Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26100 del 19/12/2016

Cassazione civile, sez. III, 19/12/2016, (ud. 05/05/2016, dep.19/12/2016),  n. 26100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14773/2013 proposto da:

F.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELLA LIBERTA’ 30, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE SICA,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, (già SPA R.A.S. conferitaria dell’Azienda di LLOYD

ADRIATICO SPA), in persona dei procuratori dr.ssa G.A. e

dr. C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA

88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che li

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

L.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1017/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 07/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato FRANCESCO ANELLI per delega;

udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9 maggio 1991 F.A. esponeva che in data (OMISSIS) aveva subito un infortunio sul lavoro presso il cantiere allestito in (OMISSIS) dal suo datore di lavoro, Fa.Mi.; che, in particolare, mentre stava eseguendo lavori di stuccatura ad un balcone, precipitava dall’impalcatura, priva di adeguati mezzi di protezione, riportando lesioni con postumi permanenti; che alle lesioni conseguiva un’inabilità al lavoro oltre il terzo, sicchè aveva diritto a vedersi riconosciuta una rendita vitalizia dall’I.N.A.I.L.; che, sussistendo la responsabilità penale del datore di lavoro, occorreva sporgere denuncia per attivare il relativo procedimento e avanzare domanda di risarcimento dei danni, costituendosi parte civile; che, inoltre, bisognava inoltrare richiesta all’I.N.A.I.L. per il riconoscimento della rendita vitalizia e, in caso di esito negativo del procedimento amministrativo, promuovere azione giudiziaria nei confronti del predetto ente, azione questa soggetta al termine di prescrizione triennale fissato dal D.P.R. n. 1124 del 1965; che, successivamente, conferiva incarico professionale all’avv. L.R.; che il difensore non si attivava per l’instaurazione del procedimento penale a carico del datore di lavoro, sicchè maturava la prescrizione e ometteva, altresì, di inoltrare all’I.N.A.I.L. la richiesta di riconoscimento della rendita vitalizia; che il professionista si limitava ad agire nell’anno 1987 nei confronti del datore di lavoro, promuovendo dinanzi al Pretore del lavoro di Nocera Inferiore un’azione di risarcimento dei danni; che detto giudizio si concludeva con sentenza di inammissibilità della domanda, pronuncia che diveniva definitiva per non essere stata impugnata; che l’avvocato, omettendo di svolgere l’attività professionale indicata, era incorso in responsabilità professionale per colpa grave ex art. 2236 c.c..

Tanto premesso, F.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno l’avv. L. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda e chiedendo e ottenendo di chiamare in causa in garanzia la Lloyd Adriatico S.P.A., la quale, costituendosi in giudizio, si opponeva ad ogni richiesta avanzata nei propri confronti.

Esaurita l’attività istruttoria, il Tribunale di Salerno rigettava la domanda risarcitoria sul rilievo che l’attore non aveva provato l’epoca in cui era stato conferito l’incarico professionale, non consentendo così di verificare se il professionista avesse avuto la possibilità di espletare l’incarico prima del maturare della prescrizione.

Proposto appello dal F., la Corte d’appello di Salerno, nella contumacia dell’avv. L., con sentenza del 7 dicembre 2012, confermava la pronuncia impugnata, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore della Lloyd Adriatico (ora ALLIANZ) S.p.A..

Contro la decisione F.A. propone ricorso per cassazione, affidato a nove motivi.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, ALLIANZ S.p.A..

L’avv. L.R. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso F.A. denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2967, 2229 ss., 1218 ss. e 2043 c.c.”. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il danneggiato dovesse provare una data precisa, certa di attribuzione del mandato all’avv. L., mentre l’onere probatorio che incombeva sull’attore era in realtà limitato alla dimostrazione del conferimento dell’incarico al professionista entro tempi utili a porre in essere gli adempimenti necessari per evitare lo spirare della prescrizione sia in sede civile che in sede penale. Inoltre, la corte di appello aveva omesso di considerare che dalle dichiarazioni rese dal teste S. era emerso che nel febbraio/marzo 1983 l’avv. L. aveva già ricevuto ampio mandato dal F. per l’assistenza legale relativa all’infortunio occorsogli e che, comunque, nel giugno/luglio 1984, come riferito dai testi B. e M., si era già instaurato il rapporto professionale.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (precisamente, il conferimento all’avvocato di un incarico professionale entro tempi utili, in considerazione dei termini prescrizionali e decadenziali del caso, per porre in essere ogni attività idonea alla tutela dei propri diritti e ragioni).

