Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26105 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/11/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 17/11/2020), n.26105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2994/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12 è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Auto Vigliotti s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Lucio Modesto Maria Rossi ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Angelo Petrone,

in Roma, in via E. Q. Visconti, n. 20;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/29/2013 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata in data 01/07/2013 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 luglio

2020 dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate ricorre con cinque motivi avverso la società Auto Vigliotti s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 147/29/2013 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 01/07/2013 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio ed accolto l’appello incidentale della società contribuente, riformando in parte la sentenza di primo grado n. 123/17/10 della Commissione tributaria provinciale di Caserta, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006, con cui, a seguito di P.V.C. della Guardia di Finanza, sono stati accertati maggiori ricavi per 119.044,00 Euro ed omessa fatturazione di acquisti per 36.670,89 Euro, con conseguenti sanzioni per 276.612,00 Euro;

secondo la C.t.r. della Campania nel merito non era condivisibile l’assunto dell’amministrazione finanziaria, appellante principale, circa l’onere della società di provare di non essere divenuta proprietaria degli autoveicoli usati, in ordine ai quali la contribuente sosteneva di aver svolto solo attività di intermediazione, in quanto ciò avrebbe richiesto una prova negativa la cui produzione sarebbe stata impossibile ed oltre il principio stabilito dall’art. 2697 c.c.;

i giudici di appello hanno, poi, affermato, che tutti i rilievi sollevati dai verificatori potevano ricondursi al comune denominatore di acquisti e vendite in nero di autoveicoli usati, “senza le annotazioni della prima tassazione a prova della società del Pubblico Registro Automobilistico”; che l’Ufficio aveva completamente omesso l’allegazione della documentazione da cui aveva tratto la presunzione di acquisto da parte della società degli autoveicoli usati, così come rilevato dal giudice di appello in analogo procedimento relativo all’anno di imposta 2004; che nessun valore potevano avere le “voci” raccolte presso alcuni clienti e prive di riscontro documentale; che la vendita per costituzione di diritti reali di garanzia, relativi a beni mobili registrati, quali gli autoveicoli, necessita che la firma del venditore sia apposta nel certificato di proprietà o, in mancanza, su un modulo a parte ed autocertificata da Pubblici Ufficiali del comune o anche da un notaio;

ciò posto, secondo la C.t.r., sembrava quanto meno singolare, se non impossibile, che di tante centinaia di vendite a nero contestate alla società non fosse emersa alcuna documentazione atta a supportare le presunzioni dei verificatori;

la C.t.r. riteneva, quindi, fondato l’appello incidentale, essendo “molto più verosimile l’assunto della società circa l’opera di intermediazione a favore delle finanziarie senza acquisto delle auto, che, per altro, avrebbe comportato, come già osservato dai primi giudici, inutili costi di esercizio”;

a seguito del ricorso, la società Auto Vigliotti s.r.l. resiste con controricorso; il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 14 luglio 2020.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39, 40 e 41, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo l’Agenzia delle entrate la C.t.r., con la sentenza impugnata, ha disconosciuto il quadro normativo richiamato;

per quanto riguarda i maggiori ricavi accertati, i giudici di secondo grado, innanzitutto, avrebbero erroneamente ritenuto non assolto l’onere probatorio da parte dell’Agenzia, in quanto il p.v.c. fa fede fino a querela di falso ed i fatti indicati nel verbale di constatazione davano contezza dell’esame della contabilità, posto in essere dai militari, che avevano riscontrato una differenza tra quanto esposto nel libro giornale e nel registro degli acquisti da un lato e nelle fatture di acquisto dall’altro;

i giudici di appello non avrebbero tenuto conto che nell’avviso di accertamento impugnato i maggiori ricavi accertati erano sorti dai rilievi formulati nel p.v. c., redatto dalla Guardia di Finanza di Caserta, ai quali il competente ufficio in sede di motivazione aveva fatto puntuale riferimento;

inoltre, dal p.v.c. del 20/2/2006 nei confronti della “Formula Auto s.r.l.”, emittente delle fatture, con la quale la contribuente aveva intrattenuto rapporti commerciali nell’anno 2004, emergeva l’inesistenza giuridica e tributaria di tale società, come accertato da funzionari dell’Ufficio con il predetto P.V.C.;

la C.t.r. della Campania avrebbe, tuttavia, disconosciuto, senza alcuna valida motivazione, il valore probatorio di quanto accertato da funzionari dell’Agenzia delle Entrate e trasfuso nel P.C.V. menzionati;

con il secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 1, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

