Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2611 del 03/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 03/02/2011), n.2611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28651-2008 proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO, BONAMICO FRANCO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO

50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato POLI ELENA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1382/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/11/2007, R.G.N. 39/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

Udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE; udito l’Avvocato COSSU

BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 23/26.11.2007 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza resa dal Tribunale di Torino 23.10/15.11.2006 che accoglieva la domanda proposta da V.F. nei confronti della Fiat Group Automobiles spa (di seguito la Fiat) per far dichiarare l’illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria nel periodo 9.12.2002/8.12.2003.

Osservava in sintesi la corte territoriale che non poteva ritenersi che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 comma 5 avesse abrogato il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 che prevedeva l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità della rotazione”; che la comunicazione inviata dall’azienda alle rsu in data 31.10.2002 risultava del tutto generica quanto ai criteri adottati per la scelta dei lavoratori da collocare in cigs e che, peraltro, nemmeno successivamente la stessa aveva compiutamente specificato i criteri di scelta seguiti; che del tutto irrilevante risultava l’accordo del 18.3.2003, dal momento che il vizio di legittimità della procedura non poteva ritenersi suscettibile di successiva sanatoria. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Fiat con sette motivi.

Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato V.F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di gravame la società ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1 ed al D.P.R. n. 218 del 2000, nonchè violazione dell’art. 15 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3).

Osserva in particolare la società ricorrente, muovendo dal rilievo che l’intervento legislativo attuato mediante la L. n. 59 del 1997, art. 20 costituisce espressione della scelta operata dal legislatore stesso di procedere alla cd. delegificazione delle materie sulle quali non esiste riserva di disciplina legale, che non può dubitarsi che oggetto dell’intervento regolamentare e del conseguente effetto di delegificazione mediante abrogazione della preesistente disciplina legale sia il procedimento per la concessione della c.i.g.s.. Di talchè, costituendo la comunicazione di avvio della procedura, nonchè l’esame congiunto, disciplinati dal combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 momenti della serie coordinata e collegata di fasi, atti ed adempimenti prodromici alla emanazione del provvedimento finale di concessione della c.i.g.s., doveva consequenzialmente ritenersi che le nuove disposizioni introdotte dal D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 che hanno regolamentato tanto la comunicazione di avvio che la fase di esame congiunto, avessero direttamente inciso, abrogandolo, sul complessivo sistema procedimentale delineato dalla L. n. 164 del 1975 e dal successivo provvedimento normativo del 1991.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1 ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione alla efficacia degli accordi sindacali raggiunti in corso di gestione della cigs (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva la società ricorrente che erroneamente la corte territoriale aveva omesso di considerare che il tema della rotazione era stato affrontato nella sede normativamente corretta, ossia nell’ambito dell’esame congiunto di cui al D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, comma 5 tant’è che, a seguito degli incontri intervenuti con le organizzazioni sindacali e con la parte pubblica, l’azienda aveva riconsiderato la propria iniziale indisponibilità alla rotazione, e pertanto non poteva dubitarsi che la procedura fosse stata correttamente eseguita.

Col terzo motivo di gravame la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.2002 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la corte territoriale aveva del tutto omesso di considerare il valore probatorio da attribuire al verbale del 5.12.2002 con il quale il Ministero del lavoro aveva certificato la regolarità della procedura svoltasi, essendosi limitata a considerare tale atto tamquam non esset, trascurando del tutto di considerare che il giudice ordinario poteva sindacare il detto atto amministrativo, che si doveva presumere legalmente adottato, esclusivamente ad iniziativa del lavoratore e solo ove fosse configurabile il vizio dell’ eccesso di potere.

Col quarto e quinto motivo di gravame la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. e dell’art. 1375 c.c. nonchè violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003 (art. 360 c.p.c., n. 3), ed inoltre insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). In particolare rileva la ricorrente che la corte territoriale aveva erroneamente escluso l’efficacia sanante dell’accordo 18.3.2003, anche sulla base di una pretesa invalidità dello stesso, facendo propria una visione formalistica intesa a privilegiare la omessa formale convocazione delle r.s.u. , piuttosto che la effettiva volontà della maggioranza delle r.s.u. medesime;

interpretazione che si poneva in palese contrasto con i principi di buona fede e di correttezza che devono riscontrarsi in ogni attività negoziale.