Con il terzo motivo si denuncia “Nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (precisamente, il mancato espletamento da parte del professionista delle attività idonee e necessarie alla tutela di diritti e ragioni dell’assistito). Lamenta il ricorrente che la corte territoriale aveva omesso di affrontare il merito della questione afferente la responsabilità dell’avvocato sull’erroneo convincimento che spettasse al danneggiato di fornire la prova certa dell’epoca del conferimento dell’incarico professionale.

Con il quarto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., e art. 112 c.p.c.”. Sostiene il ricorrente che la corte di merito aveva violato le norme in materia di onere probatorio e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel momento in cui aveva considerato assorbita la domanda risarcitoria dalla mancata dimostrazione da parte del danneggiato della esatta data di conferimento dell’incarico professionale.

1.1. I suddetti motivi, in quanto intrinsecamente connessi e in parte ripetitivi, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati nei termini di seguito indicati.

La sentenza impugnata – pagg. 11 – 12 della motivazione – dà atto che: S. Francesco ha dichiarato che “nel periodo febbraio – marzo 1983 aveva accompagnato F.A. presso lo studio dell’avv. L.R. al quale, come riferitogli dallo stesso appellante, era stato affidato l’incarico di curare la pratica relativa all’infortunio sul lavoro subito dal F.”, che “nell’occasione l’avv. L. gli (al F.) fece firmare delle carte tra cui una querela che l’avvocato aveva preparato”, che “l’avvocato disse anche che avrebbe iniziato un’azione civile contro la ditta e avrebbe iniziato una procedura contro l’I.N.A.I.L.”; il teste B.G. ha dichiarato “di avere accompagnato nel periodo giugno – luglio 1984 M.T. e F.A. presso lo studio dell’avv. L.” e che nell’occasione ” F. domandò notizie sulla sua pratica e l’avvocato lo tranquillizzò che era tutto a posto”; il teste M.T. ha dichiarato “di essersi recato nel giugno 1984 presso lo studio dell’avv. L. insieme a F.A., ma di non ricordare il contenuto della conversazione intercorsa tra l’appellante e il legale”, nè “se nell’occasione fosse presente anche un’altra persona”.

La sentenza poi afferma (pag. 13): “si osserva che – come bene evidenziato dal Giudice di prime cure – le dichiarazioni rese dai testi M.T. e B.G. si presentano generiche”, procedendo di seguito la corte di appello all’esame delle suddette testimonianze.

E’ di tutta evidenza come, in tal modo, la corte territoriale abbia completamente obliterato la testimonianza resa da S.F., il quale ha riferito le dettagliate circostanze sopra richiamate, il cui esame avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia, posto che, secondo quanto dichiarato dal teste, il conferimento dell’incarico professionale dovrebbe collocarsi temporalmente nel febbraio – marzo 1983, in un periodo, quindi, del tutto compatibile con l’utile espletamento dell’incarico professionale, considerando che l’infortunio avvenne il (OMISSIS) e l’azione per conseguire le prestazioni a carico dell’I.N.A.I.L. si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio, mentre per il reato di lesioni colpose, all’epoca dei fatti, il termine di prescrizione era di cinque anni.

L’omesso esame delle circostanze riferite dal teste S. integra il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione risultante a seguito della modifica operata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis alla sentenza impugnata. Va osservato che, se pur a seguito della riforma del 2012 scompaia il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, e resta soltanto il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza della motivazione, è tuttavia censurabile l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario – quali sono le prove di un elemento essenziale del fatto costitutivo (nella specie, l’epoca di conferimento dell’incarico professionale) – la cui esistenza risulti dal testo della sentenza, in quanto oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze. Ne deriva che “l’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il tassello mancante alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario” (Cass. S.U. n. 8053 del 2014, Cass. n. 19677 del 2015, Cass. nn. 12928 e 21257 del 2014), con l’ulteriore conseguenza che “l’omessa considerazione di un fatto decisivo è sintomo di falsa applicazione della legge” (Cass. n. 21439 del 2015), poichè l’omessa considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della quaestio facti incide sull’esatta qualificazione e sussunzione in iure della fattispecie. Ne deriva che il giudice ha l’obbligo di prendere posizione su qualsiasi fatto che sia stato oggetto di specifica controversia tra le parti, indipendentemente dalla sua natura principale o secondaria (Cass. n. 7983 del 2014). E in questo senso depone anche il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove fa riferimento appunto al fatto controverso come possibile oggetto di un difetto di motivazione. Il dovere di decisione del giudice sul fatto controverso, principale o secondario, che può essere certamente assolto con una pronuncia anche implicita, richiede una giustificazione adeguata; e l’individuazione dei fatti effettivamente controversi, attenendo alla definizione dell’oggetto del giudizio, può essere compiuta direttamente dalla Corte di cassazione anche attraverso l’esame degli atti, sia pure sulla base delle indicazioni delle parti. Questo non significa che al giudice di legittimità possa richiedersi una rivalutazione delle prove relative al fatto controverso, ma significa che sull’esistenza di un tale fatto il giudice del merito deve comunque pronunciarsi, pur rimanendo incensurabile la valutazione delle prove sulle quali quella pronuncia si fondi. In realtà, quando ne è controversa l’esistenza, qualsiasi fatto viene in discussione come oggetto, non come strumento, di prova e di giudizio. E in questa prospettiva ogni fatto controverso può costituire punto della decisione.