l’Agenzia delle entrate evidenzia che nei confronti della “Formula Auto Import Export” s.r.l. era stata contestata l’interposizione fittizia di persona prevista del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8;

di conseguenza l’Ufficio non aveva riconosciuto alla Auto Vigliotti s.r.l., ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis e della circolare n. 42 del 26 settembre 2005, i costi relativi alle operazioni di acquisto soggettivamente inesistenti, in quanto riconducibili a fatti qualificabili come reato ed, in quanto tali, privi del requisito di realtà del componente negativo del reddito, così come previsto dall’art. 75 T.u.i.r., comma 1;

la ricorrente sostiene che, ai fini della qualificazione di un’operazione come inesistente, non rilevi l’assenza materiale dell’operazione sottostante al negozio giuridico posto in essere, ma sia sufficiente la mera inesistenza giuridica dell’operazione effettivamente realizzata per effetto del vizio di nullità o della simulazione;

detta operazione, denominata “inesistente, prevista nel comma 7 del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, costituisce un illecito tributario ed in quanto tale, in base alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, comporta il disconoscimento di passività ottenute tramite rilascio di fatture fittizie, in quanto le stesse configurano ipotesi di evasione fiscale operata attraverso operazioni inesistenti;

dalla lettura dell’ultimo articolo menzionato si evincerebbe, secondo la ricorrente, che ai fini del disconoscimento dei costi, non occorra affatto dimostrare che tra la società emittente e quella che ha usufruito delle fatture ci sia stata connivenza, nè l’elemento psicologico;

sempre in relazione alla deducibilità dei costi, la ricorrente sostiene che gravi sul contribuente l’onere si provarne sia l’esistenza che l’inerenza; si debba applicare un differente trattamento fiscale ai fini dell’imposizione sul valore aggiunto delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti; dalle risultanze del p.v.c. emergeva chiaramente che la società contribuente aveva avuto rapporti commerciali con un soggetto inesistente, cioè la Formula Auto Import Export s.r.l; in ordine al rilievo sull’omessa contabilizzazione dei ricavi contestati, pari ad Euro 211.645,00, dall’ispezione contabile era emerso che per le vendite di autoveicoli la verificata si era avvalsa delle società finanziarie Santander Consumer e Bipielle Ducato, che avevano fornito prospetti riepilogativi con specificato l’importo reale dell’acquisto, l’acconto, la caparra, il numero di rate;

dall’analisi dei dati appena menzionati sarebbe emerso che molte auto non avevano alcun riscontro nella contabilità ufficiale, nei registri o in altra documentazione oppure risultavano vendute per importi inferiori a quelli realmente corrisposti;

la ricorrente conclude sostenendo che, con riferimento ai recuperi d’imposta operati dalla Guardia di Finanza, i fatti accertati dai Pubblici Ufficiali facevano piena prova fino a querela di falso; l’operato dell’Ufficio risultava pienamente legittimo in quanto basato sul p.v.c. del 2006 e sugli atti allegati, già in possesso della controparte; la sostanziale inattendibilità dei dati relativi ai ricavi dichiarati emergeva dalla comparazione con dati extracontabili o, comunque, da presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti; l’accertamento induttivo era legittimo in presenza di un comportamento antieconomico del contribuente sul quale ricadeva l’onere della prova; nella prova per presunzioni la relazione fra fatto noto ed ignoto non aveva carattere di necessità; non era corretto affermare che l’Ufficio non aveva operato un riscontro della inattendibilità dei dati contabilizzati, in quanto questa operazione era stata svolta dalla Guardia di Finanza e trasfusa nel p.v.c. della G.d.F. del 30/10/2006;

con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura il difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

secondo la ricorrente, la pronuncia impugnata difetta di motivazione per ciò che riguarda il rigetto dell’appello dell’Ufficio in relazione alla maggiore imposta ai fini Ires ed Irap per l’anno 2006;

infatti, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, sarebbe onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti, non assumendo rilievo la propria buona fede;

inoltre, nelle c.d. frodi carosello, il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone farebbero presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale;

con il quarto motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente, la C.t.r. della Campania ha falsamente applicato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, laddove ha ritenuto detraibile l’1.v.a. relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti;

l’Agenzia delle entrate richiama, sul punto, l’art. 17 della Direttiva CEE n, 388/77 del 1977, ove si afferma il principio di indetraibilità dell’Iva assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi;

