprudenziale circa la natura autodeterminata delle domande volte al riconoscimento della proprietà e i conseguenti effetti in tema di poteri cognitivi del giudice nonché circa la rilevabilità e deducibilità dei fatti sopravvenuti alla domanda, afferenti alla medesima situazione sostanziale oggetto della lite, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonché b) violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2943 c.c. e detta censura viene ulteriormente bipartita in un aspetto processuale e in un aspetto sostanziale.

9) Il nucleo fondamentale della causa ruota sull’effettiva sussistenza, in capo a C.S., di un possesso idoneo all’usucapione, per il termine ventennale richiesto dalla legge.

La sentenza impugnata risulta motivata sulla base di un distinto ordine di considerazioni.

9.1) La Corte d’appello di Catanzaro afferma che dalla trascrizione del pignoramento (21/12/1990) momento in cui il C.S. venne nominato, e comunque, incontestabilmente, divenne custode del bene immobile pignorato, ai sensi dell’art. 559 c.p.c., comma 1, egli non poteva più dirsi possessore dell’immobile nel senso di cui all’art. 1158 c.c., in quanto, come risulta dall’art. 560 c.p.c., comma 3, il custode, al fine del compimento di atti di disposizione del bene deve chiedere l’autorizzazione al giudice dell’esecuzione e, quindi, non esercita (più, se in precedenza lo aveva fatto) una signoria sul bene quale quella del proprietario, o meglio, a immagine del proprietario e ciò si riverbera anche all’esterno, con la conseguenza che alla data di trascrizione del pignoramento egli non esercitava alcun possesso utile ai fini del compimento dell’usucapione (ciò è ben esplicato dal giudice dell’appello territoriale alle pagg. 8, 9 e 10). La Corte afferma che da detta data (21/12/1990) la disponibilità del bene da parte del custode non integra gli estremi del possesso utile ad usucapire.

9.1.2) L’affermazione della Corte territoriale non appare del tutto persuasiva, in quanto l’attribuzione del compito di custode è sovente effettuata in favore del proprietario del bene sottoposto ad esecuzione, ossia del debitore, come l’art. 559 c.p.c., consente e l’esercizio delle attribuzioni gestorie quale proprietario, almeno nell’ambito dell’ordinaria amministrazione, è consentita al proprietario nominato custode anche a seguito dell’intervenuto pignoramento, essendo necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per atti specifici, quali la concessione in locazione del bene (art. 560 c.p.c., comma 1, o la cessione del contratto di affitto agrario: Cass. n. 06602 del 14/07/1994 Rv. 487392 – 01), con la conseguenza che altri atti, tipici dello statuto proprietario, e utili ai fini dell’usucapione, possono ritenersi comunque allo stesso consentiti.

9.2) La Corte territoriale ha, nondimeno, escluso che il C. fosse diventato proprietario per intervenuta usucapione sulla base di un autonomo ragionamento decisorio – indipendente dalla rilevanza del pignoramento ai fini dell’interruzione del tempo necessario a usucapire – non adeguatamente inciso dalle plurime censure formulate in ricorso.

Giusta quanto si espone in prosieguo la motivazione della Corte territoriale non costituisce, come esplicitamente afferma il difensore del C., una “illegittima motivazione concorrente” in quanto essa cade su punti decisivi della controversia conoscibili d’ufficio dal giudice.

9.2.1) Le prospettazioni relative al mancato computo, ai fini dell’usucapione, del periodo successivo alla proposizione della domanda in via riconvenzionale, di accertamento dell’intervenuta usucapione (il ventennio decorrerebbe, nell’affermazione censoria del C. dagli ultimi mesi del 1989 e si protrarrebbe fino a oltre il 03/03/2009, data di proposizione della domanda in riconvenzione di accertamento dell’intervenuta usucapione e dovrebbe comprendere anche il periodo di pendenza del giudizio) e’, invero, del tutto fuori centro rispetto all’affermazione svolta dalla Corte di Appello, a pag. 11, in modo incidentale, ma comunque con decisiva valenza, secondo la quale: il periodo ventennale utile ad usucapire deve essere compiuto al momento della proposizione della domanda e la sua (in)sussistenza deve essere accertata d’ufficio dal giudice indipendentemente dalla prospettazione in via di eccezione, trattandosi di mera difesa.