Col sesto motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6, dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva la società che, pur qualora si ritenesse applicabile la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, non si sarebbe potuto dubitare della esaustività del contenuto delle comunicazioni di avvio della procedura di c.i.g.s., basandosi la diversa conclusione cui era pervenuta la corte territoriale su una “rigoristica e fuorviante” lettura della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6. Ciò in quanto la comunicazione aziendale del 31.10.2002 non si limitava alla individuazione del solo criterio di scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione fondato sulle “esigenze tecniche, organizzative e produttive”, ma conteneva una sequenza di indicatori – quali l’individuazione delle unità organizzative interessate dalle sospensioni, la specificazione delle singole attività o produzioni coinvolte, la suddivisione numerica tra quadri, impiegati, intermedi ed operai, la determinazione degli elementi in cui trovavano concretizzazione le dedotte esigenze tecnico, produttive ed organizzative, la rilevanza delle esigenze funzionali e professionali – dai quali era agevole desumere come i criteri indicati fossero dotati di sufficiente chiarezza e specificità, sia pure come linee guida dell’operazione selettiva.

Con il conseguente pieno rispetto dell’ obbligo informativo dell’azienda, obbligo che nella fase iniziale non poteva essere troppo “stringente” e la cui “concretezza” doveva vagliarsi solo nel momento del confronto sindacale.

Col settimo motivo di gravame, infine, si prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6, e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 nonchè vizio di motivazione, ed, al riguardo, rileva la società ricorrente che la sentenza censurata si era limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura, senza valutare la specifica posizione soggettiva della parte intimata, nonostante che fossero stati adottati criteri di selezione, per quanto non particolarmente dettagliati, del tutto oggettivi e che imponevano, pertanto, al giudice di svolgere l’attività istruttoria necessaria a verificare la conformità dei criteri individuati alla funzione dell’istituto.

2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la parte intimata deduce violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 assumendo che incongruamente la corte di merito aveva ritenuto che non sussistesse, nell’ambito dell’esame congiunto, un obbligo di formalizzare per iscritto il programma che l’impresa intendeva attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati, dei criteri di scelta e delle modalità di rotazione, quantomeno sotto forma di verbalizzazione da parte dei pubblici funzionari presenti all’incontro. Infatti, proprio perchè la norma specifica quale oggetto dell’esame i criteri di scelta e le modalità della rotazione (o comunque le eventuali ragioni ostative), era di necessità ritenere che la prova che i criteri di scelta avessero o meno formato oggetto di confronto non poteva che rinvenirsi negli atti medesimi.

3. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. Sempre in via preliminare deve rigettarsi la richiesta, avanzata dalla parte controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., di dichiarare inammissibile il ricorso principale per l’intervenuta definizione del procedimento di repressione della condotta antisindacale, promosso dalle oo.ss. nei confronti della Fiat, per violazione degli oneri di informazione strumentali all’applicazione della cigs.

La difesa di parte controricorrente ha prodotto le sentenze di questa Corte n. 13240 del 9.6.2009 e n. 15393 dell’1.7.09 che hanno rigettano il ricorso proposto dalla Fiat per la cassazione della sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il comportamento antisindacale e dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31.10.2002.

Da queste sentenze deriverebbero le seguenti conseguenze giuridiche:

a) il comportamento antisindacale da luogo ad un comportamento plurioffensivo e la rimozione dei suoi effetti comporta l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei singoli lavoratori;

b) l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, è configurabile come una particolare fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunce in questione, intervenute tra FIAT e le oo.ss., possono essere fatte valere ai sensi dell’art. 1306 c.c. da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore;

c) ai sensi dell’art. 2909 c.c., sul presupposto che l’espressione che “il giudicato fa stato tra le parti” possa essere letta nel senso che “il giudicato fa stato nei confronti delle parti”, gli effetti delle sentenze potrebbero estendersi nei confronti della parte controricorrente.

Rileva, nondimeno, il Collegio che -fermo restando la conoscibilità dei precedenti di questa Corte – con la memoria ex art. 378 c.p.c. possono essere solo illustrate questioni già trattate nel ricorso e nel controricorso e non possono essere dedotte questioni di diritto nuove, seppure sotto la forma dell’ eccezione di inammissibilità del ricorso. Conseguentemente, le questioni sub a) e b), del tutto estranee al presente giudizio di legittimità, non possono essere prese in considerazione. Con la questione sub c) si deduce,invece, nella sostanza l’esistenza di un giudicato esterno di cui si chiede l’affermazione anche tra le parti. Il giudicato è, tuttavia, insussistente in quanto le pronunce invocate non possono spiegare la stessa autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone – a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata, v. per tutte Cass. 27.01.06 n. 1760).

5. L’esame del primo e del secondo motivo del ricorso principale, da trattare in unico contesto per la loro consequenzialità, richiede – per quanto occorre – una breve n premessa di ricostruzione legislativa.

5.1.- Sul piano normativo, deve rammentarsi che la L. 23 luglio 1991, n. 223 – che ha introdotto una riforma organica dell’istituto della cigs, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonchè alla predisposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati nel tempo – prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale (artt. 1 e 2).