con il quinto motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

la ricorrente rileva che i giudici di secondo grado hanno erroneamente ritenuto che quanto deciso dai primi giudici fosse condivisibile in pieno per il fatto che nessuna prova era stata fornita in sede penale in ordine alla “frode” perpetrata dalla Formula Auto s.r.l., posto che nulla si sapeva nemmeno sull’informativa di reato trasmessa alla competente Procura della Repubblica;

a tal riguardo, l’Agenzia delle Entrate evidenzia che il giudizio tributario e il giudizio penale costituiscono giudizi autonomi ed indipendenti l’uno dall’altro;

il ricorso è complessivamente inammissibile;

preliminarmente, va rilevato che il ricorso, rivolto avverso la sentenza n. 147/29/13 della C.t.r. della Campania, depositata unitamente al ricorso stesso, nella sostanza, invece, fa riferimento ad una sentenza diversa, probabilmente con una motivazione parzialmente coincidente, ma relativa all’accertamento dell’anno di imposta 2005, basato anch’esso sul p.v.c. della G.d.F. di Caserta del 30/10/2006, relativo alla verifica delle annualità dal 2004 al 2006;

tale p.v.c., a dire della ricorrente, farebbe riferimento, a sua volta, ad un precedente p.v.c. dell’Ufficio di Caserta nei confronti della società “Formula Auto Import Export” s.r.l., società interposta negli acquisti di automobili usate compiuti dalla contribuente nella diversa annualità di imposta 2004, circostanza della quale non è riscontrabile alcuna menzione nella sentenza impugnata;

anche il riferimento alla sentenza della C.t.p. di Caserta n. 124, che sarebbe stata riformata dalla pronuncia del giudice di appello, risulta erroneo, in quanto la sentenza n. 147/29/13 è stata pronunciata sull’appello avverso la sentenza n. 123/17/10 della C.t.p,. di Caserta;

inoltre, la ricorrente, nel riportare il contenuto dell’avviso di accertamento, fa riferimento ad un numero di operazioni (163 operazioni commerciali di vendita di auto, per le quali non erano stati dichiarati i ricavi ed era stata omessa la fatturazione, e cinque operazioni commerciali di vendite di auto, per le quali erano stati dichiarati ricavi inferiori) ed importi che non coincidono con quelli oggetto della sentenza impugnata;

pertanto, risulta evidente che l’amministrazione abbia erroneamente impugnato la sentenza n. 147/29/13 con un ricorso riferito ad altra sentenza della medesima C.t.r., relativa all’anno di imposta 2005, che non risulta allegata al ricorso;

anche i motivi di ricorso non trovano piena corrispondenza nella motivazione della sentenza impugnata;

in particolare, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, rispettivamente rivolti a censurare il difetto di motivazione, per ciò che riguarda il rigetto dell’appello dell’Ufficio in relazione alla maggiore imposta ai fini Ires ed Irap per l’anno 2006, l’indebita detrazione ai fini Iva, nonchè il fatto che i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente ritenuto che quanto deciso dai primi giudici fosse condivisibile, dato che nessuna prova era stata fornita in sede penale in ordine alla “frode” perpetrata dalla Formula Auto s.r.l., non trovano alcun riscontro nella sentenza n. 147/29/13, che non affronta esplicitamente nè la questione della detraibilità dell’Iva, nè quella della mancata prova in sede penale;

la motivazione della sentenza impugnata è conforme a quella riportata in ricorso alle pagine 5 e 6, ma i motivi di ricorso si riferiscono all’avviso di accertamento emesso per un’altra annualità (il 2005 e non il 2006), ad altre operazioni ed importi, a circostanze neanche menzionate in sentenza, quale l’interposizione fittizia e la sussistenza di una cd. “frode carosello”, oppure, come si è visto, a statuizioni non presenti nella motivazione della decisione oggetto di ricorso;

anche il primo motivo, che potrebbe astrattamente ricollegarsi alla motivazione della sentenza impugnata, limitatamente alla censura secondo cui il giudice di appello, nel ritenere infondato l’assunto dell’amministrazione, non avrebbe considerato i fatti che emergevano dal p.v.c., risulta generico, in quanto non chiarisce, con riferimento alla specifica fattispecie in esame, quali fossero gli accertamenti compiuti dalla G.d.F. e riportati nel p.v.c., richiamato dall’avviso di accertamento e dei quali il giudice non avrebbe tenuto conto;

specificazione tanto più necessaria, ove si consideri che sulla base dello stesso p.v.c. sono stati emessi diversi avvisi di accertamento per le diverse annualità, dal 2004 al 2006;

per i motivi fin qui esposti il ricorso è complessivamente inammissibile;

la ricorrente va condannata al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;

rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.900,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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