Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26109 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. III, 27/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 27/09/2021), n.26109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 215/2019 proposto da:

LA CAZZUOLA SOCIETA’ COOPERATIVA, in proprio e quale capogruppo

mandataria dell’ATI costituita con l’impresa I.CO.MA Srl,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO BONI 15, presso lo

studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI LENTINI;

– ricorrente –

contro

B.S., P.F., R.G., PR.GI.,

M.F.A., S.P., F.E.,

L.G., I.A., rappresentati e difesi dall’avv.to

SERGIO SANFILIPPO, (sanfilipposergio.pec.ordineavvocatimarsala.it),

ed elettivamente domiciliati presso la cancelleria civile della

Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour;

– controricorrenti –

contro

EDILIZIA HELIOS SCARL, A.V., AD.DO., SO.IV.,

C.L., C.V., CA.PI., ME.VI.,

SA.MA., IN.MA., L.B.V., E.V.,

AS.NI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1728/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

viste le conclusioni depositate dal P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. La Cazzuola soc. Cooperativa a r.l. ricorre affidandosi a cinque motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo con la quale era stata rigettata l’impugnazione proposta avverso le pronuncia del Tribunale di Marsala che aveva accolto solo parzialmente la domanda di revocatoria formulata nei confronti della Cooperativa Helios e dei suoi soci, dichiarando l’inefficacia dell’assegnazione degli alloggi costruiti su un’area di proprietà della cooperativa limitatamente ai componenti del consiglio di amministrazione Ma.An., c.f. e Pe.Vi. e respingendo la domanda spiegata anche nei confronti degli altri soci assegnatari.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede:

a. il Tribunale di Marsala aveva accolto la domanda – fondata sulla tesi secondo cui le assegnazioni degli appartamenti erano state poste in danno delle ragioni creditorie, riconosciute in favore della odierna ricorrente in un separato giudizio celebrato dinanzi dal Tribunale di Mazara del Vallo per la risoluzione del contratto di appalto ed il risarcimento dei danni conseguenti – soltanto nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione in quanto erano gli unici a poter avere la consapevolezza della lesione delle ragioni creditorie dell’impresa; mentre l’aveva respinta nei confronti degli altri soci per mancanza di prova di scientia damni;

b. l’appello veniva proposto dalla odierna ricorrente sulla base dell’assunto secondo cui anche gli altri soci erano a conoscenza della pretesa creditoria e del danno derivante dall’assegnazione, deducendo la sussistenza di un consilum fraudis, desumibile anche in via presuntiva;

c. la Corte territoriale ha respinto l’impugnazione affermando che: 1) non esisteva prova certa che gli assegnatari appellati fossero a conoscenza della domanda riconvenzionale avanzata dalla società appaltatrice nei confronti della Cooperativa Helios di cui facevano parte, pur presumibilmente consapevoli dell’azione giudiziaria esperita; 2) non poteva ritenersi che le circostanze esposte da alcuni soci nelle comparse di costituzione costituissero ammissione di consapevolezza; 3) le richieste istruttorie avanzate e respinte in primo grado non erano state formalmente riproposte in sede conclusionale;4) non erano riscontrabili vantaggi ricavati dai soci a seguito dell’assegnazione degli appartamenti, visto che la società cooperativa La Cazzuola era anche debitrice nei confronti Helios.

Soltanto le parti intimate B.S., S.P., M.F.A., I.A., L.G., P.F., Pr.Gi., R.G. ed F.E. hanno resistito.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello travisato la prova costituita dal verbale di precisazione delle conclusioni della causa dinanzi al Tribunale escludendo erroneamente che vi fosse stata la reiterazione della richiesta istruttoria.

2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 6 CEDU, artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 115,116, 177, 188 e 189 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, chiedendo che la sentenza venga cassata con rinvio nella parte in cui non aveva ammesso le prove richieste in primo grado e reiterate specificamente.