Il datore di lavoro deve individuare i lavoratori da collocare in cigs adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della rotazione” sono oggetto di consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle oo.ss. e l’esame congiunto di cui alla L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5. Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico- organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare meccanismi di rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8).

Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di integrazione il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comm. 8, secondo periodo).

Su tale assetto normativo è intervenuto il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, emanato a seguito della delega conferita dalla Legge di Semplificazione Amministrativa 15 marzo 1997, n. 59, art. 20 che ha inserito il procedimento per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria regolato dalla L. n. 223 del 1991 tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2 (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla Legge stessa).

Il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 regolamenta l’esame congiunto della situazione aziendale e testualmente prevede che:

“1. L’imprenditore che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente o tramite l’associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.

2. Entro tre giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 è presentata, dall’imprenditore o dagli organismi rappresentativi dei lavoratori di cui al medesimo comma, domanda di esame congiunto della situazione aziendale.

3. La richiesta di esame congiunto è presentata:

a) al competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate dall’intervento straordinario di integrazione salariale, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in una sola regione;

b) al Ministero del lavoro e della previdenza sociale – Direzione generale dei rapporti di lavoro, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in più regioni. In tal caso, l’ufficio richiede, comunque, il parere delle regioni interessate.

4. Agli incontri per l’esame congiunto della situazione aziendale in sede regionale partecipano anche funzionari della direzione provinciale del lavoro o della direzione regionale del lavoro, a seconda che l’intervento di integrazione salariale straordinaria riguardi unità produttive ubicate in una sola provincia o in più province della medesima regione.

5. Costituisce oggetto dell’esame congiunto il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonchè delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione. L’impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

6. L’intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le aziende fino a cinquanta dipendenti”.

5.2 Dalla sovrapposizione di fonti normative si origina il problema del coordinamento della disciplina della fase di avvio della procedura di ammissione alla cigs, oggetto principale del ricorso in esame.

I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del D.P.R. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ ultimo testo. Il D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle prescrizione del combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 – riguardanti l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (cfr. Cass. 28.11.08 n. 28464).

Gli argomenti addotti a sostegno di questa impostazione, secondo cui il D.P.R. n. 218 persegue lo scopo di semplificare il procedimento amministrativo che consente l’autorizzazione della cigs, ma non di alterare il complesso di garanzie assicurato dalla L. n. 223 del 1991 a tutela dei singoli lavoratori e delle organizzazioni sindacali, sono di ordine sistematico e di ordine testuale.

Sul piano sistematico, deve osservarsi che mentre gli organi pubblici (CIPI, Ministero del lavoro) partecipano all’accertamento della crisi ed emanano i conseguenti provvedimenti amministrativi, spetta ai soggetti privati (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) gestire la crisi aziendale, secondo la disciplina della L. n. 223 del 1991, che svolge una funzione garantistica tanto delle posizioni di diritto soggettivo riconosciute ai lavoratori quanto delle prerogative istituzionali delle organizzazioni sindacali. Esiste, dunque, una chiara distinzione tra procedimento amministrativo volto all’emissione del provvedimento concessorio e la gestione della cassa integrazione ad opera di soggetti che agiscono in regime privatistico, di cui costituisce significativo momento la comunicazione dei criteri di scelta e l’individuazione delle modalità di applicazione dei relativi criteri. A riprova viene menzionata la giurisprudenza di legittimità in materia di integrazione salariale, per la quale le posizioni di diritto soggettivo dei privati nascenti dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione degradano ad interesse legittimo ove intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca del provvedimento (Cass. S.u. 11.1.07 n. 310; Cass. 27.1.06 n. 1732), mentre all’interesse legittimo si sostituisce, per effetto del provvedimento di ammissione, la piena posizione di diritto nel rapporto tra l’imprenditore (o i lavoratori) e l’INPS (Cass. S.u.

10.8.05 n. 16780).

Quanto ai riferimenti di carattere testuale, si rileva, poi, che nel D.P.R. n. 218 la semplificazione è riferita a singoli momenti del procedimento amministrativo, quali gli atti iniziali (“la domanda di intervento straordinario”, art. 3), gli accertamenti ispettivi (art. 4), i termini di conclusione del procedimento (art. 8), la validità ed efficacia del provvedimento (art. 9), e mai al complesso delle garanzie apprestato dalla L. n. 223. Inoltre, si rimarca che tra le disposizioni esplicitamente abrogate dal D.P.R. 218, art. 13 non è inclusa alcuna disposizione della L. n. 223.