La detta statuizione è coerente con l’orientamento, oramai costante, di questa Corte (giurisprudenza consolidata: Cass. n. 05487 del 20/11/2004, massimata Rv. 571285 – 01): “La questione della durata del possesso quale presupposto dell’usucapione, comunque e in qualunque momento sollevata dal convenuto, non integra gli estremi né dell’eccezione riconvenzionale (in quanto il convenuto stesso non oppone al diritto fatto valere dall’attore un proprio contro – diritto idoneo a paralizzarlo), né dell’eccezione in senso stretto (in quanto non ne è prevista dalla legge la deduzione ad esclusiva iniziativa di parte), bensì quelli della mera difesa (in quanto il convenuto si limita a contestare il protrarsi ultraventennale del possesso dell’attore, evidenziando l’insussistenza di uno degli elementi costitutivi della pretesa, e cioè una determinata circostanza di fatto ostativa all’accoglimento della domanda) che, come tale, non condiziona il preesistente potere – dovere del giudice di accertare in ogni caso, anche d’ufficio e indipendentemente dall’attività processuale del convenuto, la sussistenza degli elementi costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, atteso che l’art. 1158 c.c., pone, tra gli elementi costitutivi dell’usucapione, proprio il protrarsi continuativo del possesso per il previsto periodo ventennale, onde l’attore che intenda avvalersene è onerato della prova del decorso di tale periodo, mentre il giudice, a sua volta, deve accertare l’effettivo protrarsi del possesso per il prescritto ventennio in quanto condizione per l’accoglimento della domanda a prescindere dal fatto che il convenuto – il quale può anche rimanere contumace senza che, per ciò, l’attore sia esonerato dal fornire la prova della ricorrenza dei presupposti del vantato diritto – abbia o meno sollevato, al riguardo, eccezione alcuna, con l’ulteriore conseguenza per cui, ove il protrarsi del possesso per il necessario periodo non risulti univocamente accertato all’esito della compiuta istruttoria, il giudice, quand’anche tale carenza non sia stata dedotta dalla controparte (e anche nella contumacia di questa), non può esimersi dal rilevare, “ex actis”, il difetto di una condizione di accoglibilità della domanda”.

Deve, peraltro, evidenziarsi, a suffragare la conformità dell’ordinamento interno con i principi di cui sono informate le Carte sovranazionali, che l’onere probatorio su chi afferma l’usucapione deve, in conformità con i parametri CEDU, essere inteso in modo particolarmente rigoroso (Cass. n. 20539 del 30/08/2017 Rv. 645235-01): “In tema di usucapione, l’esigenza di un attento bilanciamento dei valori in conflitto, tutelati dall’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, impone al giudice nazionale l’impiego di un particolare rigore nell’apprezzamento – anche sul piano probatorio della sussistenza dei presupposti per l’acquisto a titolo originario della proprietà, prevalente sul precedente titolo dominicale”.

A tacere d’altro, a seguire la tesi del ricorrente ai fini dell’usucapione, dovrebbero esse computati anche gli anni successivi alla proposizione della relativa domanda e, quindi, paradossalmente, il C. avrebbe sicuramente ad oggi acquistato il terreno in forza del possesso protrattosi nell’arco temporale delle varie fasi del giudizio.

9.2.2) La Corte di appello ha ritenuto (pag. 11, dalla metà circa in poi), inoltre, che sul rigetto (da parte del Tribunale: pag. 8 della relativa sentenza) del capo di domanda del C. vertente sull’avere egli acquistato nel 1987 con rogito notarile stipulato con il dante causa V.G., che aveva a sua volta acquistato in forza di usucapione ordinaria, si fosse formato giudicato, in quanto il detto capo della sentenza di primo grado non era stato fatto oggetto, da parte del C., di appello incidentale.

La questione della mancata valida proposizione di un appello incidentale non è in alcun modo affrontata nel ricorso di legittimità (né nel controricorso dell’Italfondiario S.p.a.) e, anzi, il ricorso del C., oltre che omettere di riportare specificamente i passi salienti della propria comparsa di costituzione in appello, nella quale l’appello incidentale avrebbe potuto essere proposto, tenta di ribaltare, mediante il riferimento alla tematica dei diritti cd. autodeterminati (alla quale, nondimeno, non sembra attribuibile una utile, per la prospettazione del ricorrente, rilevanza nel caso all’esame), su controparte l’onere di contestazione in ordine ad alcuni punti della controversia, conoscibili d’ufficio dal giudice, quale quello, già sopra evidenziato, relativo al tempo necessario a usucapire.

La giurisprudenza di questa Corte, che afferma che il pignoramento non implica che il periodo di tempo ad esso successivo non è escluso dal termine necessario ad usucapire (Cass. n. 27668 del 30/12/2009 Rv. 611106 – 01, richiamata dal P.G. nelle conclusioni scritte) non è in contrasto con la superiore affermazione, in quanto, comunque, il periodo successivo al pignoramento deve condurre al compimento dell’intero arco temporale necessario all’usucapione.

10) Il ricorso, sebbene articolatamente proposto, è infondato in tutte le censure.

10.1) Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato.

11) Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente C. e dell’Italfondiario S.p.a., in solido, in quanto aventi un interesse comune alla causa, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., comma 1, u.p. e sono liquidate come da dispositivo.

12) Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente C. e del controricorrente Italfondiario S.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso e, rispettivamente, per il controricorso, se dovuto (Sez. U. n. 04315 del 20/02/2020).

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna C.S. e Italfondiario S.p.a. in solido al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 8.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e del controricorrente Italfondiario S.p.a. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, e, rispettivamente, per il controricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

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