2. Resta così assorbito il quinto motivo – rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2967 c.c., e art. 232 c.p.c.” – con il quale il ricorrente lamenta che la corte di appello aveva negato rilievo alla mancata presentazione dell’avv. L. per rendere l’interrogatorio deferitogli sul rilievo che i fatti dedotti nei capitoli di prova erano rimasti privi di qualsiasi riscontro, dovendosi valutare nel giudizio di rinvio gli effetti della mancata risposta a seguito del nuovo esame degli elementi di prova.

3. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 345 c.p.c.”.

Con il settimo motivo si denuncia “Nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (precisamente, il profilo di inadempimento del professionista consistente nella mancata proposizione dell’atto di appello avverso sentenza pregiudizievole per le ragioni del cliente)”.

Con i due motivi, intrinsecamente connessi, il ricorrente lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto che l’appellante, nell’indicare quale ulteriore profilo di responsabilità professionale dell’avv. L. la mancata proposizione di appello avverso la sentenza con cui era stata rigettata la domanda risarcitoria proposta dal F. nei confronti del datore di lavoro con ricorso proposto dinanzi al Pretore del lavoro di Nocera Inferiore, avrebbe formulata una domanda nuova, nonostante tale profilo di responsabilità fosse stato dedotto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

I motivi sono infondati.

Invero la corte di appello, oltre a rilevare la novità della domanda, ha osservato che “in ordine all’ipotizzato inadempimento l’appellante non ha fornito alcun elemento di prova da cui poter desumere che, se il professionista avesse compiuto l’attività omessa, il cliente avrebbe conseguito vantaggi economicamente valutabili, anzi a ben vedere ha escluso tale evenienza qualificando prevedibile l’esito negativo del giudizio di primo grado” (pag. 16 della sentenza).

Tale autonoma condivisibile ratio decidendi, di per sè idonea a sorreggere la decisione, non è stata impugnata dal ricorrente, di modo che l’eventuale accoglimento del motivo di ricorso in scrutinio non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, per cui l’impugnata sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa.

4. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 244 e 345 c.p.c., (ante riforma L. n. 353 del 1990)”.

Con il nono motivo si denuncia “Nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (precisamente, la mancata escussione in secondo grado del teste D.V.A. in ordine alla natura di errore materiale dell’indicazione ottobre 1985 presente nella sua missiva del 15/05/1989)”.

Con i due motivi, intrinsecamente connessi, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere disatteso la richiesta della suddetta prova testimoniale in quanto articolata in modo generico, senza tener conto che l’indicazione nella missiva della data dell’ottobre 1985 costituiva l’unico elemento dissonante con le tesi attoree e con le risultanze testimoniali e omettendo, altresì, di motivare adeguatamente in merito.

I motivi sono infondati.

La corte territoriale ha evidenziato che il capitolo di prova formulata dall’appellante era incentrato esclusivamente sulla circostanza che la data indicata nella missiva era frutto di un errore (materiale), senza che tuttavia l’istante facesse alcun riferimento alla data in cui sarebbe stato conferito l’incarico. In difetto della indicazione di tale essenziale elemento temporale, correttamente la corte di merito ha escluso la ricorrenza, nella specie, del requisito della specifica indicazione del fatto oggetto di prova.

5. Conclusivamente, in accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto e rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Napoli, che provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, dichiara assorbito il quinto e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli, altra competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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