Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26101 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/09/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 27/09/2021), n.26101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36543-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Q.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1305/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 20/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Piemonte, di accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente Q.I. avverso una decisione CTP Alessandria, che aveva respinto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IRPEF 2009; la CTR, riformando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto che non era onere della contribuente fornire la prova che i maggiori redditi ipotizzati a suo carico, quale moglie di P.F., titolare della ditta individuale “IPER DI P.F.”, non fossero stati da lei conseguiti per attività lavorativa o collaborativa svolta in favore della ditta di suo marito, potendosi ipotizzare che si fosse trattato di redditi fondiari da fabbricati.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; invero le operazioni finanziarie della contribuente erano state riprese a tassazione per non avere la stessa indicato la provenienza delle somme movimentate; la contribuente aveva affermato di non ricordare la provenienza delle somme, anche con riferimento ad una rilevante operazione “extraconto” di Euro 185.000,00 ed aveva dichiarato che trattavasi di somme a lei donate dal marito P.F., titolare della ditta individuale “IPER DI P.F.”; le stesse somme tuttavia erano state, subito dopo ed in modo implausibile, girate sul conto bancario del marito; ora, la presunzione legale, contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, determinava un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, tenuto a provare che le somme affluite sul proprio conto corrente bancario o fossero esenti da imposta, ovvero avessero già formato oggetto di tassazione; e tale presunzione valeva per qualsiasi soggetto, a prescindere dallo svolgimento, da parte sua, di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo; che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione art. 132 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la motivazione della sentenza impugnata meramente apparente; le affermazioni contenute nella sentenza impugnata erano del tutto inidonee a descrivere e far comprendere i tratti fondamentali della vicenda in fatto, nonché le singole questioni giuridiche sottoposte al suo vaglio, fino a renderne apparente il supporto argomentativo, si da porlo ben al di sotto del minimo costituzionale, richiesto per il controllo della motivazione in sede di legittimità;

che l’intimata non si è costituita;

che, per evidenti motivi di priorità logica e giuridica, va trattato per primo il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle entrate ha lamentato motivazione meramente apparente;

che detto motivo di ricorso è infondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 15884 del 2017), nel processo tributario, una sentenza della CTR intanto può ritenersi nulla per violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto sia completamente carente in ordine all’illustrazione delle critiche mosse dalla parte appellante alle statuizioni di primo grado e non sviluppi in alcun modo un’autonoma valutazione dei fatti di causa, come chiesto dalla parte appellante;

che, al contrario, nella specie, la CTR ha sviluppato proprie autonome considerazioni, in esito alle quali ha ritenuto di riformare la sentenza emessa dalla CTP e di ritenere illegittima la pretesa tributaria dell’ufficio con riferimento all’IRPEF 2009, avendo ritenuto, con argomentazioni che, seppur non condivisibili, come si vedrà appresso, erano pur sempre chiare, che la contribuente non poteva essere ritenuta imprenditrice e che, pertanto il danaro accreditato sul suo conto corrente, riconosciuto come proveniente dal suo coniuge imprenditore, non avesse natura reddituale;

che è al contrario fondato il primo motivo di ricorso;

che, invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2651 del 2019; Cass. n. 29572 del 2018), in tema di imposte sui redditi, la presunzione legale di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti correnti bancari, fissata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di redditi d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come può desumersi dal medesimo testo normativo, successivo art. 38, concernente l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia al medesimo art. 32, comma 1, n. 2, fermo restando quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 2014, alla stregua della quale le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di redditi d’impresa, mentre le operazioni di versamento hanno tale valore presuntivo nei confronti di tutti indistintamente i contribuenti, i quali sono pertanto tenuti tutti a contrastare l’efficacia di detta presunzione dimostrando che i versamenti siano stati già inclusi nel reddito soggetto ad imposta, ovvero che siano irrilevanti a tal fine; e, nel caso in esame, la questione concerne appunto il rilievo fiscale da attribuire a versamenti effettuati dalla contribuente sul proprio conto bancario, riconosciuti come provenienti dal di lei marito P.F., titolare della ditta individuale “IPER DI P.F.”;

che, pertanto, alla luce della ricognizione del significato da attribuire al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, la sentenza impugnata erroneamente ha sostenuto che non fosse onere della contribuente fornire giustificazioni in ordine alla provenienza di somme confluite sul proprio conto corrente bancario, per non essere la medesima né imprenditrice, né libero professionista, ma solo consorte di un imprenditore, tale P.F., titolare della ditta individuale “IPER DI P.F.”, sul quale soltanto sarebbe gravato l’onere di fornire giustificazioni in ordine alla provenienza di dette somme; al contrario anche la contribuente era tenuta a fornire le giustificazioni anzidette;

che, pertanto, rigettato il secondo motivo, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va accolto con riferimento al primo motivo, in relazione al quale la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR del Piemonte in diversa composizione per nuovo esame, nonché per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigettato il secondo motivo, accoglie il primo, in relazione al quale cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Piemonte in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il 28 aprile 2021.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

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