Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26105 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 18/10/2018), n.26105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20568-2017 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEBELLO

109, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE SERAFINO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1457/23/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI del 17/01/2017, depositata il 20/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/0972018 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

S.S. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento notificatogli dall’Agenzia del Territorio di Napoli che rettificava da A/2 a A/10 il classamento di un suo immobile già destinato a scuola dal 1999 al 2011 finchè con la denuncia DOCFA del 2013 con la quale era stata proposta non più la categoria A/10 (scuola), ma quella A/2 (civile abitazione) in quanto l’immobile non era più adibito ad edificio scolastico.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano i ricorsi del contribuente ritenendo che non fossero stati effettuati lavori e che la rettifica è stata effettuata su denuncia DOCFA del contribuente non necessitata da alcuna modifica di destinazione dell’immobile, occorrendo invece un effettivo mutamento d’uso, non correlabile alla mera, pur documentata, cessazione dell’attività scolastica nel bene in oggetto.

Avverso detta sentenza il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi; si costituiva con controricorso l’Agenzia delle entrate, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in quanto si sarebbe omesso di valutare che la DOCFA si può effettuare non solo in caso di lavori di ristrutturazione (che peraltro sarebbero stati effettuati) ma anche nel caso di cambio di destinazione d’uso;

con il secondo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce l’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazioni specifiche, in quanto deriverebbero da un processo astratto di comparazione, basato su presunzioni;

con il terzo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia omessa valutazione della situazione effettiva all’epoca delle denuncia DOCFA, ossia la discordanza tra la reale situazione dell’immobile, adibito a civile abitazione, e quella presuntivamente determinata dall’Ufficio (scuola);

considerato che i motivi, per la loro stretta connessione, possono essere affrontati congiuntamente;

Ritenuto che i motivi sono inammissibili in quanto in ciascun motivo di ricorso sono promiscuamente e genericamente denunciati diverse tipologie di vizio, con conseguente mescolanza non scindibile degli stessi (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3554): infatti, nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni è inammissibile in quanto, da un lato, costituisce una negazione dei principi di ragionevolezza e chiarezza, rendendo il ricorso scarsamente intellegibile e poco scientifico (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1008), e, dall’altro, contraddicendo in maniera smaccata il principio di specificità, richiedono un intervento della Corte – al quale la stessa non è tenuta e che oltre ad essere particolarmente complesso rischia di essere arbitrario – volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. 14 settembre 2016, n. 18021);

ritenuto inoltre che tutti i motivi pongono delle questioni che implicano accertamenti di fatto, ed è stato affermato da questa Corte: che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404); che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); che, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica che implichi accertamenti di fatto ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione o di una determinata circostanza dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto ed in quale sede e modo la circostanza sia stata provata o ritenuta pacifica, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 21 novembre 2017, n. 27568; Cass. 12 ottobre 2017, n. 24062): infine, nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito (come invece pretenderebbe il ricorrente con il secondo motivo nel lamentare la mancata considerazione di altro immobile similare più economico), nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319);

ritenuto pertanto che il ricorso va dichiarato inammissibile e che le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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