2. I due motivi devono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione logica.

2.2. Con la prima censura si assume che con la memorie art. 183 c.p.c., comma 6, depositata in primo grado, era stato richiesto l’interrogatorio formale dei convenuti ed era stata dedotta prova testimoniale; che tale prova era stata respinta dal Tribunale; che, riproposta l’istanza in appello, la Corte l’aveva rigettata, ritenendo erroneamente che non fosse stata reiterata all’udienza di precisazione delle conclusioni e travisando, con ciò, il senso delle richieste in quella sede formulate, visto che risultava dal verbale che erano state richiamate le istanze di cui alla memoria istruttoria che le conteneva: si assume, pertanto, la Corte aveva omesso di considerare che, con ciò, era stata manifestata la volontà di non rinunciare alle istanze istruttorie formulate, volte a provare che tutti i soci erano consapevoli della pendenza giudiziaria e delle pretese dell’impresa ad ottenere il pagamento di arretrati sui lavori eseguiti per la realizzazione degli appartamenti.

2.3. Con il secondo motivo deduce, in relazione alla medesima censura fattuale, che ciò costituiva la violazione del principio del giusto processo e della rilevanza dell’attività istruttoria.

Preliminarmente il Collegio rileva che parte ricorrente sostiene, in modo assertorio e senza riprodurre il contenuto del verbale dell’udienza di p.c., che nelle conclusioni ivi precisate aveva richiamato anche “le richieste di cui alla memoria istruttoria”.

2.5. A ciò consegue, la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

2.6. Ricorrono, tuttavia, anche ulteriori ragioni di inammissibilità.

2.7. In primo luogo, infatti, il motivo enunciato prospetta la denuncia di un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto denuncia una erronea lettura del verbale da parte della Corte territoriale che dovrebbe essere ricondotto a tale rimedio e non a vizio cassatorio.

2.8. In secondo luogo, poiché la doglianza riguarda anche il rigetto delle istanze istruttorie da parte del Tribunale e, dunque, un’ordinanza anteriore all’udienza di p.c., sarebbe stato necessario non solo indicare che di essa ci si era doluti tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., nella prima difesa successiva, ma anche, in caso positivo, che la doglianza era stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni.

2.9. In mancanza di ciò, ricorre anche l’inammissibilità derivante dalla mancanza di autosufficienza del motivo.

2.10. Tuttavia non è inutile precisare che la censura, ove scrutinabile, sarebbe stata infondata.

2.11. Questa Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire il principio, ormai consolidato, secondo cui “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello. Tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il “thema” sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito – definitivamente proposte” (cfr. Cass. 19352/2017; ed, in termini, Cass. 5812/2016; Cass. 5741/2019; Cass. 15029/2019); ed è stato altresì escluso che tale esigenza costituisca una violazione del giusto processo e del diritto di difesa, essendo stato affermato che “l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 c.p.c. – secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata – non contrasta con gli artt. 47 e 52 cella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con L. 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di “difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dai giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato” (cfr. Cass. 3229/2019).

2.12.La Corte si è attenuta correttamente a tali condivisibili principi, per cui la decisione assunta deve ritenersi, sotto tale profilo, incensurabile.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 2, anche in relazione agli artt. 2729 e 2697.

3.1. Lamenta che la Corte d’appello aveva escluso la sussistenza della prova che i soci chiamati in revocatoria fossero a conoscenza della lite pendente tra l’impresa costruttrice e la cooperativa Helios per la costruzione dei loro appartamenti e ciò, con riferimento al credito portato dalla prima, in assenza di una prova contraria offerta in tal senso dalla parte appellata

3.2. Assume, altresì, che – trattandosi di una cooperativa di modeste dimensioni – doveva presumersi che i soci conoscessero la pendenza del giudizio in cui anche l’impresa che aveva costruito gli appartamenti avanzava una domanda di pagamento per importi anche rilevanti, fatto questo contraddetto anche dalla valutazione espressa sull’assenza di consilium fraudis ad opera dei soci assegnatari, visto che la consapevolezza era desumibile proprio da quanto affermato nella comparsa di costituzione (cfr. pag. 13 del ricorso).