In conclusione, dunque, deve ribadirsi, con la già richiamata sentenza n. 28464 del 2008, che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, e ciò anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’ integrazione salariale.

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8), precisando, altresì, che la normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione del datore di lavoro di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma del D.P.R. n. 218, art. 2 sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri del datore di lavoro con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle oo.ss. nei confronti di Fiat con riferimento alla procedura di cigs in esame).

Sulla base di queste considerazioni può ritenersi corretto l’assunto del giudice di merito che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 – la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare, ai sensi della L. n. 164 del 1975, art. 5 alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.

6. A tale rigetto consegue l’assorbimento del terzo motivo con il quale si contesta la mancata assegnazione di “valore asseverativo della regolarità della procedura” al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.02, essendo evidente che ove si ritenga che i criteri di individuazione e le modalità della rotazione debbano essere predeterminati (e cioè, indicati ab initio) nella comunicazione di avvio della procedura, è superfluo scrutinare l’asserito valore asseverativo di un documento che dovrebbe certificare che quell’indicazione si è perfezionata, invece, solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto.

7. Con il quarto e quinto motivo la società ricorrente sostiene che l’accordo del 18.3.03 avrebbe sanato ogni eventuale vizio della procedura ed al riguardo richiama alcune pronunce di questa Corte che si sono espresse in tal senso (Cass. n. 14721 del 2.8.2004; Cass. n. 12307 del 21.8.2003 ed altre).

In proposito va precisato che queste decisioni hanno quale presupposto fattuale che l’accordo sia di per sè risolutivo, nel senso che il suo contenuto sia esaustivo delle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato disposto della L. n. 164, art. 5 e della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8 dato che, in tal caso, costituirebbe solo un inutile formalismo imporre al datore di lavoro di comunicare alle oo.ss. quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (cfr. in particolare Cass. 3.5.2004 n. 8353).

All’applicazione di questa giurisprudenza nel caso di specie, tuttavia, ostano considerazioni sia fattuali che logiche.

Sotto il primo aspetto, deve rilevarsi che l’accordo – intervenuto a procedura già iniziata e quando molte centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa integrazione – si è limitato a formulare un generale sistema di rotazione a partire dall’aprile 2003, senza peraltro indicare il procedimento di individuazione dei soggetti interessati, il che di per sè esclude quel carattere esaustivo sopra rilevato. Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in sede di accordo non potevano soddisfare l’esigenza cui la preventiva comunicazione è preposta, e cioè quella di consentire (non solo alle oo.ss. di confrontarsi sul punto, ma anche) ai lavoratori coinvolti nella procedura – tanto prima che dopo il raggiungimento dell’accordo – di verificare se l’utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro fosse coerente col programma di superamento della crisi adottato e, quindi, di tutelare la loro posizione individuale, sottoponendo a controllo il potere del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. 10.5.2010 n. 11254).

Con il che deve conclusivamente ritenersi che il giudice di merito si è attenuto ad una lettura della norma basata sul principio consolidato (dopo l’intervento delle S.U., con la sentenza n. 302 del 11.5.2000) secondo cui, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro ometta di comunicare alle oo.ss., ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente anche diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi e che tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.

Resta assorbita ogni ulteriore censura.

8. Infondato è anche il sesto motivo, formulato a contestazione della ritenuta insufficienza dei criteri di scelta fissati nella comunicazione del 31.10.2002 di avvio della procedura.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha precisato, infatti, che, nonostante la L. n. 223, art. 1, comma 7 preveda che oggetto della comunicazione debbano essere “i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere …”, tali criteri debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero, dalla “idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri”, precisandosi che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia u effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (v. Cass. 1.7.09 n. 15393, che richiama Cass. 23.4.04 n. 7720, e fa chiaro riferimento a S.U. n. 302 del 2000, citata).

Tale specificità non è stata riscontrata dal giudice di merito, il quale ha ravvisato nella comunicazione una mera clausola di stile, dalla quale non poteva evincersi il percorso aziendale che aveva portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere.

Trattasi di valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata, non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

9. Va rigettato, infine, anche il settimo motivo, con cui si sostiene che il giudice di appello, anche in presenza di violazioni procedurali di carattere formale, avrebbe dovuto pur sempre valutare nel merito se la scelta di collocare in cigs il lavoratore fosse coerente con i criteri indicati nella comunicazione iniziale, se non altro perchè l’accertata inidoneità dei criteri indicati rende superflua ogni indagine in tal senso.

10. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato. Tale rigetto comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte in favore del difensore sottoscrittore del controricorso dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la società ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 33,00 per esborsi ed in Euro 2.000 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa, con distrazione a favore dell’avv. Bruno Cossu.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011

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