3.3. Il motivo è inammissibile.

3.4. Infatti, premesso che la Corte non si è affatto contraddetta nella parte in cui ha esaminato la tesi difensiva degli appellati Me., A., Ad., So., C. e Ca. (cfr. pag. 8 primo cpv. della sentenza) in quanto ha escluso che le circostanze da essi esposte potessero configurare una ammissione di conoscenza delle pretese creditorie – esprimendo, con ciò, una valutazione di merito delle emergenze processuali congrua e logica ed, in quanto tale, incensurabile in questa sede – si osserva che tutta la censura, nel suo complesso rimette in discussione la ricostruzione dei fatti elaborata dalla Corte territoriale che ha reso su di essi una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale, escludendo che potessero ravvisarsi presunzioni dalle quali desumere con la necessaria certezza, che i soci della cooperativa, non facenti parte del consiglio di amministrazione, potessero essere a conoscenza dei rapporti debitori della cooperativa di cui erano soci.

Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per travisamento della prova sulla conoscenza, da parte dei soci assegnatari, della pretesa creditoria dell’impresa prima dell’assegnazione degli alloggi: si assume che la Corte d’Appello aveva falsamente interpretato la prova scritta, costituita dalla confessione contenuta nella comparsa di costituzione del difensore avv.to Ad..

4.1. Il motivo, parzialmente sovrapponibile al precedente è inammissibile. Preliminarmente, infatti, viene ignorata la ratio decidendi dirimente ed autonoma, consistente nel fatto che la società appaltatrice era debitrice della cooperativa per cui era impossibile ritenere che i soci assegnatari si fossero arricchiti in danno della La Cazzuola, visto che addirittura residuava un credito della cooperativa nei suoi confronti (cfr. pag. pag. 8 penultimo cpv. della sentenza).

4.2. Inoltre, la censura è stata formulata mediante l’improprio richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per travisamento del fatto: il rilievo si risolve, nella sostanza, in una critica alla motivazione, non più consentita a seguito se;’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, che ha modificato la formulazione della norma che attualmente contempla soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, principale o secondario, che deve essere specificamente indicato e che, nel caso di specie, non è stato affatto richiamato nella censura.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione dell’art. 2041 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che i soci di una cooperativa non rispondevano per indebito arricchimento dei debiti contratti con l’impresa costruttrice per gli appartamenti loro assegnati. Assume che la Corte territoriale, erroneamente, aveva ritenuto l’assenza di un rapporto diretto fra l’impoverimento dell’impresa per le opere eseguite con i consequenziali costi di mano d’opera e l’acquisizione degli appartamenti costruiti; e che la sentenza – che aveva riconosciuto un credito di pari valore verso l’impresa – escludesse comunque l’indebito arricchimento dei soci.

5.1. Il motivo è inammissibile.

5.2. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “l’azione generale di arricchimento postula che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, sicché quando essa sia la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria” (cfr. Cass. 12405/2020).

5.3. Al riguardo al Corte, con un percorso argomentativo corretto e riferito a consolidati principi di diritto in materia, ha affermato che perché possano configurarsi i presupposti del rimedio invocato – che, invero, ha natura residuale e non complementare – è necessario che indebitamento ed impoverimento derivino dagli stessi fatti causativi, correlazione assente nel caso di specie e non contestabile neanche attraverso il richiamo alla funzione “mutualistica” della cooperativa che rappresenta un elemento estraneo alla valutazione in esame: valutazione che la Corte territoriale ha espresso senza alcuna insufficienza, ragione per cui anche questa censura maschera la richiesta di rivalutazione di una questione di merito, non sindacabile in questa sede (cfr. Cass. 18721/2018; Cass. 31546/2019).

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte;

dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 8000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per i versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

 

